Casi studio  

Inability to bullshit: l’inimitabile lancio di WhatsApp nel mercato mondiale

storia del lancio di whatsapp

Tutti nasciamo con delle convinzioni e spesso, anche quando non ci siamo nati alcune tendiamo a portarcele a presso per sentito dire.
Presente il discorso che per far decollare un progetto, farlo conoscere alle masse e avere successo occorrono tonnellate di pubblicità?

Ecco. Quando davanti al mio monitor, battendo forte sulla tastiera, ho scoperto per la prima volta  cosa fosse accaduto durante il lancio di whatsapp sono rimasto letteralmente a bocca aperta.

Oggi voglio condividere con te questo incredibile pezzo di storia recente che per dinamiche e modalità è stato tutto e il contrario di tutto. Goditela ok?

Come è possibile conquistare il mondo senza pubblicità?

Che mondo sarebbe senza WhatsApp? No, non è semplicemente l’ennesima storpiatura della celebre frase usata per promuovere la Nutella, me lo chiedo davvero: senza questo servizio di messaggistica istantanea, ci scambieremmo lo stesso numero di messaggini e di foto ogni giorno?

Forse altri servizi, come Facebook Messenger o Telegram, avrebbero sopperito alla sua mancanza, ma non c’è dubbio che è stato proprio il lancio di WhatsApp a rivoluzionare del tutto il mondo dei messaggini e degli MMS.

Oggi non potremmo più fare a meno di questa app, eppure parliamo pur sempre di un software registrato nel 2009, che nel nel 2013 contava ‘solamente’ 200 milioni di utenti a livello.

Un fenomeno relativamente nuovo dunque, ma pervasivo ai livelli massimi: oggi, nel 2017, ad otto anni dal lancio di WhatsApp, gli utenti attivi sono 1,3 miliardi.

Ma come ha potuto questa app raggiungere un tale successo?

È stato forse merito di una grandissima campagna pubblicitaria? Macché, i due fondatori, Jan Koum e Brian Acton, odiano con tutte le loro forze la pubblicità.

Allora è stato grazie ai preziosi fee ricevuti dai primi utenti?

Al contrario: il prezzo per l’utilizzo di WhatsApp è stato prima nullo, poi irrisorio e quindi nuovamente nullo.

Ma allora come ha fatto il lancio di WhatsApp ad arrivare a queste incredibili vette, spiazzando tutti gli avversari?

Jan Koum, Brian Acton e Yahoo

La vera mente dietro alla creazione e al lancio di WhatsApp è Jan Koum, nato in Ucraina ed emigrato negli Stati Uniti a 16 anni, insieme alla madre. I primi anni negli Usa per Koum furono tutt’altro che facili: la madre faceva la baby sitter, mentre lui, per aiutarla a sbarcare il lunario, spazzava pavimenti in un alimentari di Mountain View.

jan-koum-whastapp-CEO

Quando poi a sua madre venne diagnosticato il cancro, la famiglia iniziò a vivere con l’assegno di invalidità. Koum non era propriamente uno studente modello, anzi, la sua condotta lasciava decisamente a desiderare.

Era però nel doposcuola che Koum dava il meglio di sé, studiando da autodidatta il computer networking, per poi unirsi ad un gruppo di hacker dedito ad intrufolarsi nei server della Silicon Graphics.

Riuscì poi ad iscriversi all’università, pagandosi gli studi con un secondo lavoro come collaudatore di sicurezza presso la Ernst&Young. Fu proprio in quella veste che entrò per la prima volta negli uffici di Yahoo, nel 1997. Guarda caso, uno dei primi dipendenti di Yahoo con cui si ritrovò a parlare, per ispezionare il sistema di pubblicità aziendale, fu proprio Brian Acton, quello che sarebbe diventato il suo futuro compagno d’avventura nel lancio di WhatsApp.

Brian Acton Whatsapp cofounder

Tra i due ci fu subito intesa: come ha spiegato Koum in un’intervista, «nessuno di noi ha talento per le stronzate». Due tipi diretti, che già allora odiavano senza requie la pubblicità e i mezzucci che tante volte sono di contorno ai lanci digitali.

Gli anni di Yahoo e l’odio verso il mondo della pubblicità

Qualche mese più tardi Koum venne assunto direttamente da Yahoo come ingegnere dell’infrastruttura: solo due settimane dopo, quando il co-fondatore di Yahoo David Filo, nel bel mezzo di un’emergenza di sistema, telefonò a Koum mentre questi si trovava in classe

«Che cazzo stai facendo in classe? Alza il culo e vai in ufficio!»

a questi non restò altro da fare che lasciare una volta per tutte gli studi e immergersi pienamente nell’esperienza lavorativa di Yahoo.

Per i primi anni andò bene, poi sia Koum che Acton iniziarono a non sopportare più la loro situazione lavorativa, vivendo tra l’altro sulla loro pelle gli alti e bassi dell’azienda di Filo e Yang. Acton, in particolare, verso il 2006, iniziò a tollerare sempre meno il proprio lavoro nella pubblicità per Yahoo:

«tu non rendi la vita di nessuno migliore facendo funzionare meglio la pubblicità»

ebbe a dire Acton in quel periodo.

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Alla fine, nel 2007, Koum e Acton mollarono il loro posto fisso a Yahoo e si regalarono un anno sabbatico, passato viaggiando per l’America Latina ( e giocando ad ultimate frisbee). Una volta tornati, si misero all’opera per trovare un nuovo lavoro: tutti e due si candidarono per esempio presso Facebook, ed entrambi vennero rifiutati (proprio loro che, anni dopo, strapparono una cifra stellare alla società di Zuckerberg per la propria app).

L’ideazione di WhatsApp

Fu in questo periodo di calma piatta che Koum acquistò un iPhone e, contemplando quella novità che era l’App Store, si rese conto che la rivoluzione costituita dalle app sarebbe esplosa da lì a poco.

whatsapp-iphone

Nella sua testa iniziò a pensare ad una app che potesse essere davvero utile per tutti gli utenti. Confidò questo suo progetto ancora tutto astratto ad un suo amico di origini russe, Alex Fishman.

«Il pensiero di Han era che sarebbe stato bello avere degli aggiornamenti di status accanto ai nomi delle persone nella rubrica del telefono»

spiegò anni dopo Fishman.

Proprio così: il primo lancio di WhatsApp non fu quello di un vero e proprio servizio di messaggistica istantanea, quanto quelli di un ‘aggiornatore di status’, un social network ridotto al minimo, insomma. Attraverso questi aggiornamenti di status un utente avrebbe potuto avvisare il proprio network che si trovava al lavoro, o che stava cenando, o che era in piscina, o che non aveva batteria: insomma, si evitavano delle telefonate a vuoto.

Passare da questa idea iniziale allo sviluppo concreto, però, non fu per nulla facile.

Dopo aver registrato il nome WhatsApp (una fusione tra ‘cosa succede’ e ‘App’), Koum passò giornate infernali creando il codice di backend cercando di sincronizzare tutti i cellulari possibili, studiando quindi tutti i prefissi internazionali del mondo.

La prima versione di WhatsApp, però, era soggetta a continui crash e blocchi: dopo averlo fatto girare tra qualche decina di amici, Koum arrivò persino a pensare di lasciare perdere fin da subito il lancio di WhatsApp. Fu lì che per la prima volta intervenne il suo amico Acton, che saggiamente gli consigliò di lasciare ancora un paio di mesi di prova all’app.

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E per fortuna lo fece: nel giugno del 2009 infatti la Apple lanciò le notifiche push, le quali di fatto permettevano agli sviluppatori di capire al volo quali utenti utilizzavano una app.

In questo modo, Koum poté modificare WhatsApp, di modo che ogni volta che un utente cambiava il proprio status, il suo intero suo network veniva avvisato.

La primissima cerchia di utenti di WhatsApp, a questo punto, iniziò a pingarsi a vicenda, aggiornando gli status con una tale frequenza da trasformare loro stessi – dal basso – il software di Koum in un prototipo di istant messaging. Come ebbe poi a dire Koum,

«essere in grado di raggiungere chiunque nel mondo in modo istantaneo e su un dispositivo che è sempre con te, era davvero potente».

Certo, sul mercato esisteva già qualcosa di simile: i BlackBerry avevano il loro servizio di messaggistica istantanea, che però, per l’appunto, funzionava solo su BlackBerry.

C’erano poi Skype e G-Talk, ma WhatsApp era l’unico che offriva il login con il proprio numero di telefono. In poche parole, a Koum bastò integrare il servizio di messaggistica al lancio di WhatsApp 2.0 per dare il via al fenomeno che noi tutti conosciamo.

Trovate una porta anonima e bussate, l’anormale lancio di WhatsApp

Ma quando entrò concretamente in gioco anche il secondo fondatore, ovvero Acton?

Dapprima Koum lo coinvolse nel progetto in veste di primo essenziale collaboratore al lancio di WhatsApp (Acton infatti nel frattempo si era impelagato nel lancio di un’altra startup, quella sì, senza futuro).

Appena entrato nel progetto, Action riuscì a convincere cinque ex colleghi di Yahoo ad investire 250.000 dollari del lancio di WhatsApp: questo gli valse il ruolo di cofondatore di WhatsApp.

A quel punto però WhatsApp era una app ancora isolata ai soli iPhone: gli altri mercati erano ancora tutti da conquistare, mentre già allora i primi utenti Phone di dimostravano entusiasti per la possibilità di messaggiare gratuitamente ovunque nel mondo (provocando ovviamente mari di invidia agli altri utenti).

Qualcuno osò domandare a Koum perché la gente avrebbe dovuto sobbarcarsi l’onere di scaricare WhatsApp quando di fatto esistevano già gli SMS. Beh, prima di tutto, in molti casi gli SMS venivano pagati non con un fisso mensile, ma uno ad uno, portando il costo della messaggistica a cifre talvolta davvero eccessive.

In altri casi, poi, esistevano dei veri e propri tetti nazionali fissi, oltre ai quali non era possibile scrivere ulteriori messaggi nel giro di 24 ore.

Poi, come sottolineò Koum,

«gli SMS sono ormai una tecnologia morta, come una macchina per fax dimenticata dagli anni Settanta e lasciata lì come una mucca da mungere per gli operatori telefonici».

whatsapp first office

Lo scetticismo iniziale sparì velocemente insieme all’aumentare degli utenti, e con i loro primi dipendenti Koum e Acton si insediarono in un magazzino ristrutturato, condiviso con la nascente Evernote.

Le indicazioni per raggiungerli, tanto per spiegare i toni della startup, erano queste:

«Trovate l’edificio di Evernote. Andate sul retro. Trovare una porta anonima. Bussate».

Come si diceva all’inizio, i due fondatori di WhatsApp non avevano «talento per le stronzate».

Gli investimenti milionari della Sequoia Capital

Per non rischiare di crescere troppo velocemente, e per rientrare almeno in parte dei costi del lancio di Whatsapp (costituiti in primo luogo dai milioni messaggi di verifica da inoltrare ogni qualvolta ai nuovi utenti) i due fondatori decisero di chiedere un fee di un dollaro agli utenti, e furono meravigliati nel constatare che, nonostante il passaggio da app gratuita ad app a pagamento, gli utenti continuavano a crescere, soprattutto con l’aggiunta della possibilità di mandare foto per gli utenti iPhone.

Fu così che, ad un anno dal lancio di WhatsApp, l’applicazione sedeva costantemente nella top 20 dell’App Store.

Eppure nessuna pubblicità era stata fatta, e niente era stato scritto sugli organi di stampa. Come ha spiegato più volte Koum, la stampa

«entra nei tuoi occhi, e così tu non riesci più a focalizzarti sul prodotto».

sequoia capital found whatsapp

Da questo punto di vista, nessuno avrebbe puntato un soldo sul destino favorevole del lancio di WhatsApp. Eppure i venture capitalist più attenti riuscirono a capire che quell’app, pur senza nessuna campagna di marketing a sostenerla, stava incredibilmente per diventare virale: Jim Goetz, partner della Sequoia Capital, investì otto mesi della propria vita per convincere Koum e Acton ad accettare un investimento pari a 8 milioni di dollari, con la promessa da parte di Goetz di non spingere verso alcuna campagna promozionale.

Nel novembre del 2011, WhatsApp era diventata la più scaricata tra le social app a pagamento per iOS ed era stata scaricata 10 milioni di volte su Android. Due anni dopo, Goetz accordò a WhatsApp un ulteriore investimento di 50 milioni di dollari.

Una crescita inarrestabile

Nel 2014, il sogni di Koum e di Action di rivoluzionare l’esperienza telefonica e messaggistica degli utenti era divenuta realtà: a soli 5 anni dal lancio di WhatsApp si potevano contare 50 miliardi di messaggi scambiati ogni giorno dai suoi 500.000.000 di utenti attivi a livello mondiale, ai quali se ne aggiungevano 1 milione di nuovi ogni singolo giorno.

Fu allora, davanti a queste cifre incredibili, che Facebook decise di acquisire WhatsApp per 19 miliardi di dollari: condizione chiave per questa operazione fu la promessa di Zuckerberg di non inserire pubblicità in WhatsApp.

Una app senza pubblicità e a pagamento

Per molti anni, sopra alla scrivania di Koum, è campeggiato un foglio manoscritto di Acton in cui si poteva leggere

«No Ads! No Games! No Gimmiks!»

(niente pubblicità, niente giochi, niente stratagemmi!).

Ma come hanno fatto due informatici anti-marketing a sfondare in questo modo il mercato mondiale con il lancio di WhatsApp?

Come ha spiegato Goetz,

«quando finanziammo per la prima volta WhatsApp nel gennaio del 2011, la app aveva più di 12 competitors diretti, e tutti quanti erano supportati da advertising. Nel solo Botswana c’erano 16 app di social messaging. Han e Brian decisero di ignorare la saggezza convenzionale. Invece di targetizzare gli utenti con della pubblicità – un approccio che impararono a disprezzare ai tempi di Yahoo – decisero di fare il contrario, facendo pagare un dollaro per un prodotto che è basato sul conoscere il meno possibile dell’utente».

Secondo Kouim, infatti, uno smartphone è un device molto personale, e usarlo per inviare della pubblicità – magari nel bel mezzo di una conversazione con la propria famiglia o con il migliore amico – è a suo avviso del tutto sbagliato.

E nonostante questa totale assenza di pubblicità, sia in entrata che in uscita, il lancio di WhatsApp ha avuto un successo inimmaginabile. Senza alcun intermezzo, oltre quell’inconfondibile icona verde e bianca, ci sono solo gli utenti ed il prodotto stesso, il quale si promuove da solo nella sua assoluta semplicità.

Del resto, quando venne acquisita da Facebook, l’azienda di Koum e Acton contava solamente 55 dipendenti, 32 dei quali ingegneri. Insomma, niente di superfluo era ammesso, né sulla app, né in azienda. Nemmeno un’insegna campeggiava  sul nuovo edificio di WhatsApp, dopo quello condiviso con Evernote: secondo Koum, sarebbe stata come una promozione del proprio ego, in quanto «tutti quanti sappiamo già dove lavoriamo».

Una app per le masse

Il successo di WhatsApp, in larga parte, è stato garantito dalla volontà dei due fondatori di guardare alla massa, senza chiudersi nessun mercato. Dagli iPhone ai BlackBerry, da Android a Chrome, fino a Safari, Opera e Firefox. Insomma, WhatsApp funziona ovunque, così da raggiungere il maggior numero di persone possibile.

Questo vuol dire che grazie alla rete è possibile comunicare a costo zero ai due capi del mondo, ma che è anche possibile farlo tra due tecnologie diverse. Un vecchio BlackBerry in Uganda può funzionare perfettamente per comunicare con l’ultimo modello di iPhone di Manhattan.

Le origini ucraine di Koum hanno forse determinato il pensiero globalizzante di WhatsApp? Probabilmente sì.

Ma a spingere WhatsApp è stata la sua enorme convenienza. Dapprima totalmente gratuito, poi a pagamento (risibile) a partire dal secondo anno, e poi di nuovo completamente gratuito, di contro ai prezzi alti dei normali servizi SMS offerti dagli operatori telefonici.

E, a fronte di questa convenienza, tantissimi servizi in più, che si sono sommati anno dopo anno, dall’invio di fotografie e di video alle videotelefonate, passando per la creazione dei gruppi e per l’invio di messaggi audio.

Altra genialata di WhatsApp è poi stata quella di permettere un passaggio del tutto indolore ai suoi servizi: ai nuovi utenti basta infatti confermare il proprio numero di telefono, senza registrazioni lunghe e difficoltose. Inoltre, ai nuovi utenti vengono presentati automaticamente i contatti WhatsApp già presenti nella propria rubrica telefonica! Insomma, una app davvero pronta all’uso e immediata, che però non richiede agli utenti nessun dato: né il nome, né il genere, né l’età.

Perché Facebook ha deciso di acquisire WhatsApp?

Ci sono molto motivi che hanno spinto Facebook ad acquisire WhatsApp. In primo luogo, Zuckerberg in questo modo si è assicurato che WhatsApp non diventasse un concorrente, e poi si è difeso dal fatto che un altro concorrente (leggi: Google) acquistasse l’applicazione, un po’ come Google aveva fatto con YouTube.

whatsapp-growth

Ma non è tutto qui: WhatsApp è anche l’unica app che ha dimostrato una percentuale di utilizzo quotidiano maggiore di quella di Facebook. Insomma, le chance di crescita erano ottime. E infatti, non appena Facebook ha effettuato l’acquisizione, WhatsApp ha iniziato a crescere al ritmo di 25 milioni di utenti al mese.

Una cosa simile era peraltro successa con Instagram: dai 30 milioni di utenti, 3 mesi dopo l’acquisizione, il social network poteva contare 80 milioni di utenti.

Il passaparola

Per il lancio di WhatsApp ancor più che per altri casi, dunque, ad essere determinante è stato soprattutto il passaparola: i nuovi utenti che trovavano utile, conveniente ed efficace la app non facevano altro che diffondere il verbo, perché è proprio questo che si fa quando si è felici di un prodotto o di un servizio.

Si fa passaparola, si consiglia agli amici il nuovo prodotto, tanto più se quel determinato prodotto diventerà più utile se anche i tuoi amici lo adotteranno.

Senza rivolgersi al mondo della pubblicità o a quello della stampa, WhatsApp ha deciso di tagliare ogni intermediario, lasciando al solo prodotto il compito di influenzare gli utenti, i quali – avendo a che fare proprio con un fulgido mezzo di comunicazione – si sono trasformati in formidabili testimonial.

Come ha spiegato Koum,

«Qualche anno fa io e il mio amico Brian abbiamo deciso di costruire un servizio di messaggistica con un unico obiettivo: offrire la migliore user experience possibile. Noi abbiamo scommesso sul fatto che se il nostro team di ingegneri fosse stato in grado di creare un servizio veloce, semplice e personale, noi avremmo potuto fare pagare le persone direttamente per l’utilizzo del servizio, senza doverci appoggiare a fastidiosi banner pubblicitari, a promozioni di giochi e a qualsiasi altra distrazione che solitamente popola le altre app».

E tu, pensi di avere un prodotto oppure un servizio talmente fenomenale, efficace e conveniente da riuscire a promuoversi da solo?

Roberto Serra

Mi chiamo Roberto Serra e sono un digital marketer con una forte passione per la SEO: Mi occupo di posizionamento sui motori di ricerca, strategia digitale e creazione di contenuti.

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