Seo  

Google Analytics 4, SEO e UX come fattore di ranking?

user experience seo

GA 4 ha rivoluzionato tutto e anche in ambito SEO ci sono grandi novità. Qui è dove ti dico cosa sta succedendo!

Se sei arrivato fin qui, probabilmente hai già sentito parlare dell’algoritmo di Google, quel meraviglioso e complicatissimo meccanismo di calcolo che consente al motore di ricerca di decidere se il tuo sito finirà in prima, decima o cinquantesima posizione per una certa query.

A determinare questo risultato sono numerose varianti, che vengono appunto chiamate fattori di ranking – cioè, fattori di posizionamento.

Oggi parliamo di quello che è forse il più importante fattore di ranking, per come si è palesata una vera e propria novità seo: la user experience.

Stop, lo so.

Nella tua testa in questo momento rimbomba una domanda gigantesca:

Ma come??

In che senso il più importante fattore di ranking, Roberto?

E le keyword?

E i link?

E il SEO copywriting?

E la “SEO tecnica”?

E “l’hosting veloce“?

Tranquillo, vieni qui, fatti abbracciare… capisco i tuoi dubbi.

Non solo li capisco, ma so benissimo da dove vengono.

Per anni il consulente seo, l’esperto SEO d’ogni rango e sedicenti tali hanno intasato la conversazione sulla SEO con tecnicismi, astruserie e talvolta vere e proprie ca***te – molte delle cose che credi di sapere sul SEO copywriting rientrano in questa categoria (ne ho parlato qui).

La verità è che tutti i fattori di ranking utilizzati da Google sono in qualche modo figli dell’esperienza utente.

Quello che Google fa (e ha sempre fatto) è cercare di capire quale contenuto risponde meglio alle richieste delle persone. In altre parole, quale contenuto riesce a garantire agli utenti un’esperienza utile e positiva.

Tutto qui?

Beh, sì e no.

Ovviamente il modo in cui Google valuta l’efficacia di un contenuto si è parecchio evoluto dagli anni 90 ad oggi.

Però c’è un assioma che in tutto questo tempo non è cambiato…

L’esperienza utente deve rappresentare il 100% della tua strategia SEO.

È sull’ UX che devi fare il tuo all-in. 

Era vero ieri, è ancora più vero oggi e sarà dannatamente vero anche domani.

E se fino a poco tempo fa potevamo parlare dell’importanza della user experience come fattore di ranking più che altro per deduzione, oggi è Google stesso a indicarci che quella è la via.

Sai come?

Con le ultime evoluzioni della più tecnica e data-based delle creature di Mountain View: Google Analytics.

Google Analytics 4 e il focus sulla User Experience per la SEO

credits: ken-williams.com

Universal Analytics, la versione di Google Analytics che conosci e a cui sei affezionato, è probabilmente destinata a sparire entro la fine del 2021.

Al suo posto avremo la nuova, scintillante versione rilasciata in beta già a ottobre 2020: Google Analytics 4.

(E il 3? No, il 3 non esiste, ma neanche il 2. A Cupertino sono fantasiosi con i nomi)

Ora, fai attenzione.

GA4 si prepara a rivoluzionare completamente il tracking dei siti web.

Non sto esagerando.

Con Analytics 4 cambia veramente tutto, si ribalta il paradigma stesso del programma.

Tre sono (secondo me) le novità più grosse della nuova versione:

  1. Finisce l’epoca delle sessioni, inizia l’era degli eventi;
  2. La classificazione degli eventi diventa standard;
  3. La complessità di utilizzo di GA cresce esponenzialmente. 

Vediamole adesso una per una.

Ora entrerò po’ nel tecnico ma, fidati, vale la pena seguirmi.

Adieu sessioni, welcome eventi

Google analytics 4 & user experience seo
Image credit: cxl.com

La sessione di visita era il perno su cui ruotava tutto il tracking di Universal Analytics (e delle versioni precedenti).

Con GA4, però, la sessione di visita sparisce. In compenso, il tracking degli eventi diventa capillare.

Chiariamo però cosa si intende per eventi.

Eventi sono tutte le azioni che gli utenti compiono sul sito web: clic, scroll, permanenza, riproduzione video, download, compilazione di un form… TUTTO.

Gli eventi, naturalmente, non sono una novità. Anche in UA era possibile tracciare gli eventi sul sito, sempre che si fosse in grado di mettere mano al codice.

Con Google Analytics 4, però, gli eventi assumono una centralità mai vista prima.

Perché?

Semplicemente perché Google si è accorto che tracciare e valutare le sessioni di visita è diventato sempre più difficile, principalmente per via del blocco dei cookie e degli adblock.

Sai cosa invece non si può occultare?

Bingo. Le azioni compiute sul sito.

È per questo che GA4 introduce una nuova metrica nativa, il nuovo golden standard per capire come gli utenti si interfacciano con le tue pagine.

Si chiama user engagement: coinvolgimento dell’utente. 

E sì, è proprio una metrica che misura la qualità della user experience.

Classificazione standard degli eventi

Come ti ho già detto, con Universal Analytics potevi già misurare gli eventi, ovvero le azioni compiute dagli utenti sulle tue pagine web. Il fatto è che potevi gestirli e classificarli un po’ come ti pareva.

Con Google Analytics 4, invece, le categorie diventano standardizzate.

Embè, mi dirai tu, Google ci sta semplificando il lavoro.

Non proprio – ma di questo ne parliamo dopo.

Google ha introdotto una mappatura standardizzata, uguale per tutti i siti del mondo, semplicemente con lo scopo di individuare ancora più facilmente i segnali di interazione.

E secondo te come utilizzerà questi dati?

Per la SEO? 

Certo, ma non solo.

Ricorda sempre che Google è un’azienda. E il cuore del suo business sono gli annunci pubblicitari.

È facile quindi immaginare che questa nuova e gigantesca mole di dati servirà a Google soprattutto per migliorare la targettizzazione degli annunci.

Visto che i regolamenti sulla privacy hanno reso sempre più difficile targettizzare gli utenti sulla base di dati demografici, Big G compensa analizzando per filo e per segno il comportamento degli utenti sul web.

E in base a come interagisci con le pagine (e con quali pagine) è facile capire se sei uno smanettone o la casalinga di Voghera!

Google Analytics 4: un software per pochi

Momento cattive notizie.

GA4, proprio perché è basato sugli eventi – che vengono forniti attraverso un flusso di data stream – è maledettamente complicato.

L’espressione Data Query ti fa pensare più a una band particolarmente estrosa che a un processo informatico?

Allora sei destinato a fare una fatica del diavolo con la nuova versione.

Dimentica la pappa pronta di Universal Analytics, quei dati belli belli e facili da consultare.

Con Analytics 4 la curva di apprendimento si fa infatti moolto più ripida.

Probabilmente con il passare del tempo verranno messi a disposizione dei template per interfacciarsi con lo stream dati, un po’ come succede ora con Google Data Studio.

Ma la strada è ancora lunga, e in salita.

In sintesi, che cosa possiamo capire dall’evoluzione di Google Analytics?

Di tutto questo discorso, due sono le informazioni che ti devi assolutamente portare a casa:

  • Il core business di Google è la vendita di annunci pubblicitari. Lo scopo principale delle evoluzioni a cui lavora è quindi rendere ancora più efficaci le ads, acquisendo sempre più dati per studiare le interazioni degli utenti con i contenuti.
  • La metrica nativa dello user engagement ci dimostra senza più ombra di dubbio che l’esperienza utente per Google è centrale. È facile dedurne che questo parametro acquisirà sempre più valore anche nel determinare il posizionamento organico.

Tutto chiaro?

Bene. Ora che sai perché non possiamo assolutamente ignorare l’esperienza utente, vediamo come lavorare per ottimizzarla.

Leggi anche: La scrittura SEO ha devastato il web, è ora di finirla e qui ti spiego perché

Come migliorare la user experience di un sito web

Ormai dovresti aver capito a grandi linee come Google misura la user experience.

Tutte le azioni che fai quando visiti un sito (scroll, clic, permanenza, rimbalzo, apertura di link, video etc) sono segnali di interazione. 

Mettendo insieme tutti i segnali di tutti i visitatori di una pagina Google riesce a valutare quanto un contenuto è utile, interessante ed efficace.

Ma quindi, come si creano pagine che assicurino una UX da paura?

Beh, la tattica che funziona è una e una sola: concentrarsi sul reale valore comunicativo dei contenuti.

Dunque, tanto per iniziare, smetti di scrivere per Google

Davvero… Mo Basta!

Non perché te l’ho detto io, ma per lo stesso motivo per cui non parli con il tuo frullatore, con il tuo frigorifero o la tua lavastoviglie: è una cosa da pazzi.

Non devi sfornare contenuti costruiti per piacere a una macchina! Quello che scrivi deve piacere agli essere umani che ti leggono.

Va bene, penserai tu, ma cosa vuol dire in soldoni?

Te lo spiego subito.

Quando produci un contenuto web, tre sono i comandamenti da seguire:

  1. Rispondi alle domande
  2. Tieni presente dove sei
  3. Lavora sull’accessibilità e la leggibilità

Adesso ti spiego meglio cosa voglio dire.

Rispondi alle domande

I tuoi contenuti devono prima di tutto rispondere nel modo più diretto e immediato possibile alle domande degli utenti. 

Poi, e solo poi, ci puoi mettere del tuo, aggiungere riflessioni e spunti.

Insomma: niente aranzullate, please.

(Ciao Salvatore, ti penso sempre).

Ma non tutte le ricerche su Google esprimono delle domande, mi dirai tu.

Eh no, caro mio. La domanda c’è, ma non si vede.

Dietro ogni query c’è quello che ogni consulente seo addicted chiama intento di ricerca.

Cosa vuol dire?

Che, semplicemente, ogni ricerca ha un obiettivo, un’intenzione più o meno esplicita.

Ti faccio un esempio.

Se scrivo su Google “ricetta pasta alla carbonara” stai sicuro che non voglio sapere tutta la storia di questo piatto.

Voglio sapere quante uova utilizzare e se è meglio mettere il guanciale o la pancetta.

(Il guanciale, per carità).

QUINDI tu, nel tuo blog di cucina, puoi anche fare a meno delle lunghe introduzioni su cuochi romani, soldati americani e leggende varie sull’origine della ricetta. 

Ho già detto niente aranzullate, giusto?

Che succede invece quando scrivo su Google “miglior hosting wordpress” o peggio ancora… “Cristiano Ronaldo”? 

Eh, qui la questione si fa più complicata.

Potrei infatti voler sapere in che squadra gioca il campione e se sta pensando di cambiare team, ma potrei anche essere curioso di scoprire dov’è nato, quanti anni ha, se è sposato, che riconoscimenti ha ricevuto.

E allora come puoi tu, umile scribacchino, intuire cosa passa per la testa di chi digita questa frase sul motore di ricerca?

Fortunatamente, Google ti viene in soccorso.

È la stessa pagina dei risultati che ti aiuta a decriptare le varie intenzioni di ricerca che possono essere collegate alla query “Cristiano Ronaldo”.

Basta che analizzi:

  • Su cosa si concentrano i risultati che compaiono nelle prime posizioni;
  • I suggerimenti e le keyword correlate che ti dà Google stesso quando digiti sulla search bar;
  • Il box “Le persone hanno chiesto anche” che spesso compare in SERP.

Se ci pensi, è come provarci con una ragazza sapendo già cosa le piace.

Bellissimo, no?

Ecco, con le query puoi farlo. 

Puoi capire esattamente cosa vogliono sapere le persone che digitano una certa parola chiave, e poi fornire la risposta a quelle domande.

Capisci allora che tutti quei discorsi sul “SEO copywriting” diventano inutili?

Un contenuto non deve sempre essere lunghissimo: deve essere lungo quanto basta per fornire una risposta alla domanda.

Un contenuto non deve essere zeppo di parole chiave: se scrivi su un certo argomento in modo naturale, è ovvio che utilizzerai le parole chiave!

 

meme user experience e SEO

Ma userai sicuramente anche sinonimi, perifrasi e termini dello stesso campo semantico che, guarda caso, Google valuta positivamente, perché sono rilevanti rispetto all’intenzione degli utenti.

Insomma, se riesci a intercettare correttamente l’intento di ricerca sei già a metà dell’opera.

Tieni presente dove sei

Questo punto è super importante, più che altro perché viene spessissimo trascurato.

Devi sempre, sempre, sempre tenere in considerazione come le persone fruiscono i tuoi contenuti.

Pensa a te stesso.

Quand’è che fai una ricerca su Google?

A volte, certo, seduto alla tua scrivania, con tutto il tempo del mondo a disposizione.

Più spesso, però, mentre sei sul divano e aspetti che sia pronta la cena, durante la pausa caffè, mentre sei seduto sul water.

E quindi?

Quindi la tua soglia dell’attenzione è bassa, drammaticamente bassa.

Ne consegue che i testi sul web non vengono letti dall’inizio alla fine, come succede con i libri o con gli articoli di una rivista cartacea (e anche qui, solo a volte). 

Quando leggiamo sul web lo sguardo scorre, scansiona, si ferma solo sugli elementi più interessanti.

Il nostro compito come content creator diventa quindi quello di tenere imbrigliata l’attenzione dei visitatori, a qualunque costo.

Solo se sei Seth Godin ti puoi permettere oggi di pubblicare un articolo di blog completamente bianco, con quattro righe di testo in cui esprimi la tua illuminazione del giorno.

Noi comuni mortali dobbiamo invece sputare sangue per convincere gli omini sul water ad andare avanti, leggere un’altra riga, un’altra ancora e un’altra ancora.

Grazie al cielo però c’è chi ha già fatto un po’ di lavoro per noi.

Esistono infatti alcune strategie e trucchetti ben rodati che possono aiutare a mantenere alta la soglia dell’attenzione.

Ne parliamo nel prossimo paragrafo.

Leggi anche: SEO Marketing VS Annunci a pagamento

Lavora sulla leggibilità e l’accessibilità

Poco fa abbiamo visto che sul web la soglia dell’attenzione media è letteralmente sotto le scarpe. 

Questo succede per vari motivi: principalmente perché di solito fruiamo i contenuti digitali in situazioni in cui abbiamo poco tempo o non siamo molto concentrati, ma anche per una serie di ragioni più tecniche legate alla lettura tramite schermo, su cui ora non mi dilungo.

Comunque sia, quando creiamo un contenuto dobbiamo assicurarci che i nostri visitatori rimangano incollati a quel cacchio di monitor.

Riuscire a mantenere viva l’attenzione vuol dire infatti garantire un esperienza di pagina più profonda, scatenare segnali di interazione positiva e, in ultima analisi, guadagnare posizioni su Google.

Insomma, è un circolo virtuoso.

Ci sei fin qui?

Ora, le best practice per tenere alto il coinvolgimento sono molte.

Alcune hanno a che fare con la struttura del contenuto e i metodi di scrittura, altre con la formattazione, altre ancora con l’uso dei media.

Qui sotto ti metto un elenco solo parziale, che contiene proprio le basi, quelle indicazioni di cui secondo me non puoi proprio fare a meno.

Ciccia first

Se l’utente si trova a dover scrollare per dieci minuti prima di trovare la risposta che cerca, il tuo non è un buon contenuto. Punto.

Focalizza le cose importanti già nell’introduzione, aggancia subito il tuo lettore. 

Dopo e solo dopo puoi prenderti il tempo di sviluppare il ragionamento e scendere nei dettagli.

PS Questo metodo non l’hanno inventato i marketers: deriva dal giornalismo e si chiama piramide rovesciata. Come vedi, il problema dell’attenzione dei lettori non è certo una novità.

  La formattazione è tua amica

Abbiamo assodato che sul web la maggior parte delle persone non legge, ma scansiona i contenuti alla ricerca delle parti a cui sono più interessate.

Dovrai quindi fornire alle persone degli appigli visivi per facilitare la lettura.

Dunque:

  • Usa paragrafi corti, di massimo poche righe. Non c’è niente che fa passare la voglia di leggere quanto un muro di testo;
  • Usa i grassetti per evidenziare le parole più importanti (senza abusarne);
  • Usa gli elenchi puntati;
  • Usa le immagini e i media per arricchire il contenuto.

Permettimi di soffermarmi un secondo su quest’ultima nota.

Voglio sottolinearlo: le immagini non sono lì per dare colore alla pagina.

La grafica della pagina deve servire a calamitare il lettore, deve ribadire i concetti più importanti passati nel testo e magari attirare lo sguardo su un punto strategico.

In altre parole, deve comunicare.

Ricordatelo la prossima volta che sei tentato di acquistare l’ennesima foto di stock di un tizio incravattato con un sorriso ebete.

  Più accessibile è meglio

Non tutti i visitatori del tuo sito potrebbero avere tempo e voglia di leggere quello che hai scritto. 

O magari potrebbero non averceli nel momento in cui compiono la ricerca: forse devono preparare il pranzo, andare a prendere i figli a scuola, fare una lavatrice…

Oppure, semplicemente, non sono persone abituate alle letture lunghe, quindi si annoiano in fretta.

Ecco, se vuoi cercare di arrivare a tutti gli utenti possibili, una buona idea è quella di moltiplicare le modalità di fruizione.

Un articolo, ad esempio, può facilmente trasformarsi in un video, in un podcast, nel capitolo di un ebook, in un template da scaricare…

Certo, parliamo di un bell’investimento di tempo da parte tua.

Ma se con il solo testo riesci magari a coinvolgere 50 utenti, con un video potresti riuscire a catturarne altrettanti.

Questo pesa tantissimo in termini di interazione con la pagina… e quindi, di ranking su Google.

User Experience: la prova del nove

Sai qual è la prova definitiva e inoppugnabile per sapere se stai facendo un buon lavoro con la user experience?

Il tasso di conversione.

Un sito con una buona UX converte. E più migliorerai la user experience, più il sito convertità.

That’s it.

Lascia che ti racconti un fatto successo di recente.

Qualche tempo fa mi è capitato di analizzare un sito di un cliente che lavora nell’ambito della comunicazione. 

Questo sito era fighissimo. 

Bello da vedere, studiato nel dettaglio, con gli effettini di movimento fighi, foto spaziali e titoletti ammiccanti.

Solo che non convertiva. Perché, alla fine, quel sito non era altro che una bellissima brochure piazzata online.

Quel giorno ho pensato molto intensamente al mio blog, questo che stai leggendo.

Ecco, il mio blog non si può certo definire figo. 

Al massimo è il cugino un po’ sfigato dei blog fighi, quello con l’apparecchio e il maglione troppo largo ereditato dal fratello maggiore.

Ma è un blog che fa benissimo il suo mestiere:

  • portare visitatori da Google
  • convertire e generare lead… che poi si trasformano in clienti. 

In altre parole, crea business.

Quello che sto cercando di dirti è questo: tutto il discorso sulla user experience non è solo una gigantesca pippa mentale, una roba da smanettoni.

Migliorare l’esperienza delle persone sul tuo sito vuol dire far davvero funzionare il tuo sito.

Vuol dire fare impresa. Generare fatturato. Fare soldi.

Un sito chiaro, che arriva dritto al punto e che è anche facile da usare fa sentire bene le persone. 

Gli fa venire voglia di leggere quello che scrivi, ascoltare i tuoi video, scaricare i tuoi lead magnet, mettersi in contatto con te.

A quel punto Google non fa altro che intercettare i segnali positivi e fare il suo lavoro,  facendoti scalare la SERP.

Ma tu non devi pensare a come guadagnarti i favori di una macchina. Tu devi sedurre le persone.

Il resto, fidati, viene da sé.

Riassumendo….

  • La user experience è un ingrediente fondamentale per un buon posizionamento SEO. Cosa ancora più importante, una buona user experience fa funzionare davvero il tuo sito, fa convertire = genera fatturato.
  • Le ultime mosse di Google dimostrano che nel futuro la user experience sarà sempre più centrale per il ranking. Google Analytics 4 e la metrica nativa dello user engagement confermano che si sta procedendo esattamente in questa direzione.
  • Per migliorare la user experience del tuo sito devi tenere presente le peculiarità dell’ambiente web, le modalità di lettura e fruizione dei contenuti. Più di tutto, devi smettere di creare contenuti per le macchine (Google) e iniziare a capire come sedurre e convincere le persone.

Spero di averti tolto un po’ di dubbi.
Comunque se hai ancora domande o ti serve un consiglio mi trovi qui, come sempre.

Roberto Serra

Mi chiamo Roberto Serra e sono un digital marketer con una forte passione per la SEO: Mi occupo di posizionamento sui motori di ricerca, strategia digitale e creazione di contenuti.

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