Un’analisi approfondita delle strategie SEO rischiose e delle “soluzioni” offerte, rivelando come la duplicazione di contenuti, anche involontaria, può compromettere la visibilità online e l’autorevolezza di un brand.
La strategia di clonare siti web con contenuti molto simili, nel tentativo di aumentare la visibilità, presenta seri rischi SEO. Nonostante Google affermi che i contenuti duplicati non siano sempre penalizzati, questa pratica confonde i motori di ricerca, frammenta l'autorità online e riduce la visibilità complessiva. Gli esperti sconsigliano questa tattica, preferendo una struttura centralizzata e unica.
Siti web clonati: un rischio calcolato o un suicidio SEO annunciato?
Ti è mai capitato di pensare: “E se creassi un altro sito, molto simile al primo, per coprire magari una nicchia leggermente diversa o un’altra città?”
Sembra una mossa astuta per raddoppiare la visibilità, vero?
Eppure, dietro questa strategia apparentemente innocua si nasconde un groviglio di problemi che potrebbero far colare a picco i tuoi sforzi SEO. Non si tratta solo di una “penalizzazione” diretta da parte di Google, un concetto che ormai fa quasi sorridere per quanto è stato dibattuto e, diciamocelo, spesso frainteso. La questione è molto più sottile e, per certi versi, insidiosa.
Pensa ai motori di ricerca come a dei selezionatori un po’ pignoli: se gli presenti due candidati quasi identici per lo stesso posto, come pensi che reagiscano? Probabilmente, nel dubbio, li scartano entrambi o, peggio ancora, ne scelgono uno a caso, lasciando l’altro nell’ombra.
Questo è esattamente ciò che rischia di accadere quando si mettono online contenuti troppo simili su domini diversi: una confusione che, come descritto da Boomcycle, può portare a una frammentazione della tua autorevolezza online, la cosiddetta ‘link equity’, disperdendo quei preziosi link che con tanta fatica hai costruito.
E se pensi che questo sia solo un dettaglio tecnico, preparati, perché la storia si complica ulteriormente.
Le voci dal coro: cosa dicono davvero gli esperti e… google?
Sentiamo spesso i giganti del web, come Google, rassicurarci sul fatto che i contenuti duplicati non sono il male assoluto, a meno che non ci sia un chiaro intento manipolativo. Già nel lontano 2013, una figura di spicco come Matt Cutts, all’epoca ingegnere in Google, ammetteva che una percentuale enorme del web, tra il 25% e il 30%, è costituita da contenuti duplicati. Più di recente, John Mueller, altro volto noto di Google, ha ribadito che avere contenuti identici non è di per sé un fattore di ranking negativo, spostando l’attenzione sull’intento dell’utente.
Tutto a posto, quindi?
Non proprio.
Perché se da un lato Google minimizza il “rischio penalizzazione”, dall’altro è la stessa logica del suo algoritmo a remare contro. Come evidenziato da The Edigital, la presenza di contenuti duplicati crea una sorta di “paralisi decisionale” per il motore di ricerca: quale versione premiare? È un po’ come in un talent show dove due concorrenti cantano la stessa canzone allo stesso modo: i giudici potrebbero trovarsi in imbarazzo. E questo imbarazzo, nel mondo della SEO, si traduce spesso in una visibilità ridotta per entrambe le tue proprietà online.
Ma c’è chi, come gli esperti sul forum di Moz, mette in guardia da tempo su pratiche come la creazione di micrositi cittadini con contenuti riciclati, suggerendo che una struttura centralizzata e ben organizzata su un unico dominio sia di gran lunga preferibile.
E ti sei mai chiesto se le “soluzioni ufficiali” proposte siano davvero risolutive o solo un modo per gestire un problema creato, in parte, dalle stesse logiche dei motori?
Strategie di contenimento: palliativi o reali soluzioni?
Di fronte a questo scenario, ci vengono spesso presentate delle “soluzioni tecniche”. Si parla tanto di tag rel=canonical
per indicare la versione preferita di un contenuto, o di noindex
per le pagine meno importanti. Strumenti che, sulla carta, dovrebbero aiutare i motori a fare ordine. Ma, siamo onesti, quanto possono essere efficaci quando la strategia di fondo è quella di frammentare la propria presenza online? Come sottolineato da ClearVoice, queste sono più che altro pezze, tentativi di arginare un problema che nasce a monte.
La verità, spesso scomoda, è che avere due o più siti web con contenuti sostanzialmente identici, anche se con piccole variazioni, rischia di diluire i tuoi sforzi, il tuo budget e, soprattutto, la percezione del tuo brand. Invece di costruire un’unica fortezza autorevole, ti ritrovi con tanti piccoli fortini, più facili da ignorare.
Certo, ci sono situazioni, come le versioni per stampanti o i siti di staging, dove la duplicazione è quasi inevitabile e gestibile tecnicamente. Ma quando si tratta di una scelta strategica consapevole, forse è il caso di chiedersi:
Sto davvero servendo meglio il mio utente, o sto solo cercando una scorciatoia che, alla lunga, potrebbe portarmi fuori strada?
La vera sfida è capire l’intento dell’utente.
E quanti utenti cercano attivamente due siti quasi identici della stessa azienda?
Probabilmente nessuno.
Forse, la vera domanda non è “Google mi penalizzerà?”, ma “Sto costruendo qualcosa di veramente solido e unico, o sto solo aggiungendo rumore al rumore?”.