OpenAI lancia HealthBench: il test di maturità per l’AI medica?

Anita Innocenti

HealthBench promette di valutare l’AI medica come un esame di maturità, ma il settore è pieno di promesse non mantenute e nodi etici da sciogliere

OpenAI ha annunciato HealthBench il 12 maggio 2025, un nuovo strumento per valutare le capacità delle intelligenze artificiali in medicina. Progettato per testare diagnosi, ragionamento clinico e analisi dati (anche immagini), arriva mentre il settore AI per la salute è in pieno boom ma affronta significative sfide pratiche ed etiche.

Ma cos’è esattamente questo healthbench?

Immagina di dover dare un esame di maturità a un’AI per vedere se può davvero fare il medico.

Ecco, HealthBench vorrebbe essere proprio questo: un banco di prova super specializzato. Dicono che non si limita a leggere testi, ma analizza anche immagini mediche e simula persino come i farmaci interagiscono tra loro. Il tutto condito da scenari clinici che, assicurano loro, sono stati validati da medici in carne edossa e hanno livelli di difficoltà simili agli esami di abilitazione.

Suona impressionante, vero?

Ma, diciamocelo, creare simulazioni “realistiche” in laboratorio è una cosa, affrontare la complessità e l’imprevedibilità di un paziente vero è tutta un’altra storia.

Sarà davvero uno strumento utile per capire se possiamo fidarci o è solo l’ennesimo benchmark accademico buono per le pubblicazioni scientifiche?

E mentre OpenAI ci racconta le meraviglie di HealthBench, cosa succede là fuori nel mondo reale dell’AI applicata alla salute?

Belle promesse, ma la realtà del settore com’è messa?

Qui le cose si fanno interessanti. Perché se da un lato vedi colossi come Google che lanciano i loro modelli per scoprire nuovi farmaci, dall’altro il settore è reduce da scottature non da poco. Come descritto da TechCrunch, sono stati investiti fior di quattrini – si parla di 60 miliardi di dollari solo nelle startup di AI per la scoperta di farmaci – ma abbiamo visto anche fallimenti clinici clamorosi da aziende che sembravano promettere miracoli.

Insomma, un sacco di hype, ma risultati concreti ancora pochi.

E in questo scenario, le dichiarazioni ufficiali sono eloquenti:

Google parla della necessità di AI che capiscano sia le molecole che il contesto clinico, mentre OpenAI, tramite le parole di Christopher Lehane in un documento ufficiale, afferma di voler “scalare l’ingegno umano con strumenti AI verificati”.

Belle parole, certo, ma la verifica sul campo è ancora tutta da dimostrare.

Il punto è: siamo sicuri che un altro benchmark, per quanto sofisticato, sia quello che serve davvero ora?

Non è che ci stiamo concentrando troppo sugli strumenti di misurazione invece che sulla sostanza, sui problemi reali che queste tecnologie portano con sé?

Non è tutto oro quello che luccica: i nodi etici e pratici

E qui casca l’asino. Perché HealthBench, per funzionare, ha bisogno di dati, tanti dati, inclusi quelli dei pazienti (anche se dicono de-identificati). E subito si riaccende il dibattito sulla privacy, su chi controlla questi dati e come vengono usati.

Poi c’è la questione della fiducia: i medici si fideranno di uno strumento valutato da HealthBench? Le associazioni mediche, come l’American Medical Association (AMA), già mettono le mani avanti chiedendo validazioni indipendenti prima di dare qualsiasi benedizione.

E se poi l’AI sbaglia diagnosi?

Chi paga? L’ospedale, il medico, OpenAI?

Domande pesantissime a cui nessuno, al momento, sembra avere una risposta chiara.

Certo, HealthBench promette di essere più avanzato dei benchmark precedenti, con simulazioni dinamiche e analisi cross-modali, ma risolve davvero questi dilemmi etici e legali? O è solo un modo per OpenAI di dire “noi vi diamo lo strumento per misurare, poi la responsabilità è vostra”?

Alla fine della fiera, questo HealthBench è senza dubbio un pezzo interessante del puzzle tecnologico. Ma siamo onesti: al momento è più fumo che arrosto per chi lavora sul campo, un framework di ricerca, come ammesso nelle note ufficiali di OpenAI, non certo uno strumento pronto per l’uso in ospedale domani mattina.

È un passo avanti nella valutazione tecnica, forse, ma la strada per un’AI medica davvero affidabile, etica e integrata nella pratica clinica è ancora lunga e piena di curve. Vedremo se OpenAI e gli altri colossi riusciranno a percorrerla senza combinare troppi pasticci o se si limiteranno a venderci l’ennesimo gadget tecnologico dalle promesse mirabolanti.

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Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

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