Intanto la mancata trasparenza nei dati della Search Console complica l’analisi delle performance SEO, alimentando lo scetticismo sul modello proposto da Mountain View
📌 TAKE AWAYS
- Sundar Pichai sostiene che l’introduzione dell’AI Mode generi più traffico al web che mai. Tuttavia, i dati raccontano un’altra storia.
- AI Mode non è distinguibile come sorgente separata in strumenti cruciali come Google Search Console e Google Analytics.
- Per restare visibili, i brand devono produrre contenuti che siano “digeribili” per i modelli linguistici, citabili nelle risposte IA, e capaci di stimolare l’interazione oltre la semplice lettura. Serve una strategia SEO evoluta, che tenga conto del comportamento conversazionale degli utenti, della multicanalità e del peso crescente di Google Discover come fonte di traffico.
L’AI Mode di Google promette più traffico ai siti, Sundar Pichai rassicura gli scettici, ma i dati mostrano l’opposto.
Editori e SEO denunciano cali di visibilità e mancanza di trasparenza.
Serve una strategia nuova per restare rilevanti nell’era dell’intelligenza artificiale.
Hai seguito per caso Google I/O 2025 la conferenza annuale degli sviluppatori di Google?
Palco luccicante, annunci roboanti e, al centro di tutto, l’Intelligenza Artificiale.
Sundar Pichai, con la sua consueta pacatezza, ha descritto un futuro in cui l’IA non è solo uno strumento, ma una vera e propria “nuova fase del cambio di piattaforma”, paragonabile all’avvento di internet o del mobile.
Sì, con l’avvento di AI Mode, la Search, per come la conosciamo, non sarà più la stessa.
Nilay Patel, caporedattore di The Verge, uno che le domande scomode le sa fare, ha incalzato Pichai proprio su questo.
Se da un lato Google sbandiera di inviare “più traffico al web che mai”, dall’altro i grandi editori – gente come Condé Nast, The New York Times e Vox Media, la casa madre di The Verge – non usano mezzi termini.
La News Media Alliance, l’associazione che li rappresenta, ha definito l’AI Mode un vero e proprio “furto”. L’accusa è pesante: Google userebbe i contenuti prodotti con fatica e investimenti dagli editori per generare risposte IA complete, senza però garantire un adeguato ritorno economico.
Un bel problema, no?
Pichai, però, non si scompone. Sfodera un ottimismo che quasi commuove.
A suo dire, il web publishing non solo non è morto, ma gode di ottima salute.
Pensa un po’: secondo il CEO di Google, il numero di pagine web è aumentato del 45% negli ultimi due anni. Un dato impressionante.
Ma da dove arriva questa crescita?
Pichai esclude che la causa sia l’uso massiccio dell’IA per generare contenuti a raffica (il cosiddetto “content spamming”). No, per lui si tratta di un’espansione “reale” della produzione di contenuti da parte degli utenti. Sarà… ma il sospetto che molta di questa “crescita” sia fuffa generata algoritmicamente, beh, rimane.
Patel ha poi provocato Pichai, ipotizzando che se The Verge nascesse oggi, probabilmente non partirebbe da un sito web tradizionale, ma punterebbe tutto su piattaforme come TikTok o YouTube.
La risposta di Pichai?
Un cortese disaccordo.
Ma veniamo al cuore della questione: AI Mode.
Pichai difende la sua creatura, sottolineando che continuerà a generare traffico verso i siti web (nonostante le polemiche a riguardo).
Come?
Grazie a un sistema di citazioni e fonti ben visibili. Non solo, ma la qualità del traffico di riferimento (il cosiddetto “referral traffic”) sarebbe addirittura in aumento.
“Vedrete”, sembra dire Pichai, “tra cinque anni Google invierà ancora un sacco di traffico al web”.
Anzi, rincara la dose: Google sarebbe l’unica grande piattaforma tecnologica ancora seriamente impegnata a supportare l’ecosistema web, mentre i “nuovi attori” (non fa nomi, ma chissà a chi si riferiva…) non avrebbero questa priorità.
Un po’ come dire: “Ringraziate che ci siamo noi”.
Certo, Pichai ammette che esistono “inevitabilmente tensioni sui valori di scambio” tra Google e chi produce contenuti. Un eufemismo per descrivere battaglie legali miliardarie e accuse di pratiche monopolistiche, ma tant’è.
Storicamente, dice, Google ha sempre lavorato per equilibrare gli interessi e migliorare l’esperienza dell’utente.
La domanda è: l’equilibrio attuale pende più dalla parte di Google o da quella dei creatori di contenuti?
Infine, il CEO di Google riconosce che l’IA sta trasformando profondamente il modo in cui interagiamo con i contenuti (e questo l’aveva già detto qualche mese fa). Ma, insiste, il web continuerà a essere centrale, “anche se in forme diverse da quelle attuali”.
Ecco, questo è il punto.
Perché quelle “forme diverse” si chiamano LLM, motori di risposta IA. E tu se vuoi restare visibile e conquistare le IA (e quindi avere più clienti), devi rivolgerti a un’agenzia SEO che sappia parlare la lingua dell’IA.
Le voci critiche: AI Mode VS Publisher
Mentre Pichai dipinge questo quadro rassicurante, ci sono voci molto autorevoli nel settore SEO che sollevano più di una perplessità.
Una di queste è Lily Ray, un nome di spicco nell’analisi SEO.
Secondo Ray, l’AI Mode, pur essendo una tecnologia affascinante, presenta delle criticità non da poco per chi vive di traffico organico, come ci ha detto durante la nostra chiacchierata.
Come funziona, in soldoni?
L’AI Mode scompone le tue domande (le “query”) in sotto-temi e avvia ricerche parallele per poi “sintetizzare” una risposta che si presume esaustiva.
Il problema?
Non sempre questa modalità favorisce il click verso siti esterni.
Spesso, infatti, fornisce risposte talmente complete all’interno della pagina di Google che l’utente non sente il bisogno di approfondire altrove.
I link ai siti originali ci sono, certo, ma a volte sono ridotti, un po’ nascosti, quasi un contentino.
E se l’utente ottiene già tutto quello che cerca direttamente su Google, perché mai dovrebbe cliccare e visitare il tuo sito, dove magari hai della pubblicità o un prodotto da vendere?
Questo, capisci bene, potrebbe penalizzare pesantemente editori e siti che monetizzano grazie al traffico organico, come ci ha chiarito Lily Ray.
Dal punto di vista tecnico, per noi addetti ai lavori SEO, c’è poi un altro grattacapo.
L’AI Mode non è tracciabile separatamente in strumenti fondamentali come Google Search Console (almeno finora) o Google Analytics.
Immagina di dover guidare bendato: ecco, più o meno è questa la sensazione.
John Mueller, pezzo grosso di Google, aveva promesso miglioramenti su LinkedIn, e qualcosa si è mosso, ma la trasparenza non è ancora ottimale.
La Search Console probabilmente mostrerà i dati di performance di AI Mode, ma non sarà possibile scorporarli per analizzarli singolarmente rispetto alla ricerca web tradizionale. Una limitazione non da poco per chi deve prendere decisioni strategiche basate sui dati.
Diversi studi indipendenti hanno iniziato a evidenziare cali significativi di traffico organico quando nei risultati di ricerca compaiono le “AI Overviews” (le risposte generate dall’AI che precedono i link tradizionali) e, a maggior ragione, con l’uso intensivo dell’AI Mode.
Ad esempio, Carly Steven, SEO Director di Mail Online, ha dichiarato a Press Gazette che le AI Overviews hanno portato a tassi di click “inferiori del 56,1% su desktop e del 48,2% su mobile”.
Numeri che non possono farti stare contento.
Per questo, oggi più che mai, è vitale un’ottimizzazione SEO seria basata sui dati, come ci ha raccontato Dan Petrovic durante la nostra intervista, non soluzioni approssimative legate a vecchie logiche di posizionamento.
Il bug dell’attribuzione: quando l’organico diventa “diretto” (e i dati impazziscono)
Come se non bastasse, il 28 maggio 2025 c’è stato un “simpatico” bug che ha gettato ulteriore scompiglio.
Google, infatti, ha dovuto risolvere un problema di attribuzione del traffico generato da AI Mode: questo traffico veniva erroneamente classificato come “direct” (traffico diretto, come se l’utente avesse digitato l’URL del tuo sito direttamente nel browser) invece che “organic” (traffico proveniente dalla ricerca organica di Google).
Il colpevole?
Un pezzetto di codice, rel=”noopener noreferrer”, inserito nei link di AI Mode.
Questo codice, pensato per ragioni di sicurezza, impediva il corretto tracciamento della provenienza del traffico. Esperti SEO come Maga Sikora, Barry Schwartz e Aleyda Solis hanno prontamente segnalato l’anomalia.
Google, per fortuna, ha confermato il bug e lo ha risolto abbastanza rapidamente, come confermato poi da John Mueller.
Ora, il traffico da AI Mode dovrebbe essere correttamente identificato come organico.
Perché questo è importante per te?
Perché per alcuni giorni, i tuoi dati SEO potrebbero essere stati falsati.
Potresti aver visto un calo inspiegabile del traffico organico e un aumento del traffico diretto, sottostimando le performance reali delle tue attività SEO.
E decisioni di budget, analisi delle conversioni e reportistica potrebbero aver preso una brutta piega basandosi su dati inquinati.
Un bel pasticcio, che sottolinea ancora una volta quanto sia importante rivolgersi a consulenti SEO esperti per un monitoraggio attento e competente.
L’Intelligenza Artificiale è il nuovo Eldorado (o un campo minato)?
Tornando all’intervista di Pichai, emerge una visione in cui l’IA non è solo un “chatbot evoluto” (checché ne dica Liz Reid), ma un motore per creare “nuove ondate di cose”, proprio come fecero internet e il mobile.
Pensa alla “vibe coding”, la capacità di creare applicazioni quasi descrivendo a parole l’idea, o a strumenti come Veo per generare video.
Pichai vede un futuro in cui l’AI “turbocomprimerà” la creazione di contenuti e applicazioni in modi che oggi possiamo solo immaginare. E qui cita anche prodotti come NotebookLM e Flow, che permettono di interagire e creare con l’IA.
Parla anche di un futuro in cui l’IA renderà semplicissimo il passaggio da un formato all’altro, grazie a modelli nativamente multimodali.
Immagina di avere un podcast e di poterlo trasformare quasi istantaneamente in una serie di articoli per il blog o in un video per YouTube.
Affascinante, vero?
Ma la vera frontiera, sarà quando l’IA si tradurrà nel mondo fisico attraverso la robotica.
Quello sarà il prossimo grande “platform shift” con cui dovremo fare i conti.
Non più solo informazioni e servizi digitali, ma robot che interagiscono con la realtà.
Un esempio già esistente? Waymo, le auto a guida autonoma di Google.
Tutto molto bello, futuristico e, per certi versi, esaltante.
Ma la domanda che ti ronza in testa è sempre la stessa:
“E il mio sito? Il mio brand? Come faccio a rimanere a galla e, possibilmente, a prosperare in questo mare magnum di IA, agenti intelligenti e risposte preconfezionate?”
Oltre le rassicurazioni di Pichai: fatti citare (e trovare) dall’IA
Ecco, siamo al dunque.
L’AI Mode e le AI Overviews rappresentano una rivoluzione nel modo in cui gli utenti interagiscono con la ricerca.
Pichai può dire che il web è più vivo che mai e che Google manda più traffico, ma la realtà sul campo, come testimoniano le preoccupazioni di analisti ed editori, è complessa e piena di insidie.
Non si tratta di demonizzare l’IA, sia chiaro. È uno strumento potentissimo con potenzialità incredibili. Ma come ogni strumento, va capito e gestito.
E qui entra in gioco la figura dell’esperto SEO.
Perché oggi, più che mai, fare SEO non significa solo “ottimizzare per Google”.
Significa capire come l’IA sta cambiando le SERP (pagine dei risultati di ricerca), come gli utenti formulano le query (diventano più lunghe, conversazionali, complesse), e dove cercano le informazioni (non solo Google, ma anche TikTok, YouTube, e direttamente dentro le interfacce IA).
Non basta più creare contenuti che rispondano a una singola keyword.
Bisogna pensare a contenuti che possano essere “digeriti” e usati dall’IA per costruire le sue risposte, ma che allo stesso tempo incentivino il click per approfondimenti, esperienze uniche o transazioni che l’IA non può offrire.
Il tuo brand deve essere menzionato positivamente nelle risposte IA, anche se questo non porta un click diretto immediato.
Devi puntare di più su Google Discover, che sta arrivando anche su desktop e può portare traffico significativo.
Devi diversificare, rafforzando la tua presenza su altre piattaforme dove il tuo target si informa e interagisce.
L’AI Mode è realtà, ma non è la fine del mondo per il tuo sito.
Vedilo come un segnale che ti dice: è ora di evolvere, di smetterla con il content marketing tradizionale come ci ha detto Dan Petrovic e di affidarsi a chi sa come muoversi in questo nuovo, entusiasmante e un po’ spaventoso scenario.
Il tuo brand merita di essere visibile, oggi più che mai. E un buon consulente SEO è l’investimento migliore per assicurarti che ciò accada.
Se vuoi sapere come fare, contatta la mia agenzia.
Sundar Pichai difende l’AI Mode: Domande Frequenti
Cos’è l’AI Mode di Google e perché è al centro delle polemiche?
L’AI Mode è una nuova modalità della Ricerca Google basata sull’intelligenza artificiale generativa. Fornisce risposte sintetiche e complete direttamente nella SERP, riducendo la necessità per gli utenti di cliccare sui link esterni. Questo ha sollevato forti critiche da parte degli editori, che vedono eroso il traffico verso i loro siti e minacciato il proprio modello economico.
Perché l’AI Mode complica l’analisi SEO?
L’AI Mode non è ancora tracciabile separatamente in Google Search Console, rendendo difficile capire quanto traffico provenga da questa nuova funzionalità. Inoltre, un recente bug ha fatto sì che il traffico fosse erroneamente attribuito come “direct” invece che “organic”, falsando i dati e le analisi SEO.
Come devono adattarsi i siti web all’era dell’intelligenza artificiale?
I siti devono creare contenuti che possano essere utilizzati dai modelli IA per generare risposte, ma che siano anche in grado di stimolare il click per approfondimenti o azioni specifiche. È fondamentale diversificare la presenza su altre piattaforme, come Discover, TikTok e YouTube, e affidarsi a una strategia SEO avanzata orientata all’IA.