LinkedIn e l’AI che non decolla: il CEO ammette la verità

Anita Innocenti

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Tra timori per l’autenticità e la paura di perdere il lavoro, l’AI di LinkedIn fatica a decollare, sollevando interrogativi sull’adozione di massa dell’intelligenza artificiale nel mondo professionale

Ryan Roslansky, CEO di LinkedIn, ha ammesso che l'adozione dell'assistente di scrittura AI della piattaforma è stata "non così popolare come pensavo". Questa sorprendente confessione contrasta con il rapido aumento dell'uso di strumenti AI in altri settori, sollevando interrogativi sul perché gli utenti di LinkedIn siano restii a utilizzare la funzionalità, forse per timore di perdere autenticità o il lavoro stesso.

LinkedIn e l’AI che non decolla: il CEO butta lì la verità

Te lo immagini il CEO di LinkedIn, Ryan Roslansky, che in pratica ammette: “Sì, il nostro assistente di scrittura AI, quello che doveva aiutarti a fare faville con i post, beh, non se lo fila quasi nessuno”?

È successo davvero, come riportato da TechCrunch.

Una bella doccia fredda, che ci dice una cosa chiara: tra quello che si aspettavano a Redmond e come la gente sta usando davvero questi strumenti AI per comunicare sul lavoro, c’è un bel burrone. Roslansky, senza troppi giri di parole, ha confessato a Bloomberg che l’adozione è stata “francamente, non così popolare come pensavo”. Una sincerità che quasi sorprende, venendo dal capo di un colosso tech che parla di una sua creatura AI che fa cilecca.

E la cosa stona ancora di più se pensi che, fuori da LinkedIn, gli strumenti di scrittura AI sembrano andare a ruba: SiegeMedia.com ci dice che il 90% dei content marketer prevede di usare l’AI nel 2025 (erano il 64,7% nel 2023) e quasi la metà la usa già per creare contenuti.

Insomma, tutti la vogliono, tranne che su LinkedIn?

C’è qualcosa che non torna, non trovi?

Ma perché questa freddezza verso l’AI “made in LinkedIn”?

Allora, perché questo assistente AI di LinkedIn non sta scaldando i cuori?

Le ragioni sembrano essere un bel mix.

Prima di tutto, c’è la questione dell’autenticità: su una piattaforma dove ti giochi la tua reputazione professionale, quanto vuoi che un robottino metta bocca su quello che scrivi? Molti, a quanto pare, temono che l’AI annacqui la loro voce, quella vera, quella che li distingue.

Aggiungici pure che, come sottolinea EchoCraftAI.com, il 53% dei lavoratori della conoscenza ha il terrore che l’AI gli soffi il posto… figurati se si mettono a usarla per far sembrare il loro lavoro meno “loro”. E poi, diciamocelo, LinkedIn non è un editor di testo qualsiasi: è il tuo biglietto da visita digitale.

La prudenza, quando si tratta della propria immagine e del modo in cui la piattaforma stessa gestisce la tua identità, è d’obbligo.

Ma sarà solo questo o c’è dell’altro sotto?

Un campanello d’allarme per LinkedIn o per tutta l’AI?

Questa storia dell’assistente AI di LinkedIn che non ingrana arriva proprio mentre il mercato degli strumenti di scrittura basati sull’intelligenza artificiale sta esplodendo: Yomu.ai prevede una crescita da 5,2 miliardi di dollari nel 2023 a ben 13,5 miliardi nel 2025. Perché, vedi, le squadre marketing che usano assistenti AI giusti riportano di creare contenuti tre volte e mezzo più velocemente.

Allora, il problema è di LinkedIn, che magari ha toppato qualcosa nell’implementazione, o c’è un messaggio più profondo per tutti quelli che sbandierano l’AI come la soluzione a ogni male?

Quindi l’AI può funzionare, eccome.

Forse LinkedIn, con la sua posizione dominante, pensava di poter calare dall’alto qualsiasi cosa e che gli utenti avrebbero abboccato?

Chissà.

Di certo, la vicenda dell’assistente AI di LinkedIn ci farà riflettere parecchio sul delicato equilibrio tra l’aiutino tecnologico e il metterci la faccia, soprattutto quando di mezzo c’è la nostra credibilità professionale.

E la domanda sorge spontanea: quanti altri colossi tech stanno per scoprire che i loro giocattolini AI non sono poi così irresistibili come credevano?

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

2 commenti su “LinkedIn e l’AI che non decolla: il CEO ammette la verità”

    1. Camilla Caputo

      Concordo con Gabriele. L’originalità paga di più, soprattutto su LinkedIn. Meglio un post “imperfetto” ma autentico.

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