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Contattaci ora →Tra numeri gonfiati e abitudini in trasformazione, la crescita esponenziale di ChatGPT solleva interrogativi sulla qualità dell’interazione e sul controllo dell’informazione.
OpenAI ha rivelato che ChatGPT elabora 2,5 miliardi di prompt giornalieri. L'articolo invita a un sano scetticismo, interrogandosi sulla reale qualità di tali interazioni. Si evidenzia come ogni prompt costituisca un dato prezioso per l'addestramento dell'IA, trasformando gli utenti in fornitori non retribuiti di conoscenza che contribuiscono alla centralizzazione del potere di OpenAI.
La corsa ai numeri che non racconta tutto
Analizziamo i fatti.
Secondo quanto riportato da Axios, siamo passati da 1 a 2,5 miliardi di interazioni quotidiane in meno di un anno, con una base di 800 milioni di utenti attivi a settimana.
Sembra la storia di un successo inarrestabile, vero?
Eppure, questi dati, da soli, dicono ben poco. Non ci dicono se quei miliardi di prompt siano richieste complesse che risolvono problemi reali o se, per la maggior parte, si tratti di studenti che si fanno scrivere il tema o di curiosi che chiedono di comporre una barzelletta.
La crescita è innegabile, spinta da novità come la modalità vocale avanzata che rende la conversazione quasi umana. Ma questa corsa a gonfiare le metriche di utilizzo rischia di nascondere la vera qualità dell’interazione.
Stiamo davvero diventando più produttivi o stiamo solo imparando a delegare il pensiero, anche quello più semplice e creativo?
E mentre tutti applaudono a questi traguardi, c’è un’altra faccia della medaglia che forse meriterebbe molta più attenzione.
Chi sta davvero guidando la conversazione?
Se andiamo a vedere cosa chiedono gli utenti, scopriamo che la programmazione software è ancora al primo posto, anche se in calo. Crescono invece le domande su economia, finanza e società.
Questo ci dice che le persone iniziano a usare lo strumento per questioni sempre più delicate. Non è più solo un aiutante per smanettoni, ma sta diventando un consulente, un ricercatore, quasi un confidente per milioni di persone.
E qui la faccenda si fa seria, come scrive The Verge.
Stiamo affidando a un’unica azienda, con i suoi inevitabili bias e i suoi interessi commerciali, il compito di darci risposte su temi che modellano la nostra visione del mondo. Certo, il 92% delle aziende Fortune 100 lo usa, ma siamo sicuri che lo facciano con la giusta consapevolezza o stanno semplicemente saltando sul carro del vincitore per paura di rimanere indietro?
Questo cambiamento di abitudini sta mettendo in discussione persino il dominio di Google.
Ma la sostituzione di un monopolio con un altro, potenzialmente ancora più pervasivo perché non si limita a indicizzare informazioni ma le genera, è davvero il progresso che volevamo?
Questo ci porta dritti al punto fondamentale, quello che dovrebbe farti riflettere sul tuo ruolo in tutto questo.
Il vero prezzo dietro la “magia”
Non dimentichiamoci mai che nulla è davvero gratis.
Mentre usiamo ChatGPT, OpenAI macina ricavi per 10 miliardi di dollari l’anno e punta a una valutazione stratosferica.
Come?
Semplice.
Ogni prompt, ogni domanda, ogni singola interazione che abbiamo con la piattaforma è un dato prezioso che serve ad addestrare e migliorare il suo modello.
Siamo noi, con il nostro lavoro non retribuito, a perfezionare lo strumento che un giorno potrebbe rendere obsolete le nostre stesse competenze.
Stiamo fornendo la materia prima a un’azienda che sta centralizzando una quantità di conoscenza e capacità di ragionamento mai vista prima nella storia.
La loro ambizione non è solo quella di costruire un motore di ricerca migliore, ma di diventare l’interfaccia predefinita per l’accesso a qualsiasi tipo di informazione e, in futuro, per l’esecuzione di qualsiasi compito.
La tecnologia avanza, è innegabile.
Ma la domanda che dobbiamo porci non è “cosa può fare per noi?”, ma “cosa sta facendo di noi?”.
La risposta, quella, non te la darà nessuna intelligenza artificiale.
Numeri altisonanti, qualità interrogativa: un classico.
Ah, il canto delle sirene dei miliardi di prompt! Una melodia così allettante da farci dimenticare chi paga davvero il conto della festa. Mi immagino già il barista di OpenAI che, con un sorriso tirato, ci offre un altro giro di “intelligenza” gratuita.
Dati affascinanti, ma la qualità delle interazioni resta un punto interrogativo.
La vera sfida non sono i numeri, ma come trasformiamo questi dati in un motore di crescita tangibile, senza farci ipnotizzare dalla pura metrica.
Si parla di numeri, ma la sostanza dov’è? Il gioco dei prompt nasconde un costo reale per gli utenti.
La vera crescita è creare valore, non solo fare rumore. Se quei miliardi di prompt non si traducono in soluzioni tangibili, sono solo fumo negli occhi. Concentrati sull’impatto, non sui click.
Questi numeri sono solo la punta dell’iceberg. Finché non si vedrà un ritorno concreto per chi alimenta il sistema, è solo un bel castello in aria.
Dati gonfiati. L’utente paga il prezzo. Chi controlla il gioco?
Wow, 2.5 miliardi al giorno! Roba da matti. Ma sì, bisogna guardare oltre i numeri. Che cosa ci tiriamo fuori da tutta questa roba? Bisogna che sia utile per tutti, mica solo per loro.
La vera sfida è trasformare questi dati in valore tangibile per l’utente.
Numeri. Solo numeri. La qualità conta. Chi paga il conto? L’utente. Punto.
Ma che bella favola! Miliardi di prompt, certo. Ma quanti servono per fare un caffè? E chi paga il caffè, poi?