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Dietro la promessa di risposte immediate e complete, si cela un cambiamento radicale nel modo in cui Google presenta le informazioni, sollevando interrogativi sul futuro del traffico web e sull’affidabilità delle fonti.
Google ha lanciato la "AI Mode" nel Regno Unito, estendendo i test globali. Basata su Gemini 2.5, promette risposte complesse direttamente nella ricerca, riducendo la necessità di visitare siti esterni. Questa innovazione solleva interrogativi sull'impatto per i business, la potenziale diminuzione del traffico organico e il ruolo futuro delle fonti indipendenti nel nuovo ecosistema della ricerca.
AI mode sbarca in UK: Google riscrive le regole (di nuovo)
Google ci riprova. Dopo aver testato le acque in USA e India, adesso tocca al Regno Unito: l’azienda ha ufficialmente lanciato la sua nuova “AI Mode” nella ricerca, come riportato da Google stessa sul suo blog.
La promessa, sulla carta, è di quelle che fanno gola: basta fare una domanda complessa, tipo “organizzami un weekend a Edimburgo per amanti del buon cibo”, e l’intelligenza artificiale ti serve una risposta già pronta, articolata e piena di spunti.
Invece di una sfilza di link blu, ti trovi davanti un testo che ragiona, che pianifica, che ti spiega persino come fanno gli uccelli a non perdersi durante le migrazioni.
Bello, vero?
Forse troppo.
Perché dietro questa facciata di efficienza, la macchina che muove tutto è molto più complessa di quanto sembri.
E, diciamocelo, anche gli obiettivi di Google probabilmente lo sono.
Ma come funziona, sul serio? La tecnologia dietro le quinte
Alla base di questa magia c’è una versione personalizzata di Gemini 2.5, il più recente modello di intelligenza artificiale di casa Google. Quando fai una domanda, il sistema non si limita a cercare una risposta secca.
Usa una tecnica che loro chiamano “query fan-out”: in pratica, spezzetta la tua domanda in tante piccole ricerche che esegue in contemporanea, per poi rimettere insieme i pezzi in una sintesi coerente, con tanto di link per approfondire.
La cosa interessante è che puoi interrogarlo non solo a parole, ma anche con la voce o caricando un’immagine.
E la gente, a quanto pare, sembra apprezzare: le domande fatte in questa modalità sono già due o tre volte più lunghe di quelle che siamo abituati a digitare.
Questo ci porta dritti al punto: se la tecnologia è così avanzata e l’adozione così rapida (si parla già di 100 milioni di utenti al mese a livello globale), cosa cambia davvero per chi, come te, usa Google non solo per cercare ricette, ma per farsi trovare dai clienti?
Oltre la propaganda: cosa significa davvero per te e il tuo business?
La prima cosa da capire è che, con AI Mode, Google non ti sta solo “aiutando”. Sta costruendo un salotto comodo e accogliente da cui, spera, tu non voglia più uscire.
Se l’utente ottiene una sintesi completa, ben impaginata e pronta all’uso direttamente nella pagina di ricerca, che motivo ha di venire a visitare il tuo blog, la tua guida o la tua scheda prodotto?
Il rischio, concreto, è che il traffico verso i siti esterni diminuisca ancora, perché Google si prende il merito di fornire la risposta finale, usando i tuoi contenuti come materia prima.
E poi, c’è la questione della fiducia.
Questa sintesi “intelligente” da dove pesca le informazioni?
Siamo sicuri che la scelta delle fonti sia imparziale e non guidata da logiche commerciali o dalla popolarità di un sito piuttosto che dalla sua reale autorevolezza?
L’arrivo di AI Mode non è solo un aggiornamento tecnologico. È un cambio di paradigma che ci costringe a farci una domanda scomoda: nel futuro della ricerca secondo Google, c’è ancora spazio per le voci indipendenti o diventeremo tutti semplici fonti anonime per addestrare la sua prossima, potentissima, intelligenza artificiale?