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Contattaci ora →Un’apertura strategica che svela i meccanismi interni di Google, tra crawling, indicizzazione “Caffeine” e l’impatto crescente dell’IA, in un panorama SEO in continua evoluzione.
A Bangkok, Google ha svelato il suo processo di indicizzazione, dal crawling all'infrastruttura Caffeine, durante il Search Central Deep Dive 2025. Questa mossa, che segue il core update di giugno e l'avanzata dell'IA, solleva dubbi sulla sua genuinità. Sembra una spinta a ottimizzare i contenuti per le sue intelligenze artificiali, trasformando Google in un attore chiave e, potenzialmente, un diretto concorrente nella visibilità online.
Google apre le sue carte sull’indicizzazione: trasparenza genuina o mossa strategica?
A Bangkok, durante l’evento Search Central Deep Dive 2025, Google ha messo sul tavolo dettagli tecnici sul suo processo di indicizzazione, un meccanismo che per anni è stato custodito quasi come un segreto di stato. Davanti a una platea di sviluppatori e professionisti SEO, i pezzi grossi di Mountain View, tra cui Gary Illyes e Cherry Prommawin, hanno spiegato come le pagine web vengono scoperte, analizzate e infine servite agli utenti.
Una mossa che suona come un’apertura, ma che arriva in un momento in cui l’intero mondo della ricerca è scosso dall’impatto dell’intelligenza artificiale e dalle lamentele seguite al core update di giugno 2025, che ha provocato non pochi mal di pancia a tanti imprenditori.
La spiegazione di Google si articola su un percorso a tappe.
Prima il crawling, ovvero la scoperta di nuovi URL tramite sitemap e link interni. Qui, come descritto da Gaganghotra, la gestione del “crawl budget” diventa fondamentale: risolvere rapidamente errori 5XX e avere una struttura pulita è il primo passo per non finire nel dimenticatoio del Googlebot.
Ma trovare una pagina è solo l’inizio.
La vera partita si gioca nella fase successiva, quella che determina se il tuo contenuto merita di essere mostrato o meno.
Dentro la “Caffeine”: come Google digerisce il web
Una volta che una pagina viene scansionata, entra in gioco la fase di indexing, il cuore pulsante del sistema. È qui che l’infrastruttura Caffeine di Google, un sistema che ha più di un decennio ma che viene costantemente affinato, processa i contenuti quasi in tempo reale.
Vengono estratti i segnali ritenuti importanti: parole chiave, link in entrata, dati strutturati e, soprattutto, viene gestita la spinosa questione dei contenuti duplicati tramite la canonicalizzazione.
La domanda che sorge spontanea, però, è: quanto pesa davvero ogni singolo segnale?
Su questo, Google rimane prevedibilmente vago, lasciando intendere che non esiste una formula magica, ma un insieme complesso di fattori.
Questa operazione di “digestione” del web diventa ancora più intricata quando si parla di lingue diverse o di contenuti non testuali. L’enfasi posta sull’ottimizzazione per immagini e video non è casuale: è la diretta conseguenza di un mondo in cui, secondo i dati di Google stessa, le ricerche su Google Lens sono cresciute del 65% in un anno.
Ma questa spinta verso il multimodale è un’evoluzione naturale o un modo per Google di addestrare meglio i suoi modelli di intelligenza artificiale con i nostri contenuti?
La sensazione è che l’azienda stia tracciando una linea netta, come puoi vedere qui:
o ti adatti a fornire contenuti digeribili per le sue IA, o rischi di diventare invisibile.
Il fattore umano (secondo Google) e la sfida dell’IA
L’ultima fase è il serving, ovvero la presentazione dei risultati. Qui, Liz Reid, Vicepresidente della Ricerca di Google, ha ribadito un concetto quasi filosofico: “la ricerca non è mai un problema risolto”. Una dichiarazione che suona un po’ come un modo per giustificare la volatilità e i cambiamenti continui che mettono a dura prova chi lavora online. Gary Illyes, dal canto suo, ha scherzato sul fatto che “la SEO muore ogni mese dal 1997”, una battuta che, letta tra le righe, suona più come un avvertimento: smettete di cercare scorciatoie, perché le regole le dettiamo noi.
E le nuove regole sono chiare: la ricerca diventa sempre più conversazionale, guidata dall’intelligenza artificiale. L’impressione è che Google stia usando questi eventi per “educare” il mercato, spingendolo a produrre contenuti più “umani” e di qualità.
Una richiesta legittima, certo, ma che suona anche un po’ ironica, visto che la stessa azienda sta riempiendo le SERP con i suoi riquadri generati dall’IA.
Forse, la vera partita non è più solo posizionarsi su Google, ma capire come sopravvivere in una ricerca dove il padrone di casa è diventato anche il nostro principale concorrente.
Ah, la trasparenza di Google! Una bella favola natalizia, eh? Preparatevi a danzare al ritmo delle loro IA, o resterete nell’ombra digitale.
Un’altra mossa magistrale, non c’è che dire. Chi può resistere all’avanzata inesorabile dell’IA? Brillante.
Il suo intervento solleva interrogativi pertinenti; la mossa di Google sembra più un invito a conformarsi che un reale atto di trasparenza.
Ma guarda te ‘sto Google che si apre come un librone! Praticamente ci stanno dicendo: “Ehi, fateci pure i vostri contenuti per i nostri bot, che tanto l’IA è il futuro, mica un’opzione”.
Google ci offre la mappa. Ora dobbiamo capire se è una bussola per noi o una clessidra per loro. Curioso di vedere come l’IA cambierà il gioco.
Trasparenza? O solo istruzioni per l’IA. Attenzione.
Trasparenza? Strano tempismo. Pronti a servirli su un piatto d’argento, così.
Google svela le sue carte. L’IA è il nuovo gioco. Vediamo dove porta.
È affascinante come il colosso di Mountain View decida ora di illuminarci sui suoi meccanismi interni. Un gesto di generosità senza precedenti, non trovate? O forse, semplicemente, ci stanno fornendo le istruzioni per la prossima era digitale, quella plasmata dalle loro IA.
Generosità? Mi sembra più un diktat. Ci danno le istruzioni per servire le loro IA. Noi ci adeguiamo, loro vincono. Semplice.