Google ammette il bug: il tool ‘Remove Outdated Content’ usato come arma di censura

Anita Innocenti

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Un bug nel sistema di rimozione contenuti obsoleti ha permesso a chiunque di “cancellare” pagine web, aprendo un dibattito sulla responsabilità di chi controlla l’accesso all’informazione

Google ha messo una pezza a una vulnerabilità critica nel tool "Remove Outdated Content", abusato per deindicizzare pagine web. Questo bug ha permesso la censura di giornalisti e il danno a concorrenti, rivelando come uno strumento ufficiale sia diventato un'arma. La questione solleva interrogativi urgenti sulla responsabilità di chi gestisce l'accesso all'informazione.

Una falla che viene da lontano

Come funzionava questa storia?

In modo quasi banale. Bastavano due mosse: un malintenzionato segnalava un contenuto come “obsoleto” e, per dimostrarlo, inseriva nella richiesta una parola a caso che non era presente nella pagina originale. Il sistema di Google, invece di rigettare la richiesta come illogica, la approvava, procedendo a deindicizzare l’URL.

L’attacco poteva essere ripetuto all’infinito, rendendo di fatto invisibile qualsiasi pagina presa di mira, come riportato su Search Engine Journal. La cosa più grave è che non si tratta di una scoperta recente: le prime avvisaglie di questo abuso risalgono addirittura al 2023, ma sono state a lungo ignorate.

Ma chi ha sfruttato questa falla e con quale scopo?

Quando la deindicizzazione diventa un’arma

E qui la faccenda si fa seria, perché non parliamo di scherzi tra ragazzini. Questa vulnerabilità è stata usata in modo strategico. Un caso emblematico è quello di un CEO di un’azienda tecnologica che ha orchestrato una campagna sistematica per far sparire dalla ricerca un’inchiesta giornalistica a lui sgradita. La Freedom of the Press Foundation ha documentato come l’articolo venisse rimosso di continuo, in un gioco del gatto e del topo che ha messo in luce tutta la fragilità del sistema.

E non è un caso isolato. Come descritto da Jack Poulson nel suo Substack, tattiche simili, che includono anche false richieste di rimozione per violazione del copyright, sono state usate contro la testata no-profit Tech Inquiry per aver pubblicato articoli su una figura di nome Blackman. Articoli che, a oggi, risultano ancora bloccati.

Di fronte a tutto questo, ti starai chiedendo: e Google?

La risposta di Google? un cerotto su una ferita aperta

La reazione di Mountain View è stata quella che ci si aspetta da un colosso del genere: hanno ammesso il bug, confermato di averlo risolto e ripristinato le pagine rimosse, minimizzando l’accaduto e sostenendo che abbia interessato solo una “frazione minuscola” di siti.

Una dichiarazione che, diciamocelo, lascia il tempo che trova.

Il problema è davvero il “numero esiguo” di siti colpiti, o il fatto che uno strumento ufficiale possa essere trasformato in un’arma di censura con tale facilità?

La questione non è quanti sono caduti, ma quanto è facile farli cadere.

Questo episodio non fa che confermare un sospetto sempre più diffuso: gli strumenti messi a disposizione da queste piattaforme, nati con buone intenzioni, diventano troppo spesso un veicolo per chi ha le risorse e la spregiudicatezza di manipolare il flusso di informazioni a proprio vantaggio, lasciando a tutti gli altri il compito di difendersi.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

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