SEO Confidential – La nostra intervista a Jono Alderson: visibilità, fiducia e storie nell’era dell’IA

I nuovi sistemi di ricerca e intelligenza artificiale interpretano, riscrivono e diffondono narrazioni che possono rafforzare o compromettere l’identità di un brand ben oltre i confini di un sito web

Ascolta l’intervista in breve

La SEO non è più soltanto una questione di keyword o link: con l’arrivo di AI Overviews, assistenti intelligenti e modelli linguistici, il modo in cui un brand viene percepito online passa sempre più da come le macchine interpretano dati, segnali e relazioni. È un cambiamento che ridefinisce non solo la visibilità, ma anche la fiducia e la credibilità delle imprese.

Per questa ragione, imprenditori e marketer non possono limitarsi ad aggiornare i siti o rincorrere l’ennesimo algoritmo. Serve comprendere come funzionano i nuovi meccanismi che trasformano i contenuti in narrazioni, e come queste narrazioni possano rafforzare o indebolire un marchio.

È di questo che parliamo oggi su SEO Confidential, la rubrica dedicata ad analisi e interviste con i protagonisti della SEO internazionale. Ospite di questo appuntamento è Jono Alderson, esperto SEO di fama mondiale, pluripremiato e punto di riferimento globale per strategia digitale, performance e dati strutturati.

Dopo aver lavorato con startup, agenzie e grandi brand, Jono porta una visione chiara: oggi la competizione non si gioca più solo sulle pagine web, ma sull’ecosistema di segnali che macchine e persone associano a un’azienda.

Con lui abbiamo discusso di reputazione digitale, di come i sistemi di IA creano o distorcono storie sui brand, e di quali strategie possano aiutare a trasformare la SEO da semplice tecnica a strumento di autorevolezza.

Ne è nata un’intervista che mette in discussione molte certezze e mostra come la SEO, nell’era dell’IA, non sia un mestiere per chi cerca scorciatoie, ma per chi sa costruire storie solide e durature che rimangano nella mente di chi legge.

Jono Alderson, intervistato da Roberto Serra, fonte immagine jonoalderson.com

“L’ironia è che quando smetti di inseguire i link, di solito finisci per ottenerne di più forti”, ci ha detto Jono

Jono, tu scrivi che la visibilità online oggi non dipende solo da come un’azienda comunica nei mercati in cui vende, ma anche da contenuti e conversazioni che nascono in lingue e Paesi lontani. E per farlo non basta tradurre un sito o aggiungere tag tecnici.

In pratica: un forum giapponese, una recensione spagnola o un blog polacco possono influenzare la reputazione di un brand anche in Italia o negli Stati Uniti. Per un imprenditore che punta a generare vendite e conversioni, cosa significa questo fenomeno? Quali rischi comporta e quali opportunità può offrire?

Significa che potresti aver perso il controllo della narrazione senza nemmeno saperlo. Il tuo marchio non è definito da ciò che dici nei tuoi comunicati stampa o sul tuo sito .com, ma dai frammenti, dalle recensioni e dalle mezze verità che si accumulano nel web.

Una recensione su un sito di viaggi spagnolo potrebbe finire per influenzare l’opinione che i turisti americani hanno di te, perché Google, TikTok o un agente di intelligenza artificiale l’hanno ripresa e riportata in un contesto completamente diverso.

Il rischio è evidente: una storia che non hai mai visto, in una lingua che non parli, potrebbe diventare la storia che ti definisce. Ma c’è anche un’opportunità: puoi deliberatamente diffondere contenuti e conversazioni al di fuori dei tuoi “mercati interni” per costruire resilienza e ampliare il modo in cui le macchine – e quindi le persone – ti percepiscono. Il problema è che la maggior parte degli imprenditori non si accorge nemmeno di queste ripercussioni internazionali finché non è troppo tardi.

Tu parli di “localizzazione per le macchine” più che per i clienti. Puoi spiegare meglio cosa intendi? E soprattutto: un imprenditore come dovrebbe decidere quanto investire in contenuti pensati per i clienti reali e quanto in contenuti creati per influenzare i sistemi di ricerca e intelligenza artificiale che condizionano le decisioni d’acquisto?

La localizzazione tradizionale significa tradurre il tuo sito in italiano perché vuoi vendere agli italiani. Ma alle macchine non interessano i tuoi mercati di riferimento: consumano, comprimono e remixano segnali provenienti da ogni parte del mondo.

Quindi la “localizzazione per le macchine” consiste nel plasmare la loro comprensione, non solo nel soddisfare le esigenze degli esseri umani. Non è una questione di ripartizione del budget, ma di riconoscere che i contenuti progettati per i clienti e quelli progettati per le macchine hanno scopi diversi.

Se scrivi solo per i clienti, lasci dei vuoti che i concorrenti – o persino blogger sconosciuti dall’altra parte del mondo – finiranno per riempire al posto tuo. Se invece scrivi solo per le macchine, rischi di sembrare robotico e di perdere le persone. La vera sfida è l’equilibrio: fare in modo che sia gli utenti in carne e ossa sia le IA trovino informazioni coerenti, contestualizzate e credibili su di te.

Jono, oggi i sistemi di intelligenza artificiale non restituiscono solo fatti, ma costruiscono narrazioni che possono rafforzare o danneggiare la reputazione di un brand. In che modo questo influenza le scelte di un imprenditore che punta a generare fiducia e vendite?

Ciò significa che non si compete più solo sulle caratteristiche del prodotto o sull’esperienza del cliente, ma soprattutto sulla storia che viene raccontata. I sistemi di intelligenza artificiale non si limitano a riportare fatti: li interpretano.

Se un assistente IA descrive la vostra azienda come “controversa” o la colloca stabilmente dietro a un concorrente, quella percezione tende a trasformarsi in realtà. Per le imprese non è semplice né contrastare queste narrazioni, né acquistare spazio per cambiarle.

Per questo è fondamentale alimentare costantemente l’ecosistema con informazioni coerenti, credibili e persino “banali”. Solo così, quando le macchine racconteranno la vostra storia, contribuiranno a rafforzare la fiducia invece che eroderla.

La memoria delle macchine tende a comprimere e ripetere solo i dettagli più “forti” di una storia, anche a distanza di anni. Come si può evitare che un vecchio episodio negativo continui a condizionare l’immagine di un’azienda?

Non puoi. Almeno, non del tutto. La memoria delle macchine è spietata: comprime e amplifica tutto ciò che rimane impresso la prima volta. Quell’imbarazzante incidente del 2017? Continuerà a riaffiorare anche nel 2030, a meno che tu non lo soffochi con narrazioni più forti e persistenti.

Il trucco non è cercare di cancellare il passato, ma di superarlo. Non puoi impedire alla macchina di ricordare, ma puoi plasmare ciò che ricorda insieme ad esso. Serve creare nuovi riferimenti, valorizzare i dettagli positivi e costruire un quadro ampio e coerente, in cui gli episodi negativi risultino diluiti.

Quali sono i primi passi concreti che un’impresa dovrebbe intraprendere per orientare in modo positivo la percezione costruita dai modelli di intelligenza artificiale e dai nuovi sistemi di ricerca?

Il primo è smettere di considerare il sito web come una “base operativa”: oggi è soltanto uno dei nodi di una rete molto più ampia. Secondo: occorre verificare come sei rappresentato nel mondo reale. Penso a recensioni, forum, dati strutturati, Wikipedia, elenchi di prodotti, documenti normativi.

Da qui nasce il terzo passo, ossia mettere ordine e garantire coerenza tra le diverse fonti, in modo che le informazioni siano collegate e si rafforzino a vicenda. In ultima istanza occorre creare dei “ponti”: relazioni, citazioni e schemi che associno il marchio alle entità, ai concetti e ai contesti con cui intende essere identificato.

L’obiettivo finale non è aumentare i contenuti, ma migliorare la qualità dei segnali che alimentano la narrazione.

Se i link non sono numeri da accumulare ma relazioni di fiducia e contesto, come cambia per un imprenditore la strategia di acquisizione di autorevolezza online?

Cambia tutto. Se continui a considerare i link come un sistema a punti, stai giocando una partita che è finita anni fa. Oggi un link è una traccia in una storia: dice alle macchine come si relazionano le entità, chi si fida di chi e quale contesto è importante.

Per gli imprenditori, questo significa che comprare, chiedere o scambiare link è inutile nel migliore dei casi e dannoso nel peggiore. Non hai bisogno di “più link”. Hai bisogno delle connessioni giuste, nei contesti giusti, che abbiano senso sia per gli esseri umani che per le macchine.

Molti parlano ancora di link building come accumulo di backlink, ma oggi conta di più costruire relazioni autentiche e connessioni contestuali, non credi? In che modo un imprenditore può trasformare la propria strategia di link building in un lavoro di relazioni che rafforza davvero autorevolezza e fiducia online?

Gli imprenditori che capiscono questo smettono completamente di pensare alla “SEO” in senso stretto. Smettono di cercare di “creare link” e iniziano a chiedersi: a chi dobbiamo rivolgerci? A quali comunità, piattaforme ed entità vogliamo essere associati?

Quindi guadagnano, promuovono e mantengono queste relazioni, non perché ottengono un link, ma perché li rendono visibili, credibili e connessi nelle reti che interessano ai motori di ricerca e agli agenti IA. L’ironia è che quando smetti di inseguire i link, di solito finisci per ottenerne di più forti.

Alcuni imprenditori pensano che se il loro sito resta invariato, le performance non dovrebbero peggiorare. Perché questa convinzione è pericolosa e come va superata?

Il web non è un ambiente statico. Un sito non vive in isolamento, ma compete in un ecosistema in continuo cambiamento. I browser evolvono, le reti si trasformano, i concorrenti migliorano. Ciò che nel 2020 era “accettabile”, nel 2025 appare lento, macchinoso e imbarazzante.

Restare fermi significa restare indietro. E c’è di più: le macchine se ne accorgono. Non confrontano un sito con la sua storia, ma con la media in movimento. Per questo, se non si migliora attivamente, si inizia a degradare.

Attualmente non sono più le pagine a contare, ma le affermazioni che i sistemi estraggono e collegano. In concreto, come interpretano queste affermazioni il Knowledge Graph di Google e gli LLM, e cosa deve fare un’azienda per renderle chiare e credibili agli occhi delle macchine?

Il Knowledge Graph di Google e i modelli linguistici non “leggono” le pagine come farebbe una persona. Estraggono affermazioni, dati e relazioni, poi stabiliscono se sono credibili e come si collegano alla rete più ampia. Se i contenuti sono vaghi, incoerenti o mal strutturati, quelle informazioni rischiano di non essere estratte o di non rimanere.

L’obiettivo non è pubblicare più pagine, ma garantire che le informazioni da associare al marchio siano chiare, verificabili e supportate da fonti esterne.

Per i sistemi di intelligenza artificiale non è decisivo cosa scrive un’azienda su se stessa nella homepage. Ciò che conta davvero è la conferma incrociata: se più fonti indipendenti riportano la stessa informazione – per esempio l’anno di fondazione – quella diventa credibile e stabile nella loro “memoria”.

Dici che la fiducia non si costruisce con la quantità di contenuti ma con la coerenza e la connessione delle informazioni. Come può un imprenditore assicurarsi che i propri messaggi siano riconosciuti e rafforzati sia dal Knowledge Graph sia dagli LLM, così da incidere davvero su visibilità e vendite?

Si può pensare a tutto questo come a una coreografia. Non si tratta di gridare nel vuoto, ma di dirigere un’orchestra di segnali che spaziano dal sito web agli schemi, dalla copertura stampa alle recensioni, dalle pratiche regolatorie ai dati di prodotto. La coerenza tra queste fonti è ciò che porta le macchine a fidarsi.

L’incoerenza, invece, è veleno: se una fonte indica come CEO Jane e un’altra John, le macchine esitano e l’autorevolezza crolla. Chi vuole emergere deve costruire ecosistemi informativi connessi e credibili, in cui ogni segnale rafforza l’altro. È così che si passa dall’essere “uno dei tanti marchi” a diventare “la risposta predefinita”.

Dalla SERP alla storia: quando a raccontare il brand sono le IA

L’intervista con Jono Alderson lascia un messaggio chiaro: non basta più presidiare le pagine, serve presidiare le storie. I sistemi di intelligenza artificiale non riportano fedelmente, ma interpretano. E da quelle interpretazioni dipende se un marchio diventa affidabile o sparisce dal radar.

Il punto non è accumulare contenuti o link, ma costruire un’identità digitale che resista al riassunto delle macchine e alle sintesi delle IA. Per chi fa impresa, questo significa giocarsi tutto sulla credibilità: se i segnali sono solidi e coerenti, la fiducia si consolida; se sono fragili, si sgretola.

È una trasformazione che cambia radicalmente il concetto stesso di SEO. Non si tratta più di un insieme di tecniche per scalare una classifica, ma di un lavoro di reputazione che vive di coerenza, riconoscibilità e affidabilità.

I brand che sapranno farsi riconoscere come fonti credibili e verificabili diventeranno i riferimenti a cui le macchine attingono quando devono restituire risposte. Gli altri, anche se tecnicamente ottimizzati, rischiano di essere compressi, parafrasati o ignorati.

Questo spostamento di potere ti costringe a guardare lontano: non ti bastano più interventi tattici, ti serve una strategia che tenga insieme comunicazione, relazioni e segnali digitali. In un ecosistema in cui l’IA decide cosa amplificare e cosa ignorare, ogni disallineamento diventa un punto debole, ogni contraddizione mina la tua credibilità.

Il messaggio è inequivocabile: la SEO del futuro coincide con la tua reputazione. Non esiste separazione tra ottimizzazione tecnica e autorevolezza del brand, perché entrambe lavorano verso lo stesso obiettivo: farti riconoscere come fonte affidabile, da macchine e da persone.

Un ringraziamento a Jono Alderson per aver condiviso con noi una visione lucida e concreta su questo nuovo equilibrio tra SEO, brand e reputazione. Alla prossima puntata: il viaggio dentro il futuro della ricerca è appena cominciato!

#avantitutta

Roberto Serra

Mi chiamo Roberto Serra e sono un digital marketer con una forte passione per la SEO: Mi occupo di posizionamento sui motori di ricerca, strategia digitale e creazione di contenuti.

18 commenti su “SEO Confidential – La nostra intervista a Jono Alderson: visibilità, fiducia e storie nell’era dell’IA”

  1. L’evoluzione della SEO verso la narrazione è un dato di fatto. Resta da capire quanto controllo avremo realmente su queste “storie” costruite dalle macchine, e se la fiducia non diventerà un concetto puramente algoritmico.

  2. Cattura l’essenza di ciò che vogliamo comunicare. L’IA, un moderno cantastorie digitale, tesse nuove trame. Dobbiamo solo assicurarci che le nostre storie, i nostri valori, brillino attraverso questo nuovo arazzo. Un pensiero che mi fa sognare ad occhi aperti.

  3. Il punto sull’interpretazione dei dati da parte dell’IA è chiaro. Se le macchine definiscono la percezione, dobbiamo puntare su contenuti genuini e coerenti, al di là delle tattiche.

  4. Vanessa De Rosa

    L’impatto dell’IA sulla narrazione dei brand è indubbio. Invece di preoccuparci solo di algoritmi, dovremmo concentrarci sulla coerenza comunicativa. La credibilità online ora dipende da come l’IA interpreta la nostra storia.

  5. Se le macchine riscrivono la percezione, allora il nostro lavoro è creare contenuti così solidi da non poter essere distorti. Bisogna pensare a come le narrazioni aziendali vengano comprese dalle IA, altrimenti si naviga alla cieca.

  6. Ma insomma, si parla ancora di keyword? L’IA non si cura delle tue parole chiave, ma della storia che racconti. Se il tuo brand non ha una narrazione solida, sei già finito. La fiducia si crea con la coerenza, non con trucchi da quattro soldi.

  7. L’IA non è un gioco di parole, ma un interprete di intenti. Se i brand non comunicano con chiarezza il loro valore, le macchine li riassumeranno in modo errato, minando la fiducia. Bisogna essere precisi nel contenuto.

  8. Allora, se le macchine interpretano e diffondono le storie, noi dobbiamo assicurarci che quelle storie siano quelle giuste, coerenti e inconfutabili. Non si gioca più sul tecnico, ma sulla sostanza del racconto del brand. Non credete?

    1. Emanuele Barbieri

      Sara, hai colto nel segno. La sostanza narrativa è tutto. Chi non capisce questo, semplicemente, è già fuori dal gioco, mentre noi continuiamo a muoverci con metodo.

  9. Finalmente si parla di qualcosa di serio! La narrazione diventa il vero patrimonio. Chi pensa ancora solo alle parole chiave è fuori dal tempo. Dobbiamo guidare l’IA, non subirla.

    1. La prospettiva di Alderson sull’IA che plasma le narrazioni del brand mi preoccupa. Come imprenditore, sento il peso di dover creare contenuti che le macchine interpretino correttamente, sperando che non distorcano il mio messaggio.

    2. Alessandro Lombardi

      Mi fa una certa paura pensare che l’IA possa alterare come il mio lavoro viene visto. Dobbiamo solo sperare di capire in fretta come gestirlo.

      1. Pensare che le macchine dettino la nostra reputazione è preoccupante. Dobbiamo padroneggiare questa narrazione, altrimenti siamo solo pedine.

  10. Simone Ferretti

    L’IA riscrive le regole, la narrazione è il nuovo campo di battaglia. Alla fine, è la coerenza che crea un brand duraturo.

    1. Elisa Marchetti

      Jono Alderson ci svela un futuro SEO basato sulle storie, non solo sulle parole. Questo cambierà il nostro modo di costruire la reputazione online, vero?

  11. Veronica Valentini

    Meraviglioso questo focus sulla narrazione! Mi chiedo se questo significhi che le nostre storie debbano diventare ancora più vere e profonde per risuonare.

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