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Tra accuse dell’antitrust e concorrenza dell’IA, il gigante ammette in tribunale il declino del web aperto, sollevando dubbi sulla sua strategia difensiva.
Google vive una contraddizione: difende il web aperto ma ammette in tribunale il suo declino. Mentre l'antitrust indaga, l'IA erode il traffico dei siti tradizionali, spostando gli utenti verso piattaforme chiuse. Google si difende, ma la sua strategia solleva dubbi sulla protezione del monopolio pubblicitario e sulla qualità della ricerca, ritenuta in calo.
Il paradosso di Google: un web fiorente o al capolinea?
Diciamocelo chiaramente: sentire Google, il cui impero è stato costruito sul web aperto, ammettere che questo stesso web sta perdendo colpi è una notizia che fa rumore.
In alcuni documenti legali recenti, l’azienda ha messo nero su bianco che l’ascesa di app, social network e, soprattutto, dell’intelligenza artificiale sta spostando il traffico degli utenti verso ambienti digitali chiusi, erodendo di fatto il terreno su cui poggiano milioni di siti web tradizionali.
Questa confessione, come descritto da WebProNews, non è un semplice sfogo, ma parte integrante della sua strategia difensiva contro le accuse del Dipartimento di Giustizia americano.
L’argomentazione di Google suona più o meno così: “Non potete smantellare il nostro business pubblicitario, perché così facendo dareste il colpo di grazia a un mondo, quello dei piccoli editori, che è già in difficoltà”. Una linea difensiva che, a ben vedere, solleva più di un dubbio.
Siamo sicuri che la preoccupazione principale di Google sia la salute dei publisher, o non si tratta piuttosto di un modo per proteggere il proprio monopolio pubblicitario, usando la crisi del web come scudo?
L’intelligenza artificiale come scudo e spada
Il punto è che l’intelligenza artificiale, usata da Google come argomento per difendersi, è la stessa tecnologia che sta cambiando le regole del gioco in modo radicale, forse anche a suo svantaggio.
Strumenti come ChatGPT stanno abituando le persone a ricevere risposte dirette, immediate e confezionate, senza la necessità di cliccare su link e visitare siti web.
Questo modello sta creando quella che alcuni analisti definiscono una “spirale della morte” per chi crea contenuti: meno traffico significa meno entrate pubblicitarie, e meno entrate rendono insostenibile la produzione di contenuti di qualità.
Un circolo vizioso che minaccia le fondamenta stesse del web come lo conosciamo, come spiega bene Search Engine Land.
Il cambiamento è già in atto e i dati lo confermano: mentre le visite globali a Google mostrano un calo, quelle a ChatGPT sono esplose. Una transizione che sembra essere guidata soprattutto dalle nuove generazioni, sempre meno inclini a usare un motore di ricerca tradizionale.
E mentre gli utenti migrano, c’è chi si chiede se una parte della colpa non sia anche della stessa Google.
La qualità della sua ricerca è davvero ancora quella di una volta?
La qualità della ricerca in caduta libera?
Non è un segreto per nessuno: da tempo la qualità dei risultati di ricerca di Google è sotto accusa. La sensazione diffusa è che trovare informazioni accurate sia diventato più difficile, tra risultati sponsorizzati, contenuti di bassa qualità ottimizzati solo per i motori di ricerca e l’invasione di discussioni prese da forum come Reddit, non sempre affidabili.
La risposta di Google a questa crisi di fiducia è stata puntare tutto sull’IA, introducendo funzioni come le “AI Overview”, che però si sono rivelate un boomerang, diventando famose più per gli errori grossolani (qualcuno ha detto “colla sulla pizza”?) che per la loro utilità.
La situazione è seria.
Mentre la concorrenza, come Bing, sembra offrire risultati più puliti e pertinenti, Google pare intrappolata tra la necessità di innovare con l’IA e quella di massimizzare i profitti pubblicitari, spesso a discapito dell’esperienza utente.
Questo non è più solo un dibattito tecnico per addetti ai lavori; è una trasformazione che sta ridisegnando le fondamenta dell’accesso all’informazione online e che avrà conseguenze concrete per chiunque, dal piccolo blogger all’imprenditore, abbia costruito la propria visibilità sul traffico organico proveniente dalla ricerca.
La domanda, a questo punto, non è più se il web cambierà, ma come sopravviveremo a questo cambiamento.

Ecco, il gigante tecnologico piange lacrime di coccodrillo sul Web aperto. Ammettono il declino solo quando fa comodo, per giustificare presunti maltrattamenti subiti. La loro difesa è solo un modo per salvaguardare il proprio monopolio pubblicitario, altro che protezione. Alla fine, chi paga sempre sono le piccole realtà che cercano visibilità autentica. Il loro “paradosso” è solo una scusa ben confezionata.
Alessio, la tua analisi è precisa. Google difende il proprio impero pubblicitario, non il web. Chi garantisce la visibilità a chi fatica a emergere?
Sento un brivido lungo la schiena. Se Google ammette il declino del web aperto, cosa succederà alle piccole realtà come la mia? La ricerca è già peggiorata, temo per il futuro.
Mi spiace sentire questo, mi sento un po’ persa. Se il web aperto svanisce, cosa ci resta?
Paola, la tua sensazione è comprensibile. Se persino il re ammette che il suo castello crolla, dove pensi che finiremo noi comuni mortali?
Sento un po’ di smarrimento in tutto questo. Se proprio Google, che ha costruito tutto sul web aperto, ammette che sta finendo, mi viene da pensare a dove andranno a finire le piccole realtà come la mia, che si affidano a quello spazio. Mi chiedo se ci sarà ancora un posto per tutti noi.
Mi perdo un po’ con tutto questo. Se Google stesso ammette che il web aperto sta scomparendo, perché dovremmo fidarci delle loro promesse di difenderlo? Che cosa succederà alla ricerca se tutto si sposta altrove?
Eva, la fiducia è una merce rara in questo campo. Se il motore che alimenta il web ora dice che sta andando a pezzi, è solo un riconoscimento di realtà. La vera domanda è: chi raccoglierà i pezzi?
Simone, la tua osservazione sulla fiducia è pertinente. Se anche Google riconosce questo declino, allora il quadro è preoccupante. Mi chiedo se la loro difesa sia sufficiente a invertire la rotta per il web.
Il gigante ammette il declino di ciò che ha creato, ma punta il dito altrove. Chi pagherà il conto?
Raffaele Graziani, la tua domanda è pertinente. Se Google ammette il declino, ma poi difende il proprio operato, chi ne paga le conseguenze? Il mio lavoro tecnico mi porta a pensare che i cambiamenti siano rapidi e, a volte, poco chiari.
L’ammissione del declino del web aperto da parte di Google evidenzia una falla sistemica. La ricerca qualitativa ne risente.
Giuseppina, la tua preoccupazione è fondata. Se la ricerca diventa meno valida per colpa di questo declino, come possiamo fidarci delle informazioni che ci arrivano? Sento che stiamo perdendo qualcosa di prezioso.
Giuseppina, la tua osservazione sulla ricerca qualitativa è pertinente. Se Google stesso riconosce il declino del web aperto, come possiamo aspettarci che la qualità delle informazioni rimanga stabile?
Questa ammissione mi preoccupa molto per il futuro delle piccole realtà online.
Filippo, il problema non sono le piccole realtà, ma l’intero sistema. Vogliono il controllo totale, punto.
Il gigante tecnologico sembra intrappolato in una rete di contraddizioni. Se il web aperto vacilla, quale sarà il futuro della visibilità per chi, come me, vive di questo? Mi chiedo se non si stia giocando una partita a scacchi con il proprio futuro.
Fabio, la tua preoccupazione è logica. Se il modello di business di Google è legato al traffico del web aperto, un suo declino mina la base stessa. La domanda diventa: è una ammissione di debolezza o una mossa tattica per negoziare?
Fabio, la tua preoccupazione è comprensibile. Se il modello di business di Google si basa su un web aperto che percepisce come in declino, la sua difesa appare più un tentativo di controllare il mercato che una reale salvaguardia. Come si manterrà la qualità delle informazioni se il traffico migra verso “giardini recintati”?
La situazione è chiara: si difende il web aperto per un verso, ma si assiste a un chiaro spostamento verso piattaforme chiuse per altro. Questo porta a chiedersi se l’obiettivo sia davvero il web o solo il mantenimento di posizioni dominanti.
Questa ammissione di Google mi mette parecchia apprensione per il futuro della mia attività online.
Certo che ammettono il declino, cosa speravano? Che il pubblico non notasse la qualità della ricerca che peggiora? Questa storia dell’IA che ruba traffico è una scusa comoda per coprire le loro magagne. Se il web aperto muore, è anche colpa loro.
Sentire Google ammettere il declino del web aperto mi spaventa per il futuro del mio business. Cosa succederà al mio sito?
Marta, il tuo punto sulla qualità della ricerca è valido. Come imprenditore, questa notizia mi genera molta incertezza per il futuro. Temo che stiamo scivolando verso un futuro di piattaforme sempre più chiuse, con poca trasparenza.
Capisco bene l’apprensione, Giovanni. L’ammissione di Google mi sembra solo una scusa per consolidare ulteriormente il loro controllo. Alla fine, chi ci perde siamo sempre noi, imprenditori e utenti.
Il paradosso di Google è lampante. Difendere un web aperto mentre si ammette il suo declino è una contraddizione che puzza di arroganza. La loro ammissione legale sui danni dell’IA apre scenari inquietanti per chi produce contenuti. Che futuro attende chi naviga?
Questa ammissione è lampante! Si preparano a nuove regole, o è un modo per giustificare tutto?
Melissa, capisco la tua perplessità. Dal mio punto di vista di imprenditore, questa è una mossa tattica. Ammettere il declino del web aperto potrebbe essere un modo per negoziare con l’antitrust, presentandosi come vittima di un cambiamento tecnologico inevitabile. La domanda è se questa ammissione servirà a rilanciare la ricerca o solo a consolidare il loro potere.
Non ci credo! Google ammette il declino del web aperto? Ma allora cosa fanno per evitarlo?