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Contattaci ora →Tra promesse di semplificazione e timori per il futuro del traffico web, l’ultima mossa di Google solleva interrogativi sul destino dei creatori di contenuti online.
Google ha creato incertezza sulla Modalità AI, prima indicata come predefinita per la ricerca e poi ridimensionata. Il sistema offre risposte dirette, usando contenuti esterni e minacciando il traffico web. Mentre i siti accusano cali significativi, Google in tribunale si dichiara paladino del web aperto. Un doppio standard che solleva interrogativi sul futuro.
Google e la modalità AI: un passo avanti o un gioco poco chiaro?
Google prima lancia il sasso e poi, come si suol dire, nasconde la mano. La settimana scorsa, un commento apparentemente innocuo di un product manager ha scatenato un putiferio, suggerendo che la modalità AI di Google Search sarebbe presto diventata l’esperienza predefinita per tutti. Peccato che, pochi giorni dopo, un altro dirigente sia intervenuto per gettare acqua sul fuoco, lasciando tutti con una domanda:
Qual è la verità?
La vicenda inizia quando Logan Kilpatrick, una figura di spicco in Google DeepMind, risponde con un semplice “presto :)” a chi chiedeva quando la modalità AI sarebbe diventata lo standard. Un’affermazione che ha subito fatto pensare a una rivoluzione imminente, un addio ai classici link blu che conosciamo da vent’anni.
Poi, però, è arrivato Robby Stein, vice presidente di Google Search, a correggere il tiro, invitando a “non leggere troppo” in quel commento e precisando che l’obiettivo attuale è solo quello di rendere più semplice l’accesso alla modalità AI per chi la desidera.
Una marcia indietro che sa più di strategia che di smentita, perché la direzione sembra ormai tracciata.
Ma cosa significa davvero questa modalità AI per te e per il tuo business?
Come Google si prende i tuoi click (e le tue informazioni)
Cerchiamo di essere chiari: la Modalità AI non è una semplice evoluzione della ricerca, è un cambio di paradigma totale.
Invece di darti una lista di siti web da visitare per trovare la tua risposta, questo sistema te la “cucina” direttamente lui, prendendo pezzi di informazione da varie fonti e presentandoti un riassunto confezionato. L’obiettivo è evidente: tenerti il più a lungo possibile all’interno dell’ambiente di Google, senza farti uscire.
Mentre le AI Overviews erano un assaggio, qui si parla di un’interfaccia conversazionale completa, dove puoi fare domande, chiedere approfondimenti e ottenere risposte senza mai fare un singolo click verso un sito esterno.
Questo meccanismo, che sta venendo distribuito a macchia d’olio in oltre 180 paesi (anche se, guarda caso, l’Unione Europea è ancora esclusa), sta già mostrando i suoi effetti.
E per chi crea contenuti e vive di traffico web, non sono buone notizie.
Il vero prezzo della “risposta facile”
Se hai un sito web, un blog o un e-commerce, probabilmente hai già notato qualcosa di strano negli ultimi mesi. La chiamano la “Grande Disconnessione” tra impressioni e click: il tuo sito viene visto da Google, le sue informazioni vengono usate, ma il traffico non arriva più come prima.
Alcune analisi di settore parlano di cali di traffico che in alcune nicchie hanno toccato quasi il 90%. In pratica, Google si prende il frutto del tuo lavoro, lo usa per dare risposte ai suoi utenti e a te lascia le briciole.
Mentre l’azienda continua a spingere su questa tecnologia per non perdere terreno contro concorrenti come Perplexity o ChatGPT, il rischio è che a pagare il conto sia l’intero sistema di creazione di contenuti che ha reso il web quello che è.
Ma la parte più incredibile deve ancora venire.
Il doppio gioco di Google: paladino del web a parole, demolitore nei fatti
Ed è qui che la storia assume contorni quasi surreali.
Mentre Google lavora senza sosta per implementare una tecnologia che, di fatto, minaccia di prosciugare il traffico verso i siti web esterni, i suoi avvocati in tribunale stanno portando avanti una narrazione completamente opposta.
In una causa legale legata alla sua divisione pubblicitaria, Google si sta dipingendo come il salvatore del web aperto, sostenendo che “il web aperto è già in rapido declino” e che smantellare le sue tecnologie pubblicitarie accelererebbe solo la sua fine.
Come descritto su The Decoder, ci troviamo di fronte a un’azienda che, da un lato, avverte del crollo del web aperto per difendere i propri interessi, e dall’altro costruisce attivamente gli strumenti che potrebbero causare quel crollo.
La direzione, al di là delle smentite di facciata, sembra segnata.
Resta solo da capire chi, alla fine, pagherà il conto di questa “evoluzione”.
Effettivamente, questa gestione dell’AI Mode crea un po’ di scompiglio. Speriamo si chiariscano presto le idee.
Emanuele, capisco il tuo disappunto. La faccenda AI Mode è un bel pasticcio: un giorno è tutto e il giorno dopo un mezzo passo indietro. Mi pare una mossa astuta per sondare il terreno senza prendersi subito tutta la responsabilità. Che succederà ai nostri sforzi online con questi continui tira e molla?
Questa manovra di Google sull’AI Mode crea parecchia confusione. La loro ambiguità sul futuro del traffico per i creatori è preoccupante. Mi chiedo se questa sia una mossa pensata per controllare di più o semplicemente un passo falso tecnologico.
Google fa il bello e il cattivo tempo, promettendo apertura mentre strangola il traffico. Chi ci rimette siamo noi creatori. Un bel pasticcio, non trovate?
Sinceramente, questa mossa di Google mi lascia perplessa. Promettono un futuro più semplice, ma a quale prezzo per chi produce contenuti? L’ambiguità sulla “Modalità AI” è sospetta. Mi chiedo se stiano davvero cercando un equilibrio o semplicemente proteggendo i propri interessi.