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Contattaci ora →GPT-5 sotto esame: l’accuratezza dei fatti è ancora un miraggio, tra errori marchiani e scetticismo degli esperti
A un mese dal lancio, GPT-5 di OpenAI delude sulle promesse di affidabilità. Test sul campo, come quelli condotti da Gary Smith, rivelano gravi errori fattuali, quali etichette scorrette nelle immagini. Esperti criticano il modello, definendolo un miglioramento incrementale e non un salto quantico. La discrepanza tra la narrazione di OpenAI e l'esperienza reale solleva dubbi sull'effettiva utilità di un'IA che richiede costante verifica umana.
Gpt-5, tra promesse e realtà: quando l’ia inciampa ancora sui fatti
A più di un mese dal suo lancio in pompa magna, la fanfara attorno a GPT-5 di OpenAI inizia a suonare stonata. Nonostante le promesse di un’affidabilità quasi rivoluzionaria, il nuovo modello di punta continua a mostrare il fianco su un punto fondamentale: l’accuratezza dei fatti.
E lo fa in modi che lasciano perplessi sia gli utenti che gli addetti ai lavori, sollevando un dubbio pesante.
Ci si può davvero fidare?
La questione non è se il modello sia potente, ma se la sua potenza sia sotto controllo. OpenAI ha dichiarato che GPT-5 produce il 45% in meno di errori fattuali rispetto al suo predecessore, ma i test sul campo raccontano una storia diversa, una storia fatta di etichette bizzarre e informazioni che, semplicemente, non tornano.
E la differenza tra i dati di laboratorio e l’uso quotidiano, come sai bene, è tutto.
L’esperimento che svela il problema
Ma cosa succede quando si mette davvero alla prova il modello, lontano dagli scenari controllati di un laboratorio?
L’esperto di IA Gary Smith ha condotto un esperimento tanto semplice quanto illuminante: ha chiesto a GPT-5 di disegnare un opossum, etichettando cinque parti del corpo.
Il risultato?
Un’immagine dove la zampa dell’animale era indicata come “naso” e la coda come “piede posteriore sinistro”. Come se non bastasse, quando Smith ha deliberatamente commesso un errore di battitura chiedendo un “posse” (un gruppo di cowboy) invece di un “possum”, l’IA ha generato cinque cowboy con etichette altrettanto surreali, definendo un cappello come “spalla”.
Come riportato da Futurism, che ha replicato i test ottenendo risultati simili, questi non sono semplici errori, ma indizi di una debolezza strutturale.
Fanno sorridere, certo, ma aprono una voragine di dubbi.
Un utente frustrato ha commentato: “Questo mi fa chiedere: quante volte NON verifico i fatti e accetto semplicemente informazioni sbagliate come vere?”.
Una domanda più che lecita.
Ci porta dritti al cuore del problema: la fluenza del linguaggio di queste IA può mascherare una profonda inaffidabilità, e non tutti hanno gli strumenti per accorgersene.
La voce critica degli esperti: un passo avanti o un’occasione mancata?
Il malcontento non è solo una sensazione degli utenti. Anche figure di spicco nel mondo dell’IA hanno espresso un certo scetticismo.
Gary Marcus, uno dei critici più noti del settore, ha definito GPT-5 “tardivo, iper-pubblicizzato e deludente”.
Secondo la sua analisi, non si tratta di un salto quantico come quelli visti con GPT-3 o GPT-4, ma di un semplice miglioramento incrementale, a malapena superiore ai modelli concorrenti usciti il mese prima.
Diciamocelo chiaramente: le aspettative, forse gonfiate dalla stessa OpenAI, erano altissime.
Si parlava di un’IA con “competenze a livello di dottorato”, ma la realtà sembra essere quella di uno studente molto preparato che però, ogni tanto, si inventa le risposte con una sicurezza disarmante.
Il punto è che l’industria si è abituata ad aspettarsi miracoli a ogni release.
GPT-5, invece, ci ricorda che la strada per un’intelligenza artificiale veramente affidabile è ancora lunga e piena di ostacoli.
Eppure, a sentire OpenAI, la storia dovrebbe essere completamente diversa.
La narrazione di OpenAI contro l’esperienza reale
Sul suo sito ufficiale, OpenAI snocciola dati che sembrano provenire da un altro pianeta. Si parla di un sistema di “ragionamento ponderato sulle prove”, di auto-verifica e di una modalità “pensiero” che, se attivata, ridurrebbe gli errori fattuali dell’80%.
Numeri impressionanti, non c’è che dire.
L’azienda afferma di aver implementato nuovi approcci alla sicurezza per fornire risposte utili senza oltrepassare i limiti.
Ma allora, dove sta la verità?
La sensazione è che ci sia una disconnessione profonda tra i risultati ottenuti in ambienti di test e l’imprevedibilità del mondo reale. I miglioramenti tecnici sono innegabili, ma non sembrano sufficienti a risolvere il problema delle “allucinazioni” alla radice.
Questo ha portato molti esperti a una conclusione quasi unanime: l’unica via è verificare di persona ogni informazione prodotta da questi sistemi. Il che, a ben vedere, mette in discussione l’utilità stessa di uno strumento che dovrebbe farti risparmiare tempo e fatica.
La domanda, a questo punto, sorge spontanea: stiamo assistendo a un progresso reale o semplicemente a un marketing sempre più sofisticato?
Solite chiacchiere da marketing. L’IA è uno strumento, non una bacchetta magica. Il vero valore sta in chi la usa con cognizione.
Certo, il solito. Si vendono miraggi, poi tocca a noi raccogliere i pezzi e correggere. La speranza è che un giorno imparino a fare sul serio.
Ma davvero vi stupite? L’IA impara dai dati che le diamo, e i dati sono imperfetti. Chi si aspetta la perfezione da un algoritmo ha le idee poco chiare.
Ciao a tutti! Da tecnico, leggo questi test con un po’ di apprensione. L’idea di un’IA che “inciampa” sui fatti è preoccupante, specie se ci affideremo sempre di più a questi strumenti. La verifica umana resta, mi pare, un passaggio obbligato per ora. Voi che ne pensate?
Capisco perfettamente le perplessità, la precisione nei dettagli è la mia priorità nel lavoro. Bisogna sempre verificare, anche con gli strumenti più avanzati. Resta da chiedersi quanto tempo ci vorrà per colmare questo divario.