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Contattaci ora →Ma nonostante questo successo, la maggior parte degli utenti continua ad utilizzare il motore di ricerca per una questione di abitudine e di controllo delle informazioni
Nonostante il successo esplosivo di ChatGPT e la sua rapida adozione, un'analisi rivela che il 95,3% dei suoi utenti continua a visitare Google. L'IA generativa si è affermata come strumento per la creazione e la generazione di idee. Tuttavia, gli utenti tornano a Google per verificare le informazioni e confrontare, riaffermando il ruolo primario del motore di ricerca tradizionale come porto sicuro e affidabile per la ricerca e la validazione dei dati.
ChatGPT fa il pieno di utenti, ma tutti tornano da Google: cosa sta succedendo davvero?
L’intelligenza artificiale generativa doveva essere la rivoluzione, l’inizio di una nuova era che avrebbe mandato in pensione i vecchi motori di ricerca.
Ce lo siamo sentiti dire in tutte le salse.
Eppure, c’è un dato che, diciamocelo, smonta un po’ il castello di carte e ci mostra una realtà ben diversa, molto più sfumata di quanto i guru della tecnologia vogliano farci credere.
La verità è che, nonostante il successo stratosferico di strumenti come ChatGPT, la stragrande maggioranza delle persone non ha affatto abbandonato le vecchie abitudini. Anzi, sembra quasi che i due mondi, quello della ricerca tradizionale e quello dell’IA conversazionale, siano legati a doppio filo.
Ma questo significa che ChatGPT è un fallimento?
Nemmeno per sogno.
Anzi, la sua crescita è qualcosa che non si era mai visto prima e sta costringendo i giganti del settore a rincorrere.
I numeri non mentono: il cordone ombelicale con Google è ancora intatto
Andiamo dritti al punto.
Secondo un’analisi recente basata su dati di Similarweb, ben il 95,3% di chi usa ChatGPT ha visitato anche Google nello stesso periodo. In pratica, quasi chiunque si affidi all’IA per una risposta, poi sente il bisogno di aprire una nuova scheda e fare un salto sul caro, vecchio motore di ricerca.
Un controsenso, vero?
La cosa ancora più interessante è che il flusso non è affatto reciproco. Dagli utenti di Google, solo il 14,3% si è avventurato su ChatGPT. Questo ci dice una cosa molto chiara: ChatGPT è diventato uno strumento aggiuntivo nel nostro arsenale digitale, ma Google rimane il punto di partenza, il porto sicuro a cui tornare.
Non stiamo parlando di una sostituzione, ma di un’integrazione, spesso dettata da un bisogno molto umano: la verifica.
Eppure, sarebbe un errore madornale sottovalutare l’impatto di OpenAI. I suoi numeri sono impressionanti e raccontano di un cambiamento che è già in atto e che non si può ignorare.
Una crescita esplosiva che però non scalfisce il gigante
Ricordiamoci da dove siamo partiti. ChatGPT ha raggiunto un milione di utenti in soli cinque giorni, un traguardo che a piattaforme come Facebook ha richiesto mesi.
Oggi parliamo di centinaia di milioni di utenti attivi e miliardi di interazioni quotidiane.
Numeri che, come scrive Search Engine Land, farebbero tremare chiunque.
Google, dal canto suo, non è di certo rimasta a guardare. Ha risposto tirando fuori dal cilindro le sue “AI Overviews” e altre funzionalità basate sull’intelligenza artificiale, nel tentativo di non perdere il treno.
Una mossa difensiva, quasi obbligata, per dimostrare di essere ancora al passo con i tempi.
Ma il punto è un altro: perché, nonostante la potenza e la velocità di ChatGPT, sentiamo ancora il bisogno di tornare indietro?
La risposta non sta nella tecnologia, ma nel nostro comportamento. C’è una ragione psicologica, quasi istintiva, per cui il “vecchio” modello di ricerca non è ancora stato archiviato.
Perché, alla fine, torniamo sempre al punto di partenza?
La verità è che usiamo questi strumenti per scopi diversi.
Ci rivolgiamo a ChatGPT per creare, per avere spunti, per generare idee o bozze di testo in pochi secondi. È un partner creativo, un assistente instancabile.
Ma quando si tratta di trovare una fonte, di verificare un dato, di confrontare prezzi o di leggere recensioni, il vecchio riflesso di “googlare” è più forte che mai.
Ci fidiamo ancora di più di una lista di link che possiamo valutare, aprire e confrontare, piuttosto che di una risposta preconfezionata da un’IA, per quanto evoluta sia.
È una questione di controllo e di abitudine.
Google non ci dà “la” risposta, ci dà “le” risposte, lasciando a noi il compito di scegliere. ChatGPT, invece, ci offre la sua sintesi, e questo, per le questioni più delicate, a molti non basta ancora.
La partita, quindi, non è “Google contro ChatGPT“.
La vera sfida, per chiunque lavori online, è capire che le persone non hanno sostituito uno strumento con l’altro.
Lo hanno aggiunto.
E ignorare questa doppia realtà significa, semplicemente, non aver capito come le persone cercano, decidono e si informano oggi.
La gente usa ChatGPT per creare, ma poi ritorna a Google per la verifica. È logico: un’entità che genera contenuti non può essere il garante della loro accuratezza. La fiducia si costruisce sulla solidità del dato, non sulla fluidità del discorso.
Il vero valore è nel controllo: Google offre ancora la certezza di ciò che si cerca, a differenza di certe “innovazioni”.
Ma state scherzando? Pensare che ChatGPT sostituisca Google è ridicolo. L’abitudine vince, e la verifica delle informazioni è sacra. Chi ha tempo da perdere con un chatbot quando c’è il “vecchio” Google che ti dà la risposta che cerchi, senza fronzoli?
Solita fuffa, pensavano di averci venduto il futuro e invece si sono ritrovati a fare i paggi per Google. L’uomo cerca sicurezza, non parole a caso. Che illusione tutto questo.
Ma dai, pensavate davvero che una chiacchiera virtuale potesse scalzare il re? L’abitudine è dura a morire, e la gente vuole certezze, non parole a vanvera. Chi cerca la verità, torna dove la trova.
Logico: l’IA genera, Google valida. L’abitudine è forte, ma la fiducia nel dato verificato resta prioritaria.