Le regole del digitale stanno cambiando.
O sei visibile o sei fuori. Noi ti aiutiamo a raggiungere i clienti giusti — quando ti stanno cercando.
Contattaci ora →Un accordo colossale tra OpenAI e Oracle da 300 miliardi di dollari che solleva interrogativi sulla sostenibilità finanziaria e sulla corsa all’infrastruttura AI.
L'accordo da 300 miliardi di dollari tra OpenAI e Oracle per il cloud computing sta ridefinendo il mercato dell'IA. L'intesa quinquennale garantirà a OpenAI 4,5 gigawatt di potenza di calcolo, cruciali per lo sviluppo di futuri modelli. Nonostante i dubbi sulla sostenibilità finanziaria di OpenAI, l'operazione evidenzia la corsa globale all'infrastruttura computazionale, con Oracle come fornitore chiave.
Un accordo che ridefinisce le regole del gioco
Mettiamola così: non stiamo parlando di affittare qualche server in più. L’intesa, spalmata su cinque anni, prevede che Oracle fornisca a OpenAI una capacità di calcolo pari a 4,5 gigawatt. Un volume di fuoco computazionale spaventoso, necessario per addestrare e far girare le future generazioni di modelli di intelligenza artificiale.
L’operazione, lo rivela il WSJ, dovrebbe partire nel 2027, una data non casuale che coincide con l’anno fiscale 2028 di Oracle, quando l’azienda si aspetta di iniziare a incassare circa 30 miliardi all’anno solo da questa partnership. Il tutto, a quanto pare, è legato a un progetto dal nome quasi fantascientifico: “Stargate“. Un piano grandioso, quasi epico.
Ma c’è un dettaglio che non torna.
Chi paga tutto questo?
Ma i conti tornano davvero?
Ed è qui che la faccenda si fa interessante.
Diciamocelo chiaramente: come fa un’azienda come OpenAI, che secondo le proiezioni più ottimistiche non raggiungerà la redditività prima del 2029, a firmare un assegno di questa portata?
Nel 2025, si prevede che spenderà oltre 8 miliardi di dollari, a fronte di entrate stimate a 13. È evidente che c’è un buco, e neanche piccolo, tra le ambizioni e la cassa.
La spiegazione che viene data è che gli investitori e i fondi di venture capital continuano a credere ciecamente nel potenziale di OpenAI, quasi staccando un assegno in bianco pur di non perdere il treno.
Eppure, questa fiducia incrollabile solleva una domanda ancora più grande: stiamo assistendo a una scommessa calcolata sul futuro o a una bolla finanziaria costruita sulla pura aspettativa, pronta a scoppiare al primo intoppo?
La grande corsa all’infrastruttura AI
La verità è che questa mossa, per quanto finanziariamente azzardata possa sembrare, svela la vera natura della partita che si sta giocando. Non è più solo una gara a chi crea l’algoritmo più intelligente, ma una vera e propria corsa agli armamenti per accaparrarsi la risorsa più scarsa e preziosa: la potenza di calcolo.
OpenAI sta blindando la sua capacità infrastrutturale per i prossimi anni, cercando di mettere un muro tra sé e i concorrenti. E in questo gioco, Oracle si sta ritagliando un ruolo furbissimo: non quello del cercatore d’oro, ma quello del venditore di pale e picconi. Mentre tutti si affannano a scavare, loro forniscono gli attrezzi, garantendosi profitti colossali.
Resta da vedere se questa montagna di hardware e miliardi si tradurrà in un reale progresso o se, semplicemente, stiamo costruendo cattedrali costosissime in un deserto che deve ancora dimostrare di essere fertile.
300 miliardi… un numero che fa girare la testa. Ma se pensiamo alla fame di potenza di calcolo per l’IA, chissà se è solo l’inizio. Oracle si posiziona bene, ma OpenAI reggerà il colpo?
Un investimento così ingente per l’IA solleva interrogativi sulla reale necessità di tale infrastruttura a lungo termine. Bisogna valutare attentamente se si tratti di una solida base per il futuro o di un’eccessiva speculazione.