ChatGPT: ecco come si comportano gli utenti (secondo OpenAI)

Anita Innocenti

Le regole del digitale stanno cambiando.

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ChatGPT domina il mondo: numeri da capogiro e una dipendenza crescente che solleva interrogativi sul futuro del nostro rapporto con l’IA

ChatGPT supera 838 milioni di utenti a settembre 2025, diventando indispensabile. Con crescita esponenziale e 18 miliardi di messaggi settimanali, domina il 74,7% del mercato IA. Usato per ricerca, studio e lavoro, solleva interrogativi sulla crescente dipendenza da un'unica piattaforma e sulla trasparenza dei suoi modelli.

Una crescita che fa girare la testa

I numeri di OpenAI sono di quelli che lasciano a bocca aperta. Brad Lightcap, il COO dell’azienda, parlava di 400 milioni di utenti settimanali già a febbraio 2025. Due mesi dopo, ad aprile, erano già raddoppiati a 800 milioni. Sam Altman, il CEO, ha poi rincarato la dose rivelando che a luglio si generavano 2,5 miliardi di prompt al giorno.

L’obiettivo dichiarato? Raggiungere il miliardo di utenti entro la fine del 2025.

Una corsa sfrenata che sembra inarrestabile.

Questa espansione fulminea sta portando la piattaforma a essere il quinto sito più visitato al mondo, un traguardo che la dice lunga sulla sua penetrazione nel tessuto digitale globale. Eppure, dietro questa facciata di successo, resta da capire come questa massa enorme di persone stia effettivamente integrando l’IA nel proprio quotidiano.

Come gli utenti stanno trasformando l’uso di chatgpt

Lo studio di OpenAI mostra che l’utilizzo di ChatGPT non è più appannaggio di pochi pionieri digitali, ma riflette un pubblico ampio e variegato. Gli utenti si rivolgono al modello soprattutto per attività quotidiane: scrivere testi, chiedere informazioni pratiche, pianificare impegni.

La scrittura è la funzione più diffusa, mentre programmazione ed espressione creativa restano secondarie. Le interazioni possono essere divise in tre comportamenti principali: Asking (49%), quando si cercano consigli e spiegazioni; Doing (40%), quando l’IA è usata come strumento operativo per redigere, organizzare o completare compiti; Expressing (11%), quando diventa spazio di riflessione personale o gioco.

Colpisce la stabilità e la crescita d’uso in entrambi gli ambiti, lavorativo e privato: il 30% delle interazioni riguarda il lavoro, il 70% la vita personale. In sintesi, ChatGPT è ormai percepito come un alleato che affianca le persone nel prendere decisioni e semplificare le giornate.

Come lo usiamo davvero, al di là dei proclami

Se andiamo a vedere i dati nel dettaglio, scopriamo che l’utilizzo di ChatGPT è molto più pragmatico di quanto si possa pensare. La ricerca generica la fa da padrona, rappresentando il 36,6% delle interazioni. In pratica, lo usiamo come un super-motore di ricerca per trovare risposte rapide. Segue a ruota la ricerca accademica con il 18,1%, segno che studenti e ricercatori lo hanno adottato in massa per i loro studi.

Subito dopo troviamo gli sviluppatori, con il 14,1% degli usi dedicati alla scrittura e al debug del codice, e chi lo impiega per comporre email (13,8%). Questo significa che quasi un terzo degli adulti lavoratori negli Stati Uniti lo usa per compiti legati alla propria professione. Lo strumento, quindi, si sta radicando nelle nostre vite professionali e personali.

Ma questa dipendenza crescente verso un’unica grande azienda è davvero una buona notizia?

Un gigante con pochi rivali: c’è da fidarsi?

Quando si parla di mercato, la situazione è quasi imbarazzante.

ChatGPT detiene saldamente il 74,7% del mercato della ricerca basata su IA, lasciando le briciole ai concorrenti. Google Gemini si ferma a un modesto 13,4%, mentre gli altri sono praticamente comparse. Questa posizione dominante, consolidata nel tempo, solleva più di una domanda.

Siamo sicuri che affidare una fetta così grande della nostra produttività e del nostro accesso all’informazione a una singola multinazionale, peraltro non sempre trasparente sui suoi modelli e sui dati che utilizza, sia una mossa saggia?

Mentre continuiamo a integrare questi strumenti nel nostro lavoro e nelle nostre vite, forse dovremmo iniziare a chiederci quanto siamo disposti a pagare, in termini di dipendenza e controllo, per questa comodità.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

5 commenti su “ChatGPT: ecco come si comportano gli utenti (secondo OpenAI)”

  1. Nicola Caprioli

    Questi numeri evidenziano un cambiamento nel modo di apprendere e lavorare. Mi chiedo quanto resterà la nostra autonomia.

  2. Cifre spropositate, certo. Ma chi si stupisce? L’umanità è sempre stata attratta dalla scorciatoia. La vera sfida non è l’uso, ma il discernimento. Saranno in grado di pensare autonomamente o diventeranno meri esecutori di istruzioni digitali?

  3. Questi numeri sono impressionanti, ma mettono in luce una realtà inquietante: stiamo delegando troppo. La dipendenza da una singola IA per ricerca, studio e lavoro mina la nostra capacità critica. Ma chi garantirà l’evoluzione di queste capacità umane, se non noi stessi?

    1. Ottimo, numeri che impressionano, ma la dipendenza da un’unica fonte è un rischio. Finché non capiamo chi tira le fila, resto scettico. Si parla tanto di futuro, ma chi ci garantisce che sia un futuro nostro?

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