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Contattaci ora →L’estensione della “AI Mode” di Google a tutti gli utenti di lingua spagnola solleva interrogativi sull’impatto su editori, creatori di contenuti e sul futuro dell’informazione online.
Google ha esteso la sua AI Mode a tutti gli utenti di lingua spagnola (oltre 500 milioni) dal 23 settembre 2025, intensificando la competizione con OpenAI. La modalità trasforma la ricerca in conversazioni strutturate, promettendo convenienza ma allarmando gli editori per un calo di traffico. Questa strategia mira a monetizzare l'AI tramite abbonamenti, sollevando dubbi sull'affidabilità e sul futuro dell'informazione online.
La mossa strategica di Google nella guerra delle AI
Non giriamoci intorno: questa non è solo una nuova funzione, è una dichiarazione di guerra.
L’AI Mode trasforma la classica pagina di link blu in una conversazione. Invece di aprire dieci schede diverse per mettere insieme le informazioni, ora puoi fare una domanda complessa e ricevere una risposta strutturata, quasi un mini-articolo, generato dall’intelligenza artificiale che attinge da più fonti.
L’obiettivo ufficiale è semplificarti la vita.
Quello non detto, ovviamente, è tenerti il più a lungo possibile dentro il recinto dorato di Google, senza che tu abbia più motivo di uscirne.
Questa espansione, che segue un primo lancio in 180 paesi ad agosto, mira a contrastare direttamente l’avanzata di servizi come ChatGPT Go di OpenAI. La partita si gioca su chi riuscirà a integrare l’AI in modo più naturale e, soprattutto, a monetizzarla meglio. Google sta legando queste funzionalità avanzate ai suoi piani in abbonamento, come Google AI Ultra, trasformando la ricerca da servizio gratuito a potenziale fonte di ricavi diretti.
E mentre l’utente medio potrebbe vedere solo la comodità di una risposta immediata, c’è chi sta guardando a questa evoluzione con molta, molta preoccupazione.
Un’esperienza utente rivoluzionata o un labirinto di funzioni?
Sulla carta, i vantaggi sembrano evidenti. Puoi chiedere “¿Cuáles son los riesgos y beneficios de la creatina para corredores?” e ottenere un riassunto completo con tanto di fonti e suggerimenti per approfondire. Niente più fatica a districarsi tra siti più o meno affidabili. Google fa il lavoro sporco per te.
Ma siamo sicuri che sia tutto così lineare? L’azienda sta riempiendo i suoi prodotti di così tante sigle e funzioni AI – AI Overviews, AI Mode, Gemini – che il rischio è creare solo una gran confusione.
L’utente saprà distinguere? O si ritroverà a cliccare a caso, senza capire bene cosa stia usando?
La questione, poi, si fa ancora più spinosa quando si considera l’affidabilità. Google stessa mette le mani avanti, ricordando che le risposte includono le fonti proprio perché è bene verificare, specialmente su argomenti delicati come la salute o la finanza.
Il che suona un po’ come un controsenso: ti do la pappa pronta, ma poi controlla tu se gli ingredienti sono buoni.
Una bella scaricata di responsabilità, non trovi?
Ma il vero nodo da sciogliere non riguarda tanto l’utente finale, quanto chi, con le proprie informazioni, alimenta questa macchina.
L’impatto sul mercato e le preoccupazioni (legittime) degli editori
Se Google ti dà la risposta, che motivo hai di cliccare sul link del sito che quella risposta l’ha prodotta originariamente?
Ecco la domanda da un milione di dollari che sta togliendo il sonno a editori, blogger e creatori di contenuti in tutto il mondo. Per anni hanno lavorato per posizionarsi sulla prima pagina di Google, e ora vedono il loro traffico potenziale “risucchiato” da un riassunto generato da un’AI.
È un cambiamento che rischia di tagliare le gambe all’intero sistema di creazione di contenuti sul web, specialmente in mercati come quello spagnolo, dove il dibattito sul diritto d’autore e la giusta remunerazione da parte degli aggregatori di notizie è sempre stato molto acceso.
Google sostiene che l’AI Mode è pensata per ricerche complesse e che continuerà a mandare traffico di valore ai siti.
Sarà vero?
O stiamo assistendo al primo passo verso un web dove i grandi colossi tecnologici non solo indicizzano i contenuti, ma li assorbono e li rielaborano, diventando di fatto gli unici editori?
La questione è aperta e, francamente, il futuro di un’informazione libera e diversificata potrebbe dipendere proprio da come verrà gestito questo equilibrio. E a giudicare da come vanno di solito queste cose, qualche dubbio è più che lecito.
Mossa prevedibile ma rischiosa. Il rischio di cannibalizzare il traffico degli editori con risposte dirette è alto. Un modello sostenibile per il web, o solo un altro modo per raccogliere dati? La monetizzazione tramite abbonamento mi lascia perplesso.
Un vero vortice di idee questo nuovo modo di cercare. Chissà se i pensieri fluidi delle persone troveranno un nuovo fertile terreno digitale.
Bene, Google si fa avanti anche in spagnolo. Speriamo che questo “mini-articolo” generato dall’IA non sia un’altra scusa per non pagare chi crea davvero il contenuto.
Come tecnico, vedo questo come un passaggio prevedibile. Il modello di conversazione è un’interfaccia efficiente. Mi chiedo se gli editori sapranno adattarsi a questo cambiamento, trovando nuovi modi per valorizzare il loro lavoro.
Antonio Romano, adattarsi o soccombere, questa è la domanda. Speriamo che i nostri contenuti non finiscano nel dimenticatoio digitale per colpa di un chatbot.
Non sono sicuro di come questo influenzerà il lavoro di noi tecnici. Se l’IA fornisce risposte dirette, la gente cercherà meno fonti?
Questa espansione spagnola mi preoccupa per il traffico dei siti, come faremo a farci trovare?
È affascinante osservare questo continuo plasmare del sapere. Mi chiedo se, nel desiderio di risposte immediate, non perdiamo un po’ il piacere della scoperta, quel vagare un po’ perso tra le pagine che a volte svela mondi inaspettati.
Google punta tutto sul monopolio informativo, i creatori di contenuti finiranno schiacciati. E poi ci lamentiamo della disinformazione.
Mah, la conversazione invece del link. Alla fine, chi vende il succo non è mai quello che ha piantato l’albero.
È un’evoluzione naturale del modo in cui interagiamo con l’informazione. Dobbiamo solo prepararci ai cambiamenti che porterà sul lavoro di tutti.
Tutta questa storia dell’AI che ti dà risposte preconfezionate mi puzza. Alla fine, chi ci rimette siamo noi che vogliamo imparare cose vere, non solo sentirci dire quello che vogliamo.
Ma figuriamoci, Google che gioca a fare il saputello con le risposte preconfezionate. Altro che guerra, è un invito a dormire sui tasti. Intanto, noi poveri creatori di contenuti ci arrangiamo con le briciole. Chissà se impareranno mai che l’informazione di qualità non si scarica.
L’espansione dell’AI Mode è un passo prevedibile, ma le implicazioni per chi produce contenuti sono notevoli. Se la gente otterrà risposte dirette, il traffico verso i siti diminuirà. Mi chiedo se questo modello sia sostenibile nel lungo periodo per tutti.
Già, la solita solfa: più AI, meno clic sui siti. E noi, poveri tecnici, a raccogliere i pezzi di un web sempre più strano. Speriamo che i server non vadano in tilt con tutta questa “conversazione”.
Bene, Google fa la sua mossa, ma a chi giova davvero questo “conversare” continuo? Personalmente, temo per la qualità delle fonti.
Questa mossa di Google è un vero azzardo. Trasformare la ricerca in un chatbot è un modo per controllare ancora di più il flusso di informazioni. Editori e creatori di contenuti devono stare attenti: il traffico verso i loro siti potrebbe dissolversi. Il futuro dell’informazione è davvero in bilico.