Cloudflare sfida Google: un nuovo scudo protegge i contenuti dall’IA

Anita Innocenti

Le regole del digitale stanno cambiando.

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Cloudflare lancia la Content Signals Policy per dare ai siti web il controllo sull’uso dei propri contenuti da parte delle IA, aprendo un potenziale conflitto con Google

Cloudflare ha lanciato la Content Signals Policy, un nuovo strumento per permettere ai creatori di proteggere i propri contenuti dall'uso non autorizzato dell'IA. Questa mossa, che copre il 20% del web, sfida direttamente Google e le sue AI Overviews, costringendola a scegliere se rispettare le direttive o affrontare possibili implicazioni legali. È un punto di svolta per il futuro del web.

Cloudflare dichiara guerra a Google: un nuovo scudo per proteggere i tuoi contenuti dall’IA

Da un lato, i giganti della tecnologia che usano i contenuti del web per addestrare le loro intelligenze artificiali, spesso senza chiedere il permesso. Dall’altro, chi quei contenuti li crea, e che vede il proprio traffico svanire, cannibalizzato da risposte generate automaticamente.

Finora sembrava una battaglia impari, ma qualcosa è appena cambiato. Cloudflare, che gestisce una fetta enorme del traffico internet mondiale, ha deciso di scendere in campo e ha lanciato una vera e propria bomba.

Una mossa che mette Google, e le sue AI Overviews, di fronte a una scelta scomoda.

La nuova “dogana” per l’IA: come Cloudflare cambia le regole del gioco

Cloudflare ha messo in campo una nuova arma per i proprietari di siti web: la Content Signals Policy. In parole povere, ha creato una sorta di dogana digitale che permette a chiunque di dire chiaramente ai bot cosa possono e non possono fare con i propri contenuti.

Non si tratta più solo di bloccare o permettere l’indicizzazione, ma di dare istruzioni specifiche per l’intelligenza artificiale.

In pratica, puoi dire a un crawler: “Ehi tu, puoi usare i miei testi per i risultati di ricerca classici, ma non ti azzardare a darli in pasto alla tua IA per generare risposte o per allenare i tuoi modelli”.

Questa non è una piccola modifica tecnica per pochi smanettoni.

Parliamo di una policy che verrà applicata in automatico a milioni di siti che usano i servizi di Cloudflare, coprendo circa il 20% di tutto il web. Una mossa di una portata gigantesca, che mira a ristabilire un principio semplice: il controllo sui propri contenuti deve tornare nelle mani di chi li crea.

Ma, come puoi immaginare, una cosa è fissare una regola, un’altra è farla rispettare.

Soprattutto quando dall’altra parte c’è un colosso come Google.

La palla passa a Google, che per ora fa scena muta

E qui la faccenda si fa interessante. Le direttive del file robots.txt, dove vengono inserite queste nuove “regole”, sono storicamente basate su una sorta di accordo tra gentiluomini: i motori di ricerca si impegnano a rispettarle, ma non c’è una legge che li obblighi.

E Google, messa al corrente per tempo della novità, cosa ha fatto?

Silenzio totale.

Non un sì, non un no.

Un silenzio che pesa come un macigno e che solleva un dubbio enorme: rispetterà queste nuove direttive o continuerà a fare come gli pare?

Matthew Prince, il CEO di Cloudflare, non sembra avere dubbi e ha alzato la posta, facendo capire che questa non è una semplice richiesta, ma una mossa con possibili implicazioni legali.

Secondo lui, ignorare queste nuove direttive equivarrebbe a violare un contratto. È un avvertimento neanche troppo velato: Google non può più nascondersi dietro la scusa di avere un unico crawler per la ricerca e per l’IA, un vantaggio competitivo che, secondo Prince, è semplicemente ingiusto.

La pressione su Mountain View è altissima.

Obbedire significherebbe, probabilmente, dover separare i propri sistemi di raccolta dati, ammettendo di fatto una differenza tra indicizzazione per la ricerca e “saccheggio” per l’IA. Ignorare la richiesta, invece, aprirebbe la porta a battaglie legali e a una crisi d’immagine non da poco.

Siamo alla fine del patto non scritto del web?

Quello che sta succedendo va ben oltre la semplice schermaglia tra due aziende tecnologiche. Qui si sta mettendo in discussione il patto non scritto su cui si è retto il web per decenni: tu, creatore, mi dai i tuoi contenuti, e io, motore di ricerca, ti porto traffico.

Un equilibrio che le risposte generate dall’IA hanno mandato in frantumi.

Perché mai un utente dovrebbe cliccare sul tuo articolo, se la risposta gliela fornisce già Google, dopo averla “imparata” proprio dal tuo lavoro?

Questa mossa di Cloudflare è un tentativo di forzare la mano, di costringere i giganti dell’IA a sedersi al tavolo e a rinegoziare le regole. È la continuazione di un percorso iniziato già a luglio, quando l’azienda annunciò il “Content Independence Day”, un’iniziativa, come riportato da Internet Governance, per bloccare di default i crawler IA non autorizzati.

Siamo di fronte a un momento decisivo. La scelta di Google nei prossimi mesi ci dirà molto sul futuro del web: sarà ancora un luogo basato sullo scambio reciproco di valore, o diventerà una semplice miniera di dati a disposizione di pochi?

Staremo a vedere.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

7 commenti su “Cloudflare sfida Google: un nuovo scudo protegge i contenuti dall’IA”

  1. Ah, questa mossa di Cloudflare è un po’ come quando si scopre che qualcuno ha usato le tue ricette segrete per il suo ristorante… solo che qui si parla di byte e algoritmi. Chissà se le IA impareranno mai a rispettare la privacy digitale, o se continueranno a sbocconcellare tutto indisturbate?

  2. Questa mossa di Cloudflare sembra uno sgarbo a Google. Io mi chiedo se i creatori di contenuti avranno davvero un vantaggio concreto o se è solo un altro modo per fare business.

    1. La politica di Cloudflare sembra logica: chi crea deve poter decidere l’uso dei propri dati. Il rischio è che Google ignorando queste direttive possa subire perdite di credibilità, non solo legali.

  3. Alessandro Parisi

    Finalmente una mossa concreta contro questo scempio. Ma quanto tempo ci vorrà prima che queste “soluzioni” diventino l’ennesimo ostacolo per noi utenti?

  4. Francesco De Angelis

    Ma che bella trovata! Dopo anni di saccheggio indiscriminato, ora si preoccupano del copyright. Certo, ora che Google ha l’acqua alla gola ci pensano. Resta da capire quanto durerà questa “protezione” prima che trovino un altro cavillo. La mia pazienza è finita, ma la loro ingordigia no.

  5. Bene, un’altra schermaglia tra titani. Chi ci rimette davvero sono sempre quelli piccoli. Chissà se ‘sto scudo funzionerà o è solo fumo negli occhi.

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