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Contattaci ora →YouTube promette di misurare l’impatto reale del tuo brand con l’AI, unendo campagne a pagamento e contenuti organici per una visione d’insieme finora impossibile.
YouTube ha presentato il Brand Pulse Report, uno strumento AI multimodale che promette di rivoluzionare la misurazione dell'impatto dei brand. Offre metriche innovative unendo dati pagati e organici. Tuttavia, sorgono dubbi sulla trasparenza della sua tecnologia e sulla limitata accessibilità ai soli grandi inserzionisti, sollevando interrogativi sulla sua reale efficacia per tutti.
Come funziona questa “magia” dell’intelligenza artificiale?
La base del Brand Pulse Report è un’intelligenza artificiale che Google definisce “multi-modale”. In parole povere, significa che il sistema non si limita a leggere i titoli o a cercare il tuo logo nei video.
Va molto più a fondo: analizza l’audio per capire se il tuo marchio viene nominato, scandaglia ogni fotogramma per scovare prodotti e loghi, anche se appaiono per pochi secondi, e legge testi in descrizioni e didascalie.
In pratica questo strumento crea una mappa completa di ogni singola menzione del tuo brand, che sia in una pubblicità che hai pagato, in un video di un influencer o nel contenuto di un utente qualunque.
L’idea è di darti una visione d’insieme che finora era impossibile ottenere, unendo finalmente il mondo dei contenuti a pagamento con quello spontaneo e organico.
Una bella mossa, senza dubbio.
Ma viene spontaneo chiedersi quanto sia precisa questa tecnologia nel distinguere una menzione positiva da una critica feroce, o un logo usato come esempio positivo da uno messo alla berlina.
Il punto è che, una volta raccolti tutti questi dati, YouTube li trasforma in nuove metriche.
E qui la cosa si fa interessante, perché non parliamo più solo di “visualizzazioni”.
I numeri che contano (o almeno, quelli che ti danno loro)
Il report mette sul piatto due dati principali. Il primo è il Total Unique Viewers, ovvero il numero totale di persone uniche che sono state esposte al tuo brand, a prescindere dal tipo di contenuto.
Il secondo è lo Share of Watch Time, che ti dice quanta parte del “tempo di visione” totale nella tua categoria di mercato è occupata dal tuo marchio rispetto ai concorrenti.
Ginny Marvin, la portavoce di Google Ads, ha sottolineato come questo serva a “unire i puntini”, mostrando come la pubblicità a pagamento e i contenuti organici lavorino insieme per influenzare il comportamento degli utenti.
Ma il dato più intrigante è forse lo Search Lift: il sistema promette di dimostrare come l’esposizione al tuo brand su YouTube porti a un aumento delle ricerche su Google con il tuo nome.
In pratica, vogliono dirti: “Guarda, più ti fai vedere qui, più la gente ti cerca attivamente”.
Una correlazione potente, che però solleva un dubbio fondamentale:
siamo sicuri che sia YouTube a causare l’aumento delle ricerche, o sta semplicemente intercettando un interesse che sarebbe nato comunque?
Sembra tutto perfetto, quasi troppo per essere vero.
E infatti, come spesso accade quando si parla di queste grandi piattaforme, ci sono delle zone d’ombra che è meglio non ignorare.
Bello, ma… quali sono le fregature?
Prima di tutto, questo strumento non è per tutti. Al momento è disponibile solo per un gruppo ristretto di grandi inserzionisti, i soliti “pochi eletti”. Questo significa che la piccola e media impresa, quella che forse avrebbe più bisogno di capire dove sta mettendo i suoi soldi, per ora resta a guardare.
Un classico.
Poi c’è la questione della trasparenza. L’intelligenza artificiale che sta dietro a tutto questo è una scatola nera.
Come vengono pesate le diverse menzioni?
Un logo che appare per un secondo in un video vale quanto una recensione di dieci minuti?
E se un creator parla male del mio prodotto, questo conta come “esposizione” positiva o negativa?
Domande a cui, per ora, non c’è una risposta chiara. Si rischia di basare decisioni di budget su dati aggregati di cui non si conosce fino in fondo la natura.
La verità è che YouTube, con questa mossa, sta cercando di blindare la sua posizione e di convincere i marketer a investire ancora di più sulla sua piattaforma, presentandola come l’unico posto dove puoi avere una visione completa del tuo impatto. L’idea è affascinante, ma il rischio è di affidarsi a uno strumento proprietario senza poter verificare in modo indipendente la veridicità e il contesto dei dati che ci fornisce.
E tu, ti fideresti a guidare la tua strategia basandoti su una mappa disegnata da chi ti vende la benzina?
Sono un po’ preoccupata da questo Brand Pulse Report. L’idea di avere una visione d’insieme è buona, ma la paura è che ci si affidi troppo alle macchine. Spero che non perdano di vista l’umanità che c’è dietro un brand.
Greta, capisco la tua perplessità. L’idea di quantificare tutto mi lascia anche a me un po’ titubante. Temo che le sfumature del rapporto tra brand e pubblico possano andare perse in questo nuovo quadro. Siamo sicuri che l’AI possa cogliere ogni sfumatura emotiva?
Ma guarda un po’, un nuovo modo per contare click e visualizzazioni. Chissà se poi davvero ci aiuterà a capire se qualcuno si ricorda di noi domani.
Ok, Angela, ma non è solo contare, è anche capire. Se l’AI non mente, potremmo avere dati seri per una volta.
Questa nuova analisi di YouTube mi lascia perplesso. La promessa di misurare l’impatto reale è allettante, ma la natura “multimodale” dell’AI mi fa chiedere se si possa davvero cogliere l’essenza di un brand solo analizzando dati.
Tutta questa misurazione mi sembra un po’ fredda, come se l’anima di un brand potesse essere quantificata in un grafico. Chissà se qualcosa si perde nel tradurre l’emozione in dati.
Mi preoccupa un po’ questa enfasi sull’AI; temo che la comprensione umana delle sfumature possa perdersi in tanti dati.
Ancora un’altra promessa dall’AI che promette la luna. Chissà se questa volta le metriche ci diranno qualcosa di concreto o solo fumo negli occhi per farci spendere di più?