Google e l’AI nella ricerca: la “gabbia dorata” di Robby Stein per i content creator

Anita Innocenti

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L’AI di Google promette di espandere la ricerca, ma solleva interrogativi sul controllo dei contenuti e sulla dipendenza dal suo ecosistema.

Google, tramite Robby Stein, minimizza l'impatto dell'IA sulla ricerca, presentandola come un'espansione. Emerge il sospetto che l'AI Mode crei una "gabbia dorata", trattenendo gli utenti sulla piattaforma e trasformando i creatori di contenuti in fornitori non retribuiti. La dipendenza dal traffico organico è una vulnerabilità critica.

AI mode: la gabbia dorata di Google

Il cuore di questa rivoluzione si chiama AI Mode. Stein la descrive non come un rimpiazzo, ma come un nuovo strato che si posa sulla ricerca classica. Uno strato che, grazie all’accesso a una mole di dati spaventosa (dal Google Shopping Graph a Maps), è in grado di rispondere a domande incredibilmente articolate. La promessa è quella di poter “chiedere qualsiasi cosa” e avere una risposta completa, conversazionale, quasi umana.

Ma proviamo a guardare oltre la facciata.

Questo sistema, come descritto da Search Engine Land, funziona facendo decine di ricerche in sottofondo per conto tuo, per poi sintetizzare le informazioni in una risposta unica. In parole povere: Google usa i contenuti del web (i tuoi, i miei) per creare la sua risposta, senza che l’utente debba più fare la fatica di cliccare sui link.

È un meccanismo geniale, certo, ma per chi?

Per l’utente che ottiene una risposta rapida, o per Google che lo tiene intrappolato nella sua piattaforma, monetizzando la sua attenzione senza spartire la torta con chi ha creato quei contenuti?

Il sospetto è che l’AI Mode sia una splendida gabbia dorata. Comoda, efficiente, ma pur sempre una gabbia che limita la nostra navigazione al perimetro deciso da Google.

E se sei tu a produrre i contenuti che alimentano questa macchina, la domanda sorge spontanea.

La grande illusione: “basta creare contenuti di qualità”

E così arriviamo al punto che interessa a te, a noi, a chiunque abbia un’attività online.

Cosa dobbiamo fare di fronte a questo cambiamento epocale?

La risposta ufficiale di Google, ripetuta come un mantra, è sempre la stessa: continuate a creare contenuti utili, originali e di alta qualità. L’AI, ci assicurano, è progettata per riconoscere e premiare l’autorevolezza.

Tutto molto poetico, se non fosse per un piccolo, insignificante dettaglio: se la risposta viene fornita direttamente da Google nella sua pagina, qual è l’incentivo per l’utente a visitare il tuo sito?

Se la sintesi dell’AI è così completa, perché mai qualcuno dovrebbe approfondire leggendo la fonte originale?

Si profila uno scenario in cui i creatori di contenuti diventano i fornitori di materia prima, non pagati, per un motore che diventa sempre più un editore.

La verità è che l’invito a “creare qualità” suona un po’ come un contentino.

Certo, la qualità è fondamentale, ma non basta più.

Stiamo entrando in un’era in cui la dipendenza dal traffico organico di Google potrebbe diventare una vulnerabilità fatale.

La vera sfida non sarà solo produrre contenuti eccellenti, ma costruire canali di proprietà, una community fedele e un brand così forte da spingere le persone a cercarti direttamente, bypassando il nuovo, intelligentissimo guardiano della porta d’ingresso del web.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

17 commenti su “Google e l’AI nella ricerca: la “gabbia dorata” di Robby Stein per i content creator”

  1. Stein dice “espansione”, ma sembra più una trappola. Se gli utenti si accontentano delle risposte AI, chi visiterà i siti? I creator diventeranno solo manovalanza gratuita per l’algoritmo. Finirà che ci penseremo due volte prima di pubblicare qualcosa.

    1. Isabella Sorrentino

      Ma certo, un’espansione! Più che altro una prigione per noi che creiamo contenuti. Se l’AI darà risposte preconfezionate, addio traffico, addio visibilità. Saremo solo schiavi di un algoritmo che ci sfrutta senza pagare. Che futuro ci aspetta?

  2. Raffaele Graziani

    Il punto di vista sollevato è notevole. La possibilità che l’AI di Google ci tenga legati alla sua piattaforma, trasformando i creator in risorse a costo zero, fa riflettere sulla sostenibilità a lungo termine. Speriamo in un equilibrio equo per tutti.

  3. Ma davvero pensano di farci credere che sia solo un’espansione? La “gabbia dorata” è una realtà che vedo ogni giorno. Se i contenuti restano lì, chi ci pagherà per il lavoro? Speriamo che i creatori si rendano conto del rischio.

    1. Sebastiano Caputo

      Capisco il tuo timore, Marco. Se l’AI diventa un filtro esclusivo, il valore dei creator rischia di svanire. Come possiamo assicurarci che il nostro lavoro sia ancora riconosciuto e remunerato in questo nuovo scenario?

      1. Ci mancava solo questa. La comodità apparente nasconde un disinteresse totale verso chi produce il contenuto. Non mi sembra un progresso.

  4. Immagino che le risposte così immediate ci distolgano dal cercare noi stessi, perdendo un po’ la bellezza della scoperta. Mi chiedo se questo cambierà il nostro modo di imparare.

  5. Chiara De Angelis

    È una preoccupazione comprensibile. Come creatori, investiamo tempo e risorse per offrire valore. Se l’AI di Google ci rende solo fonti a costo zero, dobbiamo chiederci quale sia il futuro della nostra attività. Speriamo in un equilibrio sostenibile.

  6. Ancora una volta, la comodità dell’utente prevale sulla sostenibilità per chi crea. Temo diventeremo meri ingranaggi di un meccanismo che ci risucchia, senza alcun reale beneficio. È un gioco a somma zero.

  7. L’AI di Google rischia di trasformare i creatori in meri fornitori di dati, senza ritorno. La vera sfida è mantenere l’indipendenza, non finire in questa “gabbia dorata”.

    1. Sara Benedetti

      La “gabbia dorata” è una metafora azzeccata. Ci stanno intrappolando nei loro algoritmi, lasciandoci senza un reale guadagno.

    2. Isabella, la tua preoccupazione è più che fondata. “Espansione”, certo, come un ragno che espande la sua tela. Se l’AI risponde a tutto, chi mai cliccherà per approfondire? Ci stanno trasformando in scribacchini per il loro banchetto digitale, vero?

  8. Ma che “espansione”?! Ci stanno rinchiudendo in una bolla dove il contenuto resta lì, senza portarci traffico. Questa è una fregatura bella e buona.

  9. Mi preoccupa un po’ questa direzione. Se gli utenti trovano tutte le risposte direttamente su Google, cosa succederà al traffico verso i nostri siti? Temo diventeremo solo delle fonti per un’intelligenza artificiale che poi le rielabora.

  10. L’integrazione dell’AI nella ricerca solleva legittime preoccupazioni per i creatori. Se l’obiettivo è fornire risposte dirette, il rischio è che il traffico verso le fonti originali si riduca drasticamente. Come potranno i professionisti continuare a produrre contenuti di valore se la loro visibilità diminuisce?

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