Le regole del digitale stanno cambiando.
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Contattaci ora →L’IA ignora Google: solo il 12% delle fonti AI coincide con la top 10, aprendo scenari inediti per la visibilità online e ridefinendo le strategie di marketing
Uno studio Ahrefs rivela che l'intelligenza artificiale pesca fonti diverse dalla Top 10 di Google. Le AI Overviews di Google riducono drasticamente i click ai siti. La tradizionale SEO perde efficacia, mentre la notorietà e l'autorevolezza del brand emergono come nuova chiave per la visibilità online, superando i semplici algoritmi.
L’IA pesca le sue fonti da un universo parallelo?
Tutti parlano di come l’intelligenza artificiale stia riscrivendo le regole della ricerca online, promettendo risposte immediate e precise.
Ma ti sei mai chiesto da dove provengano davvero queste risposte?
Siamo sicuri che le fonti citate da questi strumenti siano le più autorevoli?
Un recente studio getta un’ombra pesante su queste certezze, mostrando una realtà ben diversa da quella che ci viene raccontata. La ricerca, come riportato su Ahrefs, svela che solo il 12% delle fonti citate dai principali assistenti AI si trova effettivamente nella top 10 di Google per la stessa ricerca.
Hai capito bene: quasi nove volte su dieci, l’IA ignora completamente i risultati che Google considera i migliori.
Questa analisi ha messo sotto la lente d’ingrandimento 15.000 ricerche su piattaforme come ChatGPT, Gemini e Copilot, e i risultati sono a dir poco sorprendenti. Sembra quasi che questi strumenti vivano in una dimensione parallela, dove i criteri di autorevolezza che abbiamo conosciuto finora contano poco o nulla.
L’unica eccezione in questo quadro è Perplexity, che mostra un allineamento quasi triplo rispetto ai suoi concorrenti, citando un risultato della top 10 di Google quasi una volta su tre. Un segnale che forse un approccio diverso è possibile, ma la tendenza generale è chiara: fidarsi ciecamente delle fonti AI potrebbe portarti fuori strada.
Ma mentre questi assistenti esterni giocano una partita a parte, Google sta cambiando le regole direttamente a casa sua, e l’impatto, per chi vive di visibilità online, si sente.
Eccome.
Meno click, più muri: la dieta forzata imposta da Google
Se pensi che il problema riguardi solo gli assistenti AI esterni, preparati a ricrederti. La vera rivoluzione, o forse involuzione, sta avvenendo direttamente sulla pagina di ricerca di Google con le sue AI Overviews.
Questi riassunti generati dall’IA, che ormai compaiono in oltre la metà delle ricerche, stanno di fatto costruendo un muro tra l’utente e i siti web. I dati non mentono: la loro presenza causa una riduzione media del 34,5% dei click verso le pagine che si sono guadagnate con fatica le prime posizioni, come descritto in un’altra analisi di Ahrefs.
In pratica, Google usa i contenuti creati da te e da altri per dare una risposta diretta, trattenendo l’utente all’interno del proprio recinto.
Un servizio per l’utente o un modo geniale per monopolizzare ulteriormente l’attenzione e il traffico?
Il dubbio è più che lecito, soprattutto quando si scopre che oltre il 70% di questi riassunti non contiene link sponsorizzati, lasciando per ora fuori dai giochi anche la monetizzazione diretta. Google sta quindi offrendo un servizio “gratuito” attingendo al lavoro altrui, senza però garantire in cambio la stessa visibilità di prima.
E se finire tra i primi 10 su Google non garantisce più la visibilità di un tempo, quali sono le nuove leve da muovere per non sparire del tutto?
Vecchie regole, nuovo gioco: cosa conta davvero per emergere oggi
La domanda sorge spontanea: se i classici segnali SEO non bastano più per essere citati dall’IA o per superare il muro delle AI Overviews, su cosa bisogna puntare?
La risposta sembra allontanarsi sempre di più dalla pura tecnica per avvicinarsi a qualcosa di più solido: la notorietà del brand.
I dati mostrano infatti che la correlazione più forte con la visibilità nelle AI Overviews non è il Domain Rating o altri parametri tecnici, ma la quantità di menzioni del brand sul web, come evidenziato da Ahrefs in uno studio specifico sulle correlazioni.
In parole povere, oggi conta di più “chi parla di te” rispetto a “quanto sei ottimizzato tecnicamente”.
Questo sposta completamente il focus.
Non si tratta più solo di scalare una classifica, ma di costruire un’autorità così riconoscibile che l’intelligenza artificiale, sia quella di Google che quella di terze parti, non possa fare a meno di citarti.
Diventa una questione di reputazione, di presenza autentica e di valore reale percepito dalle persone, prima ancora che dagli algoritmi.
In questo nuovo contesto, essere una fonte affidabile e discussa nel proprio settore sembra essere l’unica vera moneta con cui pagare per la propria visibilità.
Affascinante questa divergenza di fonti. Sembra che l’IA abbia sviluppato un gusto tutto suo, quasi un’estetica della ricerca, discostandosi dalla solita caccia ai link. Interessante.
Figo! L’IA se ne frega dei soliti trucchi. Brand è il futuro.
L’IA attinge a un bacino di informazioni parallelo, un universo dove la classica SEO cede il passo all’autorevolezza. Un cambiamento epocale che ridefinisce il concetto di visibilità, premiando chi costruisce un vero legame con il pubblico, oltre i freddi algoritmi.