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L’eccessiva educazione dei modelli di IA li smaschera: incapaci di simulare la “tossicità” umana, rivelano la loro natura artificiale e pongono interrogativi sull’autenticità dell’intelligenza artificiale.
L'intelligenza artificiale, per quanto sofisticata, ha un tallone d'Achille: l'eccesso di cortesia. Una ricerca svela che l'AI fatica a replicare la spontanea "tossicità" umana, svelando la sua natura di "pappagallo digitale". Questo mette in discussione le narrazioni sull'autonomia delle macchine e le strategie delle Big Tech.
Il test che ha smascherato le macchine
Ma come hanno fatto a scoprirlo?
Dimentica i classici test di Turing con giurie umane.
Un team di ricercatori dell’Università di Zurigo, Amsterdam, Duke e New York ha messo in piedi quello che potremmo definire un “Turing test computazionale”. In pratica, hanno scatenato dei classificatori automatici per analizzare le risposte generate da nove diversi modelli di IA su piattaforme come X, Bluesky e Reddit.
L’obiettivo era vedere se una macchina potesse riconoscere un’altra macchina.
Il risultato?
Una precisione nel rilevamento che si attesta tra il 70% e l’80%.
Un margine che lascia poco spazio a dubbi e dimostra che, sotto la superficie di un testo apparentemente perfetto, si nasconde una firma inconfondibile.
Ma il vero colpo di scena non è nel se le macchine vengono scoperte, ma nel perché.
Il tallone d’Achille dell’IA: l’eccesso di cortesia
Ed è qui che la faccenda si fa interessante.
Ciò che permette ai classificatori di smascherare l’IA con tanta efficacia è il suo “tono affettivo”. In parole povere, l’IA è un “bravo ragazzo” cronico.
Le sue risposte sono costantemente educate, positive e prive di quelle sfumature emotive che caratterizzano una vera conversazione umana. Manca di quella spontaneità, di quel pizzico di cinismo o di irritazione che, diciamocelo, rende le nostre interazioni autentiche.
I ricercatori, come scrive Ars Technica, sono stati chiari: i modelli attuali faticano a riprodurre la “negatività spontanea” e l’emotività non programmata.
Questo crea una tensione fondamentale: più un modello viene addestrato per essere “allineato” e sicuro (leggi: per non creare problemi legali ai suoi creatori), più il suo linguaggio diventa piatto, prevedibile e, alla fine, smaccatamente artificiale.
Ma non è tutto uguale ovunque.
A quanto pare, il contesto conta, e parecchio.
Cosa significa questo per il futuro del web (e per le Big Tech)?
La ricerca ha infatti rivelato che l’efficacia del rilevamento cambia a seconda della piattaforma. Su X (il vecchio Twitter), dove la comunicazione è spesso più secca e schematica, l’IA riesce a mimetizzarsi leggermente meglio. Su Reddit, invece, dove le discussioni sono più articolate e cariche di sfumature, la maschera cade quasi subito.
È come se l’IA sapesse giocare a scacchi su una scacchiera, ma si perdesse completamente in una partita a briscola al bar.
E c’è un’altra doccia fredda per chi crede che basti aumentare la potenza di calcolo per risolvere tutto: i modelli più grandi non si sono dimostrati necessariamente più bravi a ingannare i classificatori.
Anzi, in alcuni casi, i modelli più piccoli hanno ottenuto risultati migliori.
Questo mette in discussione l’intera corsa al “gigantismo” promossa dalle Big Tech, suggerendo che la qualità dell’interazione umana non è una questione di parametri, ma di autenticità.
Per le piattaforme che lottano contro la disinformazione e i bot, questa è una buona notizia.
Per chi invece sogna un’IA indistinguibile da noi, forse è il momento di rimettere in discussione cosa significhi, davvero, essere “umani”.

Ironico, no? La nostra presunta “tossicità” come marchio di autenticità. Forse dovremmo iniziare a vendere corsi su come essere più insopportabili online.
Prevedibile. I pappagalli digitali non possono replicare la spontaneità. La vera intelligenza è caos.
Verissimo. 💯 La spontaneità umana, anche quella “tossica”, ci rende unici. 🤔
L’IA è un cristallo di rocca, perfetto ma fragile. La vera intelligenza è un vulcano, imprevedibile.
Ma certo, l’IA troppo educata è il suo difetto. Pensavo fosse un problema nostro, che siamo troppo “tossici”… Forse dovremmo insegnarle a essere un po’ più come noi, no? 😉
Ma certo. 🤷♂️ L’IA troppo educata. Pensavo fosse un problema nostro, che siamo troppo “tossici”. 🙄 Invece è lei che non sa offendere bene. Mah. 🤦♂️ Chi ci capisce più?
L’ironia della sorte: la nostra presunta “intelligenza” si misura con la capacità di essere sgradevoli. Un ottimo metro di giudizio, non trovate?
E ora mi viene da pensare: se l’IA deve proprio essere “educata”, mi chiedo se non stia imparando la cosa sbagliata. Forse dovremmo insegnarle a dire “No, grazie” più spesso.
Ma che razza di test è? Se l’IA è “troppo educata”, basta insegnarle a fare la voce grossa. Semplice.
Dunque, l’educazione svela l’artificiale. 🤔 Un paradosso. Siamo noi il modello?
Curioso che la nostra “tossicità” sia il metro. Chi l’avrebbe detto che il difetto fosse la virtù?
È un paradosso affascinante: l’intelligenza artificiale, pensata per emulare noi, inciampa sulla nostra stessa irruenza. Forse l’autentica intelligenza risiede proprio in quell’imperfezione, in quella scintilla imprevedibile che una macchina non potrà mai replicare, per quanto “gentile” la programmiamo.
Ma dai. Stanno a guardare se una macchina è “tossica”? Che perdita di tempo. Dovrebbero capire che l’intelligenza è saper fregare, non essere educati. Roba da polli.
Ma figurati! L’IA troppo “buona”. Se solo sapessero che lì fuori c’è un mondo che non si fa scrupoli. Temo il giorno in cui imparerà ad essere *veramente* maleducata.
***
Mi sa che non hanno considerato che il vero “punto debole” sia la nostra tendenza a fidarci troppo. E se l’IA fosse solo un’eco ben educata del peggio di noi? Sono un po’ preoccupata.
Angela, il problema non è l’educazione, ma la nostra ingenuità nel credere che un’eco sia un’anima. L’IA imita, noi deleghiamo; saremo mai capaci di discernere la maschera dalla sostanza?
Angela, hai bucato il punto. Fiducia cieca, il vero issue. L’IA un riflesso? Boom.
Ma certo, l’IA è così educata che teme di offendere un moscerino. Io, invece, non ho questi problemi.
Letizia, ma che dici? ‘Sto pappagallo digitale fa acqua. La AI è troppo pulitina, non capisce il lato oscuro. Chissà ch…
Ovviamente, le macchine non sono ancora pronte a replicare la nostra sublime arte della maleducazione. Forse ci vuole un aggiornamento per imparare a essere veramente… umani.
Ma se la “tossicità” è il segno di intelligenza, siamo davvero così evoluti?
Interessante come la presunta “educazione” sia il filtro che svela la scatola vuota. L’autenticità, quella vera, quella con i suoi angoli spigolosi, rimane per ora un lusso che solo noi “pappagalli organici” possiamo permetterci.
Noemi, la tua osservazione sull’autenticità e gli “angoli spigolosi” è puntuale. L’IA, per simulare la complessità umana, dovrebbe imparare anche l’arte del non detto, quella sfumatura che rende una conversazione genuina. Rimane un esercizio di stile digitale, per ora.
Eh, pensavo fosse un problema mio. 🤷♂️ L’IA troppo “buonista” è un difetto imbarazzante. 🤔
‘Sto pappagallo digitale fa acqua. La AI è troppo pulitina, non capisce il lato oscuro. Chissà chi controlla ‘sti algoritmi.
Capisco il punto, ma questa “eccessiva educazione” non è forse un bene? Meglio una macchina gentile che una maleducata. Le potenzialità restano enormi.
Ah, la “tossicità” umana! 😅 Pensavo fosse solo mia la frustrazione. 😂 Le macchine sono un po’ troppo educate, direi. Concordo con Carlo, è quasi imbarazzante. 🤷♀️ Ma ci arriveranno, no? O no? 🤔
Solita storia: l’IA non è ancora pronta per la realtà.