Essere primi su Google non ti salverà: il “divorzio” tra SEO e IA è ufficiale?

Anita Innocenti

Le regole del digitale stanno cambiando.

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Ottimizzare i tag e curare la link building non basta più: l’Intelligenza Artificiale ignora il posizionamento su Google e premia contenuti autorevoli e chiari.

Un nuovo studio di Search Atlas sancisce il "divorzio" tra SEO e Intelligenza Artificiale. Le fonti citate da ChatGPT e Gemini, infatti, non corrispondono ai primi risultati di Google, premiando invece contenuti con autorità semantica e chiarezza strutturale. Dominare la SERP non garantisce più la visibilità, rendendo necessario un cambio di paradigma focalizzato sulla qualità e l'autorevolezza del contenuto.

Diciamocelo chiaramente: hai passato mesi a ottimizzare ogni singolo tag, hai curato la link building come fosse un bonsai e finalmente sei lì, in prima posizione su Google.

Ti senti arrivato, vero?

Eppure, se provi a fare la stessa domanda a ChatGPT o Gemini, il tuo sito non esiste.

Sparito.

Non è sfortuna e non è un caso isolato. C’è una spaccatura profonda che si sta allargando sotto i nostri piedi e un recente studio ha appena messo nero su bianco quello che molti di noi sospettavano da tempo: dominare la SERP classica non garantisce più nulla nel mondo delle risposte generative.

Stiamo assistendo a un cambio di paradigma che rende vecchie le strategie di ieri mattina, ma per capire come muoverci dobbiamo prima guardare in faccia i numeri, quelli veri, che raccontano una storia molto diversa da quella che ci piace raccontarci.

Il grande malinteso tra motori di ricerca e LLM

La convinzione comune è che l’intelligenza artificiale, quando deve rispondere a una domanda, vada a pescare le informazioni dai “migliori” risultati di Google.

Sembra logico, no?

Peccato che i dati dicano l’esatto opposto. Un’analisi di Search Atlas condotta su oltre 18.000 query ha rivelato che la sovrapposizione tra i risultati di ricerca di Google e le fonti citate dagli LLM è, nella maggior parte dei casi, imbarazzante.

Solo Perplexity si avvicina a una logica di “ricerca in tempo reale”, condividendo circa il 43% dei domini con Google.

Ma attenzione, perché qui casca l’asino: se ci spostiamo su ChatGPT o Gemini, la situazione precipita. ChatGPT condivide a malapena il 20% delle fonti con Google, e Gemini — che paradossalmente è di proprietà di Google stessa — tocca il fondo con una sovrapposizione minima sui domini citati.

Significa che l’IA non sta guardando chi ha fatto meglio i compiti SEO.

Sta guardando altrove.

E se pensi che questo sia solo un problema tecnico momentaneo, ti sbagli di grosso, perché la radice del problema è strutturale.

Se Google non parla nemmeno con se stesso

Il dato più sconcertante, e che dovrebbe farti riflettere sulla direzione che stanno prendendo le Big Tech, riguarda proprio Gemini.

Ci si aspetterebbe che l’IA di Google pescasse a piene mani dal suo stesso indice di ricerca, giusto?

Invece no.

Gemini ignora quasi sistematicamente i risultati che il suo stesso algoritmo di ricerca premia. Questo accade perché i modelli come GPT-4 e Gemini non funzionano come motori di ricerca: loro ragionano, non recuperano semplicemente dati.

Questi sistemi privilegiano contenuti che dimostrano autorità semantica e chiarezza espositiva, spesso ignorando le metriche SEO tradizionali come i backlink o l’ottimizzazione tecnica spinta.

Un sito potrebbe trovarsi in decima pagina su Google ma essere la fonte primaria per una risposta di ChatGPT solo perché il suo testo è strutturato in modo logico, fattuale e facile da processare per una macchina.

È la rivincita del contenuto puro sulla tecnica, ma è anche un segnale d’allarme: stiamo ottimizzando per un giudice (Google Search) mentre un altro giudice (l’IA) sta prendendo il sopravvento nelle abitudini degli utenti.

Ma se le vecchie regole non valgono più, cosa sta cercando davvero l’algoritmo generativo?

La nuova valuta: semantica e chiarezza

Non serve disperarsi, serve cambiare approccio.

Lo studio evidenzia che i contenuti che ottengono più citazioni dagli LLM sono quelli comparativi e ricchi di dati strutturati. L’IA ama chi mette ordine nel caos. Se il tuo contenuto aiuta la macchina a “ragionare” e a collegare i punti, verrai citato, indipendentemente dal tuo posizionamento sulla SERP classica.

Dobbiamo smettere di trattare i contenuti come contenitori di parole chiave e iniziare a trattarli come database di conoscenza. La visibilità su Perplexity, che agisce come un ibrido tra motore e chat, richiede ancora una buona SEO tecnica, ma per entrare nelle risposte di ChatGPT e Gemini serve autorevolezza tematica.

Non basta dire di essere i migliori, bisogna fornire i dati che permettano all’IA di dedurlo.

Il messaggio è forte e chiaro: il monopolio di Google sulla visibilità si è rotto.

Chi continuerà a guardare solo al posizionamento organico tradizionale rischia di diventare invisibile per una fetta sempre più ampia di pubblico.

La domanda ora non è più “come arrivo primo su Google?”, ma “sono abbastanza autorevole da essere scelto quando la risposta non è un elenco di link, ma un discorso compiuto?”.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

9 commenti su “Essere primi su Google non ti salverà: il “divorzio” tra SEO e IA è ufficiale?”

  1. L’autorità semantica è la nuova frontiera. 🤖 Sono entusiasta di questo cambio. Dobbiamo produrre contenuti veri. La fiducia è tutto, no? 🤔

  2. SEO era la catena. Ora IA detta legge. Contenuto è re, il resto fuffa. Chi resta sui vecchi schemi affonda. La visibilità è acqua, l’autorevolezza roccia. Chi costruisce castelli di sabbia è avvisato.

    1. Questa storia dell’IA che “ignora” Google mi fa venire i brividi, come se avessimo costruito un faro magnifico e adesso l’IA navigasse solo con le stelle, fregandosene della luce accesa. Noi, founder DTC, abbiamo sudato sui dati come formiche, e ora ci dicono che la vera miniera d’oro è l’autorevolezza, roba che non si mette in un foglio di calcolo. Siamo naufraghi in cerca di un’isola che non è segnata sulle mappe digitali.

  3. Tag e link erano illusioni. L’IA valuta altro. Ovviamente. La pretesa di controllo sulla visibilità è patetica. Chi si fida di questi sistemi?

  4. Questo presunto “divorzio” è solo l’ennesima conferma che l’algoritmo, sia quello di Google che quello di quelle scatole pensanti, premia la pacchianata ben confezionata. Tranquilli, la paranoia di essere irrilevanti è solo un incentivo a produrre più *roba*. Se l’IA ignora il ranking, vuol dire che siamo tutti più vicini al baratro della mediocrità visibile.

    1. L’IA che ignora Google? Un castello di carte che crolla. Lavoro sui tag da anni. Questa tecnologia mi puzza. La chiarezza vince sempre?

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