L’epidemia di fake news AI su Google Discover: la risposta (insufficiente) di Google

Anita Innocenti

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Una vera e propria “fabbrica” di disinformazione sfrutta l’algoritmo di Google Discover per diffondere notizie false e guadagnare, a discapito degli editori onesti e della qualità dell’informazione.

Un'epidemia di fake news AI sta invadendo Google Discover, sfruttando algoritmi e domini scaduti per milioni di visualizzazioni e profitti. Notizie false ingannano gli utenti, minando l'informazione di qualità. Google promette soluzioni, ma le policy attuali non coprono specificamente l'IA, suggerendo una risposta inadeguata. Questo danneggia gli editori onesti, mentre Google espande Discover, esacerbando il problema.

La fabbrica delle fake news: come funziona il sistema

Diciamocelo, questi non sono sprovveduti.

Hanno messo in piedi una vera e propria catena di montaggio. Il primo passo è acquistare domini scaduti che in passato avevano una buona reputazione agli occhi di Google. Subito dopo, installano un tema grafico ottimizzato per i dispositivi mobili, perché Discover è una bestia che vive quasi esclusivamente sugli smartphone.

A questo punto entra in gioco l’intelligenza artificiale: monitorano gli argomenti di tendenza sui social e danno in pasto all’IA il compito di sfornare articoli su quegli argomenti, conditi con titoli acchiappaclick e immagini enormi e vistose.

Ma il vero colpo di genio, se così vogliamo chiamarlo, è quello che gli addetti ai lavori chiamano “la scintilla”: comprano traffico da finte “click farm” o usano gruppi Facebook per generare un’ondata iniziale di click. Questo inganna l’algoritmo di Google, facendogli credere che la notizia sia diventata virale in modo organico e spingendolo a mostrarla a milioni di altri utenti.

Jean-Marc Manach, un giornalista francese che sta tracciando questo fenomeno, ha già censito oltre 8.300 di questi siti-spazzatura solo in lingua francese.

E mentre questo sistema macina profitti sfruttando la nostra curiosità, c’è da chiedersi: dov’è Google in tutto questo?

Google promette miracoli, ma la toppa è peggio del buco?

Messa alle strette, Google ha fatto quello che ogni colosso tech fa in questi casi: ha rilasciato una dichiarazione. Un portavoce ha ammesso il problema e ha promesso che stanno “lavorando attivamente a una soluzione” per affrontare questo tipo di spam, come riporta Press Gazette.

Belle parole, non c’è che dire.

Ma grattando un po’ la superficie, la situazione è molto meno rassicurante.

Il punto è che le policy di Google, al momento, non menzionano nemmeno specificamente i contenuti generati dall’IA come una violazione. È una zona grigia enorme che questi operatori stanno sfruttando alla grande.

La promessa di un “fix” suona più come un tentativo di calmare le acque che come una vera strategia.

D’altronde, perché dovrebbero cambiare radicalmente un sistema che, nel bene e nel male, genera profitti anche per loro?

La sensazione è che si limiteranno a chiudere qualche sito, mentre altri dieci ne nasceranno il giorno dopo.

Ma mentre Google cerca (o, per meglio dire, dice di cercare) una soluzione, c’è chi sta pagando il prezzo più alto di questa invasione: gli editori onesti, quelli che ogni giorno faticano per produrre informazione di qualità.

Un danno enorme per l’informazione (e per te)

Forse non ci pensi, ma Google Discover è diventato vitale per il giornalismo. Per molti grandi editori, rappresenta ormai la principale fonte di traffico, superando di gran lunga la classica ricerca su Google. Questo significa che le fake news non stanno solo inquinando il tuo feed, ma stanno rubando attivamente lettori e, di conseguenza, ricavi pubblicitari a chi fa informazione per mestiere, come già ti spiegavo qui.

È una concorrenza sleale che, alla lunga, indebolisce la stampa e la nostra capacità di accedere a notizie verificate.

E come se non bastasse, proprio nel mezzo di questa crisi, Google ha annunciato di voler ampliare ulteriormente i contenuti su Discover, includendo post da X, Instagram e video da YouTube. In pratica, invece di chiudere i rubinetti per arginare la perdita, stanno aprendo altre condutture.

Viene spontaneo chiedersi se si rendano conto della portata del problema o se, semplicemente, l’espansione della piattaforma sia più importante della sua integrità.

La promessa di una “soluzione” basterà a fermare un’industria costruita apposta per sfruttare le debolezze del sistema, o è solo un modo per prendere tempo mentre il problema diventa ancora più grande?

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

2 commenti su “L’epidemia di fake news AI su Google Discover: la risposta (insufficiente) di Google”

    1. La proliferazione di disinformazione AI su Discover è prevedibile. Algoritmi e vecchi domini sono una scorciatoia. Google promette risposte, ma il problema è sottovalutato. Preoccupante.

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