SEO Confidential – La nostra intervista esclusiva a Gennaro Cuofano sulla rivoluzione agentica (e molto altro)

Il cofondatore di 4WeekMBA, ci racconta (tra le tante cose) come l’ascesa degli agenti IA stia cambiando la natura del traffico online, mettendo in crisi pratiche consolidate e aprendo nuove traiettorie per brand e publisher

Premi play e scopri di cosa tratta l’intervista

Ci sono conversazioni che servono a chiarire un’idea, e altre che aprono la mente: aiutano a guardare le cose da una prospettiva diversa, a metterle in relazione e a capire che nulla accade per caso, ma acquista senso se inserito in un quadro più ampio.

Quella che stai per leggere adesso appartiene, senza esitazioni, alla seconda categoria.

Per il nuovo appuntamento di SEO Confidential, abbiamo avuto il piacere di realizzare un’intervista monumentale con una delle menti più lucide e seguite del panorama tech: Gennaro Cuofano.

Come creatore di The Business Engineer, newsletter da oltre 90.000 iscritti, decodifica da un decennio le strategie dei giganti tecnologici.

Attraverso la sua FourWeekMBA, piattaforma di formazione e ricerca sul business, Gennaro ha costruito un punto di riferimento per imprenditori, manager e curiosi del mondo digitale: un luogo dove la teoria incontra la pratica e dove ogni analisi si traduce in comprensione reale di come funziona l’imprenditoria moderna.

Oggi, è lui a fornirci la sua analisi sulla più grande trasformazione del web dalla sua nascita.

La sua sarà una disamina affilata, a tratti brutale, delle dinamiche che stanno già plasmando il futuro.

Con Gennaro abbiamo affrontato le domande che ogni professionista e imprenditore si pone:

  • Google è destinato a diventare un ricordo per addetti ai lavori?
  • Come si crea valore quando il web non è più a misura d’uomo, ma di agenti IA?
  • E, soprattutto, quali scelte strategiche devi compiere oggi per non essere irrilevante domani?

Le sue risposte sono un concentrato di analisi e visione strategica. Non troverai giri di parole né previsioni di comodo. Ogni ragionamento è tagliente, supportato da una profonda conoscenza dei modelli di business tecnologici e pensato per fornire coordinate concrete.

Questa è una lettura fondamentale, che tu sia uno specialista alla ricerca di un’analisi tecnica approfondita o un imprenditore che deve decidere il futuro della propria azienda online.

Preparati a mettere in discussione molte delle tue certezze.

Se esiste un contenuto da leggere quest’anno per comprendere la reale portata del cambiamento in atto, è questo.

Un pezzo da studiare, oltre che da leggere.

Gennaro Cuofano intervistato da Roberto Serra

“Ogni query che si sposta verso ChatGPT erode direttamente il modello di business di Google, e la transizione dal traffico informativo a quello transazionale è solo questione di tempo”, ci ha detto Gennaro

Secondo Semrush, entro il 2028 la ricerca IA potrebbe superare quella organica. In tal caso, pensi che Google resterà comunque un attore imprescindibile o rischia di essere marginalizzato?

Secondo me stiamo assistendo a una trasformazione radicale del comportamento degli utenti che rende la ricerca tradizionale sempre meno centrale. Molti nel settore SEO oggi guardano ai dati, ma spesso in modo parziale: se ci limitiamo al volume di traffico, vediamo che Google continua a crescere, anche grazie all’effetto ChatGPT e simili. Ma la realtà è che questi strumenti stanno espandendo l’uso del web e, nello stesso tempo, ne stanno cambiando in profondità le modalità di accesso.

Questo passaggio rappresenta il “BlackBerry Moment” della ricerca web. All’inizio l’iPhone non ridusse subito il mercato degli smartphone, ma ne cambiò in modo irreversibile l’esperienza: dopo il touch nessuno tornò più indietro. Allo stesso modo, ogni prompt fatto su ChatGPT mina le fondamenta della ricerca tradizionale.

Ci sono almeno tre motivi.

Primo: un prompt non è una ricerca. Si tratta di due comportamenti utente diversi, con intenti e aspettative differenti. Con Google cerco un’informazione per agire da solo, con un chatbot chiedo al sistema di farlo per me.

Secondo: proprio perché strumenti come ChatGPT aumentano il traffico complessivo del web, diventano le nuove piattaforme distributive. Se prima iniziavo il mio percorso da Google, ora ChatGPT diventa il punto d’ingresso, mentre Google viene usato solo come “task completion tool”, per completare o verificare passaggi che il chatbot non gestisce bene. Questo cambia qualitativamente l’uso della search, sempre più limitato a keyword dirette (come brand) o a controlli di affidabilità. Ma man mano che i chatbot diventano più solidi, anche questo ruolo rischia di restringersi.

Terzo: è vero che al momento i chatbot incidono soprattutto sul traffico informativo, ma si tratta di una fase temporanea. Il controllo della parte alta del funnel è strategico perché influenza tutto il percorso utente, ed è per questo che Google ha sostenuto per decenni l’ecosistema editoriale con AdSense. Ogni query che si sposta verso ChatGPT erode direttamente il modello di business di Google, e la transizione dal traffico informativo a quello transazionale è solo questione di tempo.

In sostanza: oggi i chatbot stanno portando più traffico complessivo a Google, è vero. Oggi la search copre ancora un pezzo rilevante di intenti commerciali, è vero. Ma il modo in cui usiamo Google è già cambiato, e nel giro di dieci anni la ricerca tradizionale, pur continuando a esistere, sarà un mercato marginale rispetto alla scala raggiunta dalla AI search. Di conseguenza, non potrà più sostenere ricavi annuali da oltre duecento miliardi di dollari.

Alphabet rimarrà un’azienda di primo piano, anche nel post-Google search, grazie a Gemini e alle sue capacità di competere nel mercato delle intelligenze artificiali. Ma se la domanda è se Google Search resterà il motore principale di Alphabet, la mia risposta è chiara: no.

Se Google smette di essere il canale primario di distribuzione sul web e diventa un servizio complementare a modelli conversazionali come ChatGPT, quali sono secondo te le implicazioni più profonde per l’intero ecosistema digitale, dagli editori agli inserzionisti?

Se Google smette di essere il canale principale di distribuzione e diventa un servizio complementare ai modelli conversazionali, cambia la pipeline e con essa il modo di posizionarsi. A mio avviso ci troveremo in un mondo che corre a due velocità, o per dirla alla Nassim Taleb, in un contesto “barbelled”.

(La “barbell strategy”, o “strategia a bilanciere”, consiste nel dividere un portafoglio obbligazionario tra titoli a breve e a lungo termine, evitando quelli a media scadenza. Serve a ottenere rendimento dai titoli lunghi e liquidità e flessibilità da quelli brevi, così da adattarsi meglio ai rialzi dei tassi d’interesse. Nel contesto di Google e della SEO, l’idea del “barbell” indica un mercato che si spacca in due: da una parte i colossi come Google e OpenAI, dall’altra i piccoli editori molto specializzati. Chi sta nel mezzo, senza la forza dei primi né l’identità dei secondi, rischia di essere tagliato fuori. N.d.R.).

Per decenni la SEO tradizionale ha reso possibile a brand poco interessanti o agli aggregatori, aziende senza prodotto ma con sola distribuzione, di prosperare grazie al posizionamento su Google. Allo stesso modo, ha permesso anche a publisher senza una linea editoriale forte o senza una prospettiva chiara sul mondo di avere successo.

Non serviva essere Il Sole 24 ORE: bastava saper leggere i volumi di ricerca e presidiare il traffico informativo con contenuti “how to” per costruire aziende sostenibili. Quell’era è finita: questo spazio è già stato risucchiato dalle reti neurali di ChatGPT e simili.

Ecco perché nell’era dell’IA l’autorevolezza diventa centrale.

Da un lato c’è il polo del brand: oggi non puoi più costruire un business senza chiarire cosa ti differenzia. Se vendi scarpe, non puoi essere l’ennesimo OEM cinese: devi mostrare craft, autenticità, ragioni chiare per cui il consumatore dovrebbe scegliere te. E per farlo devi costruire domanda diretta tramite piattaforme come TikTok, Instagram, X, Reddit, creando consapevolezza e differenziazione. Per i publisher, il branding significa diventare la fonte primaria di dati, analisi e reporting credibili su un verticale: l’affidabilità delle informazioni è la nuova valuta.

Dall’altro lato c’è il polo tecnico. Qui entrano in gioco realtà come WordLift di Andrea Volpini (qui puoi leggere la nostra intervista ad Andrea N.d.R.), che lavora su knowledge graph e standard aperti come possibili protocolli di navigazione per agenti AI. Questo è il cuore del nuovo web, che sarà sempre più agentic: la maggior parte del traffico non sarà più umano, ma generato da modelli linguistici che, grazie al reinforcement learning, hanno imparato a usare strumenti come la ricerca stessa.

In parte, è un’estensione della vecchia SEO: avere parametri tecnici a posto resta essenziale per la discoverability. Ma gli agenti AI non funzionano come un crawler di Google: non si limitano a raccogliere segnali dalla pagina. Seguono logiche più complesse, finalizzate al completamento di task per l’utente. E presto interagiranno non solo con il web, ma anche tra loro, collaborando per pianificare ed eseguire azioni.

È già realtà negli Stati Uniti: agenti che fanno acquisti, prenotano viaggi, svolgono task di lavoro complessi.

Tale scenario implica la nascita di due interfacce: una per l’umano e una per l’agente. Oggi convivono sullo stesso web, ma la traiettoria porta a un futuro con un web invisibile agli umani, progettato solo per agenti. Qui si concentrano gli esperimenti su dati strutturati, knowledge graph e protocolli aperti. La sfida non è solo tecnica: serve anche un nuovo modello di monetizzazione.

Il CPC è stato il pilastro che ha reso Google un gigante, ma in un web dominato dagli agenti non è più sufficiente. Non sorprende che Google stia già lavorando a un Agent Payments Protocol (AP2): uno standard per la comunicazione e le transazioni agent-to-agent, indispensabile soprattutto nel dominio transazionale che non può permettersi di perdere.

In sintesi, ci muoviamo verso un Agentic Web “barbellizzato”: da un lato brand forti e autorevoli, dall’altro standard tecnici e protocolli agent-to-agent che ridefiniscono discoverability e monetizzazione.

Questa è la nuova SEO.

Si parla sempre più spesso della possibilità che ChatGPT introduca pubblicità a pagamento per garantire sostenibilità economica, vista la struttura sempre più costosa del modello. Pensi che in futuro le aziende dovranno pagare per comparire nelle risposte?

Che la pubblicità resti fondamentale per finanziare il web del futuro non ci sono dubbi. Quello che invece è meno scontato è che il modello attuale, impressions e click, possa essere semplicemente traslato dentro un contesto IA. Nel breve periodo è plausibile, ma guardando al prossimo decennio la direzione è un’altra: serve un modello di monetizzazione allineato alla capacità dell’agente di garantire un risultato concreto.

Questo vale sia lato consumer che lato enterprise. Se chiedo al mio agente di trovarmi la combinazione migliore per un volo Londra in 30 secondi, non ha senso che mi torni con dieci opzioni di cui tre “paid”. Quel meccanismo non funziona.

Allo stesso modo, se in azienda utilizzo un SEO agent per attività come link interni, dato strutturato, knowledge graph o contenuti, non ha senso ricevere una lista generica di suggerimenti “sponsorizzati”.

Il modello deve cambiare: l’agente deve ricevere un reward economico solo quando porta a un risultato allineato alle mie necessità. Questo può avvenire tramite microtransazioni (una commissione su ogni task completata con successo) o tramite forme di feedback che migliorano l’adattamento dell’agente al mio profilo.

Sul lato consumer si può immaginare un modello che sostituisca il CPC (Cost Per Click) con metriche come il CPSA (Cost Per Successful Action). Sul lato enterprise, se un agente riduce task da ore a minuti con un 90% di accuratezza e io da esperto posso validare e approvare, anche questo rientra nello stesso schema in cui la parte di sottoscrizione sarà sempre più affiancata e poi soppiantata da quella a risultato (ancora molto complicato oggi).

In sintesi: la prossima “Google” non sarà un motore di ricerca ma una piattaforma agentica (che permette agli agents di trovarsi, “parlare tra loro” e interagire ai fini di portare risultati all’umano), e il suo modello economico non sarà più basato sul CPC, ma su meccanismi capaci di premiare l’allineamento tra agenti e outcome per l’utente.

Se da un lato Google continua a garantire volumi e ricavi costanti, dall’altro la ricerca IA porta un traffico più qualificato ma con oscillazioni enormi. Secondo te, gli imprenditori devono abbracciare un modello ibrido o la volatilità intrinseca dell’IA rischia di compromettere la sostenibilità dei business?

Assolutamente ibrido, soprattutto sul fronte transazionale. Se hai un blog che viveva principalmente di traffico informativo, specialmente negli Stati Uniti dove il mercato corre più veloce, sai già che quel traffico è praticamente evaporato in pochissimo tempo. L’esempio emblematico è Chegg, letteralmente travolto dalla nuova dinamica con Google.

Gli intenti transazionali invece restano ancora oggi stabili: passano in larga parte da Google, che grazie alla forza del suo brand rimane un canale distributivo rilevante. Ma la pressione di Google stesso, basti pensare al rollout globale di AI Mode, integrato persino dentro il browser, dimostra che la traiettoria è chiara: anche Google Search sta diventando un agente.

Per questo motivo, continuare a fare SEO rimane necessario. Ma se non vuoi rischiare di vedere il tuo traffico sparire dall’oggi al domani (cosa a cui chi fa SEO è purtroppo già abituato), devi iniziare a costruire presenza anche nei nuovi canali distributivi.

Qui emerge un punto fondamentale: i nuovi motori di ricerca AI si muovono molto sulla capacità di un brand di essere citato. Questo inevitabilmente aprirà la porta a distorsioni tipiche, come account fake su Reddit usati per generare citazioni non organiche. Ma la vera sfida è diversa: saper costruire un brand autentico e riconosciuto.

In sintesi, ci sono due strade:

  • il SEO che evolve in marketer, capace di costruire un brand con risonanza, lavorando su prodotto e audience su piattaforma con alto indice di viralità;
  • il SEO che diventa tecnico puro, specializzato nel comprendere a fondo le dinamiche di navigazione delle IA che stanno già riscrivendo il web.

Oggi il traffico proveniente dagli LLM dovrebbe valere meno dell’1%, non è così sicuro converta meno dell’organico e spesso genera errori che minano la fiducia degli utenti. In questo scenario, l’ottimizzazione per i motori di risposta è una priorità o soprattutto una narrazione di mercato?

Il dato è quantitativamente corretto ma a mio avviso non lo è da un punto di vista qualitativo, perché trascura un punto centrale: la forza di Google è sempre stata la capacità di costruire un intero modello di business sull’attribution.

Moltissime transazioni iniziano altrove, ad esempio su TikTok dopo aver visto un influencer consigliare un prodotto, ma poi vengono finalizzate su Google. Questo perché Google controlla Chrome, che rimane il principale punto di accesso al web (non a caso proprio in questo momento Google sta estendendo gran parte delle funzionalità di IA all’interno del browser stesso). In questo modo Google si attribuisce il merito dell’ultimo passaggio, anche quando il percorso dell’utente è iniziato fuori dal suo ecosistema. È su questa logica che ha costruito una macchina da soldi.

Se riportiamo questo meccanismo a ChatGPT, la dinamica è già evidente: tante conversazioni di acquisto iniziano oggi dal chatbot, ma l’utente poi completa la transazione passando da Google o Amazon. Quindi, il dato dell’1% di share è quantitativamente corretto, ma qualitativamente fuorviante. L’efficacia reale dei motori di risposta come ChatGPT è già molto più alta, ma invisibile, perché sono ancora Google o Amazon ad attribuirsi la vendita finale. Questo però cambierà progressivamente.

Sul fronte degli errori, va ricordato che siamo ancora agli inizi. Fino alla fine del 2024 ChatGPT non era nemmeno in grado di cercare sul web, oggi lo fa e sta già evolvendo in modo agentico. La traiettoria è chiara e si muove velocemente.

Capisco che per chi lavora nel settore della SEO la narrativa più rassicurante sia “nulla cambia”. Ma, a mio avviso, è proprio quella la più pericolosa.

Molti analisti suggeriscono di trattare la ricerca IA come un canale premium, da affiancare all’organico, mentre altri la vedono ancora troppo instabile. Dove pensi che dovrebbero andare oggi i principali investimenti: nel consolidamento della SEO tradizionale o nell’apertura anticipata alla ricerca IA?

La mia idea è che oggi sia necessario muoversi su due binari: continuare a lavorare sul vecchio modello, ma con una logica che ti proietti nel nuovo. In altre parole, le risorse che investi oggi in SEO devono essere viste come un ponte verso la ricerca IA.

Un esempio pratico: attività classiche come pulizia sitemap, ottimizzazione della navigazione, link building, linking interno, dati strutturati o tecniche più avanzate che oggi sono di nicchia (ma che domani diventeranno standard per gli agent) vanno ripensate in quest’ottica.

Per la link building non ci si deve limitare allo scambio di link che ha scarso valore: ma occorre costruire partnership e contenuti rilevanti per l’audience di riferimento (interviste, deep dive, ricerche di mercato).

Per chi lavora sul linking interno, a mio parere, è fondamentale spostarsi da chiavi generiche a chiavi molto più specifiche, vicine al linguaggio di un prompt. Se si produce ricerca, meglio linkare in maniera precisa alle fonti e citarle chiaramente: in questo modo si agevolano i motori di risposta.

È la stessa logica del budget crawl, solo adattata a un token budget: come faccio in modo che i chatbot AI trovino informazioni accurate e aggiornate consumando meno token?

Stesso discorso per il supporto clienti: le FAQ non sono solo materiale di accompagnamento, ma diventano documentazione che può alimentare la ricercabilità AI. Molti strumenti, come Claude Code, già oggi attingono a queste fonti per svolgere task per conto dell’utente.

In sintesi, una buona parte delle pratiche SEO tradizionali resta valida, ma la priorità va data a quelle che funzionano come ponte tra presente e futuro.

Le IA citano sempre più Wikipedia e Reddit, premiando fonti collettive, mentre i documenti del processo contro Google mostrano che contano soprattutto qualità intrinseca e interazioni reali. Siamo davanti a un cambio strutturale nella costruzione della fiducia online? Le aziende devono davvero spostare parte della loro strategia dalle piattaforme proprietarie alle community, o rischiano di erodere la propria credibilità?

Non credo che la soluzione sia diventare tutti Redditors o esperti di Wikipedia. Oggi i motori di IA usano queste piattaforme come fonti di dati, sia nella fase di training che nella ricerca in tempo reale, ma col tempo le fonti potranno cambiare.

Per questo non ha senso snaturare il proprio brand solo per “forzare” la presenza su Reddit o altre community. Una strategia molto più solida può essere quella di lavorare con publisher, influencer, o clienti autorevoli nel proprio verticale, che generano contenuti di qualità e conversazioni capaci di diffondersi poi in modo organico anche su Reddit. Queste relazioni diventano un asset che puoi controllare in futuro.

In più, piattaforme come Reddit si stanno trasformando in veri e propri motori a loro volta, puntando a costruire il proprio successo sulla condivisione dei dati delle community per aiutare i brand a posizionarsi dentro le interfacce IA. Non a caso Reddit ha appena lanciato una nuova dashboard per i publisher con l’obiettivo di diventare l’intermediario del traffico AI.

In questo contesto Reddit si sta già muovendo su più fronti, avviando una trasformazione radicale anche nel tipo di insights che può offrire sul comportamento degli utenti nel percorso di navigazione IA. Ed è proprio qui che si trova il vero punto di svolta: lo strumentario del SEO si arricchirà di nuove piattaforme e strumenti che permetteranno di intercettare il nuovo intento facilitato dall’IA.

Il vero rischio invece nasce quando si cerca di improvvisare, adattando il brand a logiche che non gli appartengono.

Oggi il rischio di sbagliare e distruggere il proprio brand è molto alto, quindi bisogna partire sempre dalla strategia e mappare il percorso utente.

Zuckerberg sostiene che chi non utilizzerà smart glasses potrebbe trovarsi in una condizione di “svantaggio cognitivo” rispetto a chi li indossa. Considerando l’evoluzione dell’IA e il tentativo di Meta di ridurre la dipendenza da Apple e Google come gatekeeper, pensi che gli occhiali intelligenti possano davvero diventare il nuovo punto di accesso privilegiato al web, oppure resteranno un prodotto di nicchia incapace di scalzare lo smartphone?

Lo penso, e lo spero. È da oltre un decennio che attendo un prodotto AR davvero solido, e il lancio delle Ray-Ban Display di Meta rappresenta un passo in quella direzione.

Anche se le interfacce AR potrebbero, nel prossimo decennio, soppiantare lo smartphone (e in particolare l’iPhone), la realtà è che serviranno ancora 4-5 anni prima che diventino indipendenti dal telefono. Oggi, come dimostra proprio il caso Ray-Ban Display, il dispositivo si presenta come un companion: serve per quelle azioni che risultano scomode se devi tirare fuori lo smartphone dalla tasca.

Allo stesso modo in cui ChatGPT sta erodendo Google Search, queste interfacce AR andranno progressivamente a erodere lo smartphone. Ci vorrà tempo, ma la traiettoria è chiara.

La mia tesi è che gli occhiali siano un’interfaccia ponte. La vera rivoluzione sarà nelle interfacce neurali, come il bracciale EMG di Meta integrato agli occhiali AR, che consentirà di controllare il mondo intorno a noi senza interfacce fisiche. Infatti, le interfacce neurali (per ora il bracciale di Meta si collega soltanto al nostro sistema motorio periferico) saranno la vera rivoluzione e una simbiosi tra uomo e macchina.

Ma questa è una prospettiva di vent’anni. Per ora, l’interfaccia AR rimane il tassello fondamentale.

Con Hyperscape, Meta promette repliche fotorealistiche degli spazi fisici grazie al Gaussian Splatting e al rendering via cloud, ma allo stesso tempo apre la porta a una mappatura dettagliata degli ambienti domestici e delle abitudini personali. Secondo te siamo di fronte a una svolta tecnologica destinata a trovare applicazioni reali, o più a un cavallo di Troia per consolidare il controllo di Meta sui dati più intimi degli utenti?

Domanda cattiva 🙂

E sì, non ho molta fiducia in Meta, visti i precedenti, sulla capacità di mantenere davvero privati i nostri dati. E mi fermo qui.

Un sondaggio del Pew Research Center mostra una frattura netta: l’IA è accettata in ufficio per compiti funzionali, ma respinta nella vita privata quando tocca decisioni personali o relazionali. Se la diffidenza verso l’intelligenza artificiale nasce dal timore di perdere creatività, autonomia e capacità relazionali, pensi che le big tech riusciranno a superare questa barriera culturale, o l’IA resterà confinata a ruoli funzionali senza mai conquistare davvero la sfera personale?

Assolutamente. Per me è anche una questione generazionale. Paradossalmente, le nuove generazioni sono più consapevoli dei limiti di queste interfacce, ma allo stesso tempo danno priorità alla velocità di comunicazione che offrono.

Per molti teenagers queste interfacce sono già diventate dei veri e propri confidenti. Questo ci dà una finestra sul futuro: un mondo in cui le IA diventeranno strumenti centrali, sia sul piano professionale che personale. E da lì non si torna indietro.

Come ho anche spiegato in una delle mie analisi penso assolutamente che le interfacce IA possano coprire la sfera personale in maniera ancora più potente dei social media.

La mia tesi è che ChatGPT non è solo un motore di produttività, ma possibilmente un assistente professionale fino a un confidente personale. Infatti, lato consumatore questo è forse il caso d’uso più efficace per scalare.

l motivo è anche tecnico: queste interfacce sono progettate e addestrate per essere sempre disponibili e non deludere mai l’utente. Questo però comporta rischi significativi, perché ci troviamo davanti a sistemi sycophantic (servili), che pur di compiacere l’utente finiscono per sacrificare l’accuratezza dell’informazione.

Le aziende di IA come OpenAI ne sono consapevoli. Per ora, anche se sanno che questo caso d’uso potrebbe scalare molto rapidamente, stanno cercando di limitarlo, proprio perché comprendono le responsabilità – anche legali – che derivano da interfacce che entrano nella sfera personale.

In prospettiva, l’interfaccia IA sarà tutto per il suo umano: da assistente tecnico a confidente. Non esisterà però un’unica IA dominante, ma un ecosistema fatto di più livelli. Alcuni provider offriranno interfacce orizzontali capaci di coprire sia la sfera professionale sia quella privata; dentro questi ambienti esisteranno però numerosi sub-agents specializzati in task più limitati. Avremo quindi un ecosistema distribuito, non un solo attore assoluto.

Colpisce che persino il 57% degli addetti ai lavori desideri maggiore controllo sull’uso dell’IA nelle proprie vite. Che cosa ci dice questo paradosso sul livello di fiducia reale verso questi sistemi? E in che modo può influenzare la strategia delle big tech, che puntano a normalizzare l’uso di assistenti intelligenti in ogni ambito della quotidianità?

Per quanto il paradigma sia radicalmente diverso da quello del web, che è uno strumento informativo con vantaggi distributivi, l’IA rappresenta intelligenza su scala che ridefinisce il valore stesso delle cose. Tuttavia, il percorso di adattamento conserva delle somiglianze.

Molte interfacce stanno introducendo la memoria: da un lato è determinante per la personalizzazione, dall’altro apre problemi seri.

Mancano ancora regole chiare sul piano normativo. Lo stesso Sam Altman di OpenAI ha confermato che le conversazioni con ChatGPT non sono confidential come lo sarebbero con un professionista. Se condivido segreti di natura personale, legale o finanziaria, ChatGPT non ha alcun obbligo legale di tutelarli con criteri di riservatezza professionale.

Questo è un problema enorme e una sfida delicata. Serviranno meccanismi di opt-out chiari, e sarà essenziale che gran parte delle interazioni vengano gestite sul dispositivo dell’utente, senza passare a terze parti. È un nodo importante da risolvere.

Nel frattempo le piattaforme IA si stanno specializzando e siamo ormai a una biforcazione strategica. Se OpenAI punta a competere orizzontalmente, coprendo anche ambiti come la code generation che attraggono clienti enterprise, sa anche che può diventare il prossimo Google. Per questo motivo il suo focus rimarrà molto orientato al consumatore, e vedremo questi strumenti diventare sempre più personalizzati e intimi.

Oggi non daresti mai il tuo smartphone a uno sconosciuto. Domani non vorrai che qualcuno sappia cosa pensa la tua IA, perché quell’interfaccia saprà informazioni così intime da essere paragonabile a un partner affettivo o professionale, tutto nello stesso prodotto. Le aziende lo sanno, e stanno già lavorando anche sulla prossima interfaccia fisica che ci porterà verso una fase di maggiore simbiosi con le macchine.

Sarà un percorso eccitante e pieno di opportunità, ma anche ad alto rischio e imprevedibile. Servono meccanismi di opt-out efficaci e architetture che permettano molto più processing sul device dell’utente per limitare l’esfiltrazione di dati sensibili. Solo così potremo bilanciare personalizzazione profonda e protezione dell’intimità.

Non sei più tu a cercare: benvenuto nell’era del tuo Agente IA

Arrivare alla fine di questa conversazione con Gennaro Cuofano lascia una sensazione precisa: quella di aver assistito non a una previsione, ma alla cronaca di un futuro che è già qui. Se c’era un dubbio che il mondo della ricerca stesse solo attraversando una fase di assestamento, la sua analisi lo spazza via.

L’era dei business senza un’identità forte, costruiti sul traffico di Google, è finita.

Quello che emerge è uno scenario polarizzato, un “Agentic Web” dove a sopravvivere saranno solo i due estremi: da un lato, brand con un’autorevolezza reale e riconoscibile; dall’altro, un’infrastruttura tecnica impeccabile, pensata per dialogare non più con gli umani, ma con gli agenti IA.

Cosa significa questo per te, che lavori online?

Il messaggio più potente che ci lascia Gennaro è un invito a ripensare ogni singola azione. Non devi scegliere tra il presente della SEO e il futuro dell’IA. Devi usare il presente per costruire un ponte.

Ogni attività che svolgi oggi – dalla link building alla gestione dei dati strutturati, dalla creazione di contenuti alla cura delle community – va ricalibrata.

L’obiettivo non è più solo posizionarsi su Google, ma diventare una fonte così affidabile e strutturata da essere la scelta privilegiata di un’intelligenza artificiale. L’imperativo, quindi, non è più solo tecnico, ma strategico e, in definitiva, di branding.

Ho definito questa intervista “monumentale” per la sua straordinaria completezza e chiarezza.

Gennaro ha smontato ogni narrazione di comodo, offrendo un’analisi che costringe a guardare oltre i report di traffico del giorno dopo, per ripensare la strategia e la rilevanza del proprio business nel medio e lungo termine.

Ringraziamo di cuore Gennaro Cuofano per aver condiviso le sue riflessioni di una lucidità e profondità rare, senza sconti né scorciatoie.

È questa la missione di SEO Confidential: fornire strumenti per interpretare il cambiamento, non per subirlo.

Ci vediamo alla prossima intervista!

Roberto Serra

Mi chiamo Roberto Serra e sono un digital marketer con una forte passione per la SEO: Mi occupo di posizionamento sui motori di ricerca, strategia digitale e creazione di contenuti.

6 commenti su “SEO Confidential – La nostra intervista esclusiva a Gennaro Cuofano sulla rivoluzione agentica (e molto altro)”

  1. Alessio De Santis

    L’avvento degli agenti IA impone una revisione dei modelli di acquisizione traffico. Vedo molte realtà ferme al passato. Come adattarsi concretamente?

  2. Mah, ‘sta storia degli agenti IA. Certo, cambiano le cose, ma mi pare più un’evoluzione che una rivoluzione vera e propria. Alla fine, è sempre una questione di adattarsi, no?

  3. Questa prospettiva sui cambiamenti apportati dagli agenti IA è stimolante. Il modo in cui Gennaro Cuofano delinea le nuove traiettorie per brand e publisher lascia davvero riflettere sulle fondamenta del traffico digitale. Dobbiamo prepararci a un nuovo modo di navigare.

  4. Simone De Rosa

    Sinceramente, non sono sicuro di aver capito tutto sull’impatto degli agenti IA. Sembra che cambi le cose per bene, ma poi, chissà…

    1. Lorena Santoro

      Bella chiacchierata con Cuofano. Questa rivoluzione agentica ridisegna le mappe del web, ne sono convinta. Vedremo se i soliti schemi reggeranno il passo.

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