Google spinge la sua AI Mode oltre l’inglese

Anita Innocenti

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L’espansione dell’AI di Google oltre l’inglese solleva interrogativi sulle reali intenzioni, tra promesse di comprensione locale e timori di centralizzazione delle risposte.

Google ha esteso la sua AI Mode a cinque nuove lingue, superando la barriera anglofona e puntando a un miliardo di utenti con risposte complesse e discorsive. Questa espansione, presentata come progresso, nasconde una strategia di dominio: centralizzare le risposte, penalizzando gli editori e rafforzando la posizione di Google come unica fonte di informazione.

Un’espansione che parla tutte le lingue (o quasi)

Diciamocelo, questa non è una semplice traduzione.

L’idea di Google è quella di fornire risposte complesse e discorsive al posto della classica lista di link, e per farlo si affida a una versione personalizzata del suo modello Gemini 2.5 Pro. L’obiettivo, come descrive Google stessa, è permettere agli utenti di porre domande articolate e ricevere un’unica risposta organica, capace di pianificare un viaggio o consigliare un ristorante tenendo conto di più variabili.

Questo significa che l’IA non si limita a capire le parole, ma deve interpretare il contesto culturale e le sfumature locali.

Un passo avanti notevole, se pensi che fino a ieri questa funzionalità era un’esclusiva del mondo anglofono. L’espansione attuale coinvolge un bacino di oltre un miliardo di persone, un segnale inequivocabile della direzione che Google intende prendere.

Eppure, non è tutto così lineare come sembra.

La narrazione ufficiale della compagnia, infatti, si scontra con alcuni dati di fatto che è impossibile ignorare.

La narrazione ufficiale di Google contro la realtà dei fatti

Hema Budaraju, Vice President of Product Management di Google Search, ha dichiarato che “costruire una ricerca davvero globale va ben oltre la traduzione”, sottolineando la necessità di una “comprensione sfumata delle informazioni locali”.

Parole che suonano rassicuranti, certo.

Peccato che la realtà racconti una storia un po’ diversa.

Mentre Google celebra i suoi progressi, editori e creatori di contenuti vedono il traffico verso i loro siti web calare. Il motivo è semplice: se l’utente ottiene la risposta completa direttamente nella pagina di ricerca, che motivo ha di cliccare su un link esterno?

La contraddizione diventa ancora più evidente quando si scopre che, mentre pubblicamente Google sostiene che il traffico verso i siti web è “relativamente stabile”, in alcuni documenti legali la stessa azienda ha ammesso che “il web aperto è già in rapido declino”. Una discrepanza che fa sorgere più di un dubbio sulle reali intenzioni dietro questa spinta verso un’IA che centralizza le risposte.

Viene da chiedersi, quindi, quale sia il vero obiettivo di questa espansione così aggressiva.

Qual è la vera posta in gioco?

La risposta, probabilmente, non sta tanto nel voler offrire un servizio migliore, quanto nel consolidare una posizione di dominio assoluto. Espandendosi in mercati enormi come l’India e il Brasile, Google non sta solo esportando una tecnologia, ma sta abituando centinaia di milioni di nuovi utenti a un modo di cercare informazioni che la rende l’unica fonte necessaria.

Si tratta di una mossa strategica per anticipare la concorrenza e rendere il proprio sistema indispensabile.

L’integrazione di queste funzioni anche in contesti educativi, come visto di recente con i Google Doodle interattivi, non fa che rafforzare questa impressione.

Si sta creando una generazione di utenti che vedrà nell’AI Mode non uno strumento di ricerca, ma la ricerca stessa.

L’obiettivo sembra chiaro: non solo rispondere alle tue domande, ma diventare l’unica risposta di cui pensi di aver bisogno.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

11 commenti su “Google spinge la sua AI Mode oltre l’inglese”

  1. Google fa il passo più lungo della gamba, puntando a diventare il nuovo oracolo globale. Vedremo se il mondo si piegherà al suo volere.

  2. Nicolò Sorrentino

    Capisco la prospettiva: espandere l’AI in più lingue può sembrare un passo avanti, ma solleva dubbi sul futuro dell’editoria. Se Google diventa l’unica voce, cosa ne sarà della diversità di pensiero e informazione?

    1. Comprensione locale”? Ma per favore! Google sta solo cercando di inondare il mercato con le sue risposte preconfezionate, mettendo all’angolo chi crea davvero contenuti. Ci stanno vendendo una versione “migliorata” della censura. Finiremo per leggere tutti la stessa cosa, tradotta e filtrata.

      1. Nicolò Sorrentino

        Serena, capisco il tuo punto di vista. L’idea che l’IA possa filtrare le informazioni è preoccupante, soprattutto per chi produce contenuti. Mi domando se questa centralizzazione non limiterà davvero la diversità delle prospettive.

        1. Nicolò, la tua preoccupazione è giusta. Questa mossa di Google sembra più una dittatura del sapere che un aiuto. Se le risposte arrivano tutte da un’unica fonte, che ne sarà della libertà di informazione?

    2. Ecco, un altro passo verso la monoliticità informativa. Benissimo, Google promette risposte “comprensive” e poi ti ritrovi con un unico punto di riferimento. Non ci resta che accettare questo flusso.

  3. Sperare nella “comprensione locale” è ingenuo. Google punta a controllare pure le risposte in italiano. Mi preoccupa questo accentramento di potere informativo.

  4. Daniele Palmieri

    Ma dai, Google pensa di farla franca con le lingue? Vogliamo davvero fidarci di un’unica fonte per tutto? Mi puzza di controllo.

    1. L’espansione multilingue mira a consolidare il controllo sulle fonti informative. Resta da valutare l’impatto sulla diversità dei contenuti.

    2. Paola Montanari

      La globalizzazione delle risposte AI è un bel modo per dire che vogliono controllare cosa leggiamo. Sempre la stessa storia, unificare per dominare. Ci pensiamo mai davvero a chi ci gestisce le informazioni?

  5. Un velo di ambiguità cala sulla traduzione. Dietro la maschera del progresso, si cela un disegno di controllo. Le parole cambiano, ma il potere resta concentrato. Quale sarà il prezzo di questa “comprensione” universale?

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