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Tra nuove animazioni, modelli Gemini customizzati e la promessa di risposte “cucinate”, Google riprova a farci innamorare della sua AI Mode, ma restano i dubbi su costi, concorrenza e l’impatto sulla SEO.
Google ha aggiornato la sua AI Mode nella Ricerca con una nuova animazione per l'input vocale e il modello Gemini 2.5. Questa spinta all'AI Mode, con costi (abbonamento Premium) e implicazioni sulla SEO, suscita interrogativi su utilità, concorrenza e futuro della ricerca.
Google ci riprova con l’AI: nuova “Ondina” magica per parlare con la ricerca
Allora, pare che Google non si stanchi mai di sfornare novità per la sua AI Mode nella Ricerca. Questa volta, come ci racconta 9to5Google in questo articolo, hanno tirato fuori dal cilindro una nuova animazione per quando parli al telefono. Dimentica il solito rettangolino un po’ triste: ora c’è una specie di onda ad arco che si colora tutta mentre tu detti le tue domande. Sotto, ti compare pure la trascrizione in tempo reale.
Dicono che migliori l’interazione… sarà vero?
Staremo a vedere.
Per ora, sappi che sta arrivando un po’ alla volta su Android, ma se hai un iPhone, potresti già avercela. Ma la vera domanda è: basterà una nuova animazione a farci amare davvero questa AI Mode e, soprattutto, a convincerci che è qualcosa di cui abbiamo realmente bisogno?
Ma cosa c’è davvero sotto questa nuova veste?
Perché, vedi, questa non è solo una questione di estetica, o almeno così vogliono farci credere. Dietro a questa “rinfrescata” c’è la solita spinta di Google a farci digerire la sua AI Mode. Ci raccontano, come puoi leggere sul blog ufficiale di Google, che sotto il cofano c’è un modello Gemini 2.5 customizzato, capace di ragionamenti complessi e di gestire input di testo, voce e immagini.
Bello, eh?
E non è finita: usano una tecnica dal nome altisonante, “query fan-out”, che in pratica spezzetta le tue domande complesse per cercare risposte un po’ ovunque sul web, come descritto anche da electronicspecifier.com. L’idea sarebbe quella di andare più a fondo e darti risposte già “cucinate”, invece dei soliti link. Addirittura Sundar Pichai, il gran capo di Google, ha parlato di una “totale reimmaginazione della ricerca”, come riportato da theoutpost.ai, e si vanta che ora facciamo domande molto più lunghe.
Certo, con risposte preconfezionate, forse ci stanno anche abituando a pensare di meno e a delegare completamente il nostro spirito critico?
E poi, questa “personalizzazione” basata sulla cronologia che promettono… siamo sicuri di volere un Google che sa ancora più cose di noi e decide cosa è meglio farci vedere?
Tutto bello, ma a che prezzo? tra concorrenza, costi e SEO stravolta
Perché, diciamocelo chiaramente, non è tutto oro quello che luccica e le mosse di questi colossi vanno sempre guardate con un occhio critico. Questa corsa all’AI di Google arriva mentre la concorrenza, con nomi come ChatGPT, si fa sempre più agguerrita e cerca di rosicchiare quote di mercato. E non solo: il Dipartimento di Giustizia USA, come leggiamo sempre su theoutpost.ai, ha il fiato sul collo di Google per questioni di antitrust, sostenendo – e forse non a torto – che la sua posizione dominante nella ricerca potrebbe falsare pesantemente la partita dell’intelligenza artificiale.
Ti pare poco?
E poi c’è il rovescio della medaglia per chi, come te, magari lavora con la SEO e vive di visibilità online. Esperti come Monique De Leon di Ignite Visibility, citata in questo loro articolo, ci mettono in guardia: questa interfaccia tipo chat dell’AI Mode rischia di far sparire la visibilità organica tradizionale, quella per cui tanti hanno sudato sette camicie. Si parla già di generative engine optimization (GEO)… un altro acronimo da imparare, un’altra corsa forsennata per restare a galla in un mare sempre più mosso da Big G.
E l’utente finale?
Beh, se ti piace l’idea di farti servire la pappa pronta dall’AI di Google, preparati a mettere mano al portafoglio: per accedere a questa meraviglia, devi sborsare i soldi per un abbonamento Google One AI Premium, come sottolinea Android Authority. Venticinque dollari al mese non sono proprio noccioline, specie se pensiamo che una volta la ricerca era considerata un bene “gratuito” (anche se sappiamo che il prezzo erano i nostri dati).
Certo, cercano di farci dimenticare gli scivoloni passati, come quando l’AI suggeriva di mangiare pietre per prevenire i calcoli renali (te lo ricordi? Roba da matti!), puntando su risposte più “pulite” e affidabili.
Ma siamo davvero sicuri che questa centralizzazione delle risposte, questo voler diventare l’unica, incontestabile fonte di verità, sia un bene per noi, per la nostra capacità di discernimento e per la pluralità dell’informazione nel web?
La domanda, come sempre, resta aperta.