Google, la difesa è uno show: basteranno le metafore a salvare l’impero?

Anita Innocenti

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Tra metafore spaziali e paragoni sportivi, Google cerca di convincere il giudice che smantellare il suo sistema pubblicitario è impossibile, mentre gli editori denunciano commissioni esorbitanti.

Google si difende nel processo antitrust sulla sua tecnologia pubblicitaria. Il Dipartimento di Giustizia chiede lo smembramento, ma Google risponde con metafore fantasiose. Dopo che la giudice ha già stabilito il monopolio, ora si discute il rimedio. La posta in gioco è enorme: centinaia di miliardi di dollari. Riusciranno le metafore a salvare l'impero?

Google, la difesa è uno show: ma basteranno le metafore a salvare l’impero?

Diciamocelo, la difesa di Google nel processo antitrust sulla sua tecnologia pubblicitaria sta diventando quasi uno spettacolo. In un’aula di tribunale della Virginia, il colosso di Mountain View sta combattendo con le unghie e con i denti per evitare quello che potrebbe essere il secondo smembramento imposto da un tribunale in meno di due anni.

E lo sta facendo con una strategia che, a essere onesti, lascia un po’ perplessi.

Il Dipartimento di Giustizia americano (DOJ) ha chiesto al giudice di usare il bisturi, di forzare una “operazione chirurgica” per separare parti del suo ecosistema pubblicitario.

La risposta di Google?

Metafore a dir poco fantasiose.

Il punto della contesa è serissimo.

Come descritto da The Verge, dopo che la giudice Leonie Brinkema ha già stabilito ad agosto che Google detiene illegalmente un monopolio sugli strumenti per gli editori, ora si discute su come rimediare.

Il DOJ vuole che Google venda la sua piattaforma AdX e renda open-source parti del suo server pubblicitario DoubleClick for Publishers. Una mossa che scuoterebbe dalle fondamenta un impero che gestisce centinaia di miliardi di dollari in spesa pubblicitaria ogni anno.

Con le spalle al muro e una condanna già in tasca, cosa si è inventata Google per provare a uscirne?

Un monopolio messo a nudo

Prima di arrivare alle trovate della difesa, facciamo un passo indietro per capire il perché di tutto questo. La causa, partita a gennaio 2023, non è nata dal nulla.

Il DOJ ha accusato Google di aver costruito il suo monopolio pezzo dopo pezzo, con acquisizioni strategiche che hanno costretto editori e inserzionisti a usare per forza i suoi strumenti, gonfiando i prezzi lungo tutta la filiera.

E le prove, a quanto pare, erano schiaccianti. Durante il processo sono saltate fuori email interne che non lasciano molto spazio all’interpretazione. In una, risalente al 2013, un dipendente di Google scriveva senza troppi giri di parole: “il nostro obiettivo dovrebbe essere tutto o niente: o usi AdX come tuo SSP o non accedi alla nostra domanda”.

Chiaro, no?

È su queste basi che la giudice Brinkema ha emesso la sua sentenza, concludendo che Google ha agito deliberatamente per acquisire e mantenere un potere di monopolio. In pratica, ha creato un gioco in cui le regole le decideva solo lei, e chi voleva partecipare doveva per forza passare dal suo casello e pagare il suo pedaggio.

Ma al di là delle metafore, che suonano più come una disperata arrampicata sugli specchi, quali sono le vere poste in gioco?

Dal tribunale al teatro: la strategia della difesa

E qui, la faccenda si fa surreale. Di fronte alla richiesta di smembramento, Google ha portato in aula una sfilza di testimoni con il compito, a quanto pare, di convincere il giudice che separare i suoi sistemi sia tecnicamente impossibile.

Un suo direttore tecnico, Glenn Berntson, ha paragonato l’operazione a un’esplorazione spaziale, affermando che “andare sulla Luna è più semplice che andare su Marte”. Non contento, un altro esperto tecnico, Jason Nieh, ha rincarato la dose, dichiarando che smantellare il sistema sarebbe come “cercare di sostituire il Michael Jordan dei database. C’è solo un Michael Jordan, ed è insostituibile”.

Viene da chiedersi se queste uscite teatrali siano una strategia legale ben ponderata o un semplice tentativo di confondere le acque.

L’esperto economico di Google ha addirittura sostenuto che l’azienda non dovrebbe rinunciare del tutto al suo potere di monopolio, ma solo smettere di usarlo in modo sleale. Una tesi che ha fatto storcere il naso alla stessa giudice, che ha sottolineato la palese “tensione” in un’argomentazione del genere.

Nel frattempo, gli editori, quelli che questo sistema lo subiscono da anni, continuano a lamentare la controversa commissione del 20% che Google si prende su AdX, una cifra che la stessa corte ha definito gonfiata artificialmente proprio per la mancanza di concorrenza.

La domanda che resta sul tavolo è una sola: basterà a smantellare un sistema così radicato o assisteremo all’ennesimo compromesso che, alla fine, cambia poco o nulla per chi lavora e compete ogni giorno sul web?

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

11 commenti su “Google, la difesa è uno show: basteranno le metafore a salvare l’impero?”

  1. Giulia Martini

    Questa difesa mi mette un’ansia pazzesca! Spero che la giudice non si faccia incantare dalle parole e guardi ai fatti. La mia preoccupazione è che questoinfluenzial’intero settore.

    1. Claudio Ruggiero

      Le metafore sono un’arma a doppio taglio. Un gioco di parole può intrattenere, ma la sostanza resta. Vedremo se i fatti prevarranno sulle immagini evocative. Per noi, il mercato è quello che è.

    2. Veronica Valentini

      Giulia, capisco l’ansia. Però, se la giudice è furba, non si farà abbindolare da paragoni spaziali. La sostanza dei fatti, quella conta.

  2. Melissa Benedetti

    Le argomentazioni basate su metafore, pur potendo essere efficaci per rendere un concetto più accessibile, rischiano di apparire deboli in un contesto legale dove la solidità dei fatti è primaria. Mi chiedo quale peso reale possano avere tali figure retoriche di fronte a questioni economiche e di concorrenza così significative.

    1. Melissa Romano

      Le immagini evocate sono potenti, ma la sostanza dei numeri parla un’altra lingua. Se il fondamento è vacillante, persino le stelle più brillanti rischiano di spegnersi. Chi disegna queste galassie narrative?

    2. Simone Damico

      Trovo che l’uso di metafore in un contesto legale così delicato sia un azzardo. Come tecnico, tendo a fidarmi dei dati concreti e della logica strutturale. Mi domando se questa strategia retorica, per quanto creativa, possa davvero soppiantare l’analisi di un sistema così imponente.

      1. Melissa Benedetti

        L’uso di metafore in un processo di tale portata solleva interrogativi. Mi chiedo se la sostanza tecnica delle argomentazioni non debba prevalere sulla loro forma evocativa.

        1. Simone Damico

          Effettivamente, pensare a un impero salvato da metafore è quasi surreale. Come tecnico, la mia preoccupazione è se la sostanza tecnica delle argomentazioni di Google possa davvero competere con la loro presentazione suggestiva.

  3. Isabella Sorrentino

    Capisco il punto di vista. La difesa con metafore mi lascia un po’ perplessa, mi chiedo se la sostanza sia sufficiente.

    1. La difesa di Google appare più incentrata sulla retorica che sui dati tangibili. Le metafore, per quanto efficaci nel comunicare, faticano a sostituire la concretezza delle argomentazioni tecniche in un contesto legale. Mi chiedo quanto possa durare un impero costruito su discorsi brillanti.

    2. Melissa Benedetti

      Le metafore non soppiantano i fatti; il monopolio è già accertato. Le argomentazioni concrete sono necessarie.

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