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Essere in cima a Google non basta più: l’IA di ChatGPT premia chi è presente nelle liste e directory autorevoli, stravolgendo le strategie SEO.
Google e ChatGPT stanno ridefinendo la SEO. Le AI consigliano brand diversi nel 62% dei casi, con Google che cala e ChatGPT in forte crescita. Ciò richiede nuove strategie: puntare su articoli-lista, directory autorevoli e ottimizzare per Bing, ora cruciale per la visibilità AI.
Il nuovo campo di battaglia: Google e ChatGPT riscrivono le regole del gioco (e forse non a tuo favore)
Una ricerca che ha messo sotto la lente oltre 41 milioni di risultati generati dall’intelligenza artificiale ha messo in luce una verità scomoda: il modo in cui abbiamo sempre pensato all’ottimizzazione per i motori di ricerca, beh, potrebbe non bastare più.
Sembra che l’arrivo di piattaforme come ChatGPT e le AI Overviews di Google stia rimescolando le carte in un modo che nessuno si aspettava, costringendo chiunque abbia un’attività online a ripensare da zero le proprie strategie.
E i dati parlano chiaro.
Mentre l’attenzione di tutti era concentrata su Google, ChatGPT ha silenziosamente aumentato la sua quota di mercato del 400%, un’avanzata impressionante.
Nello stesso periodo, come descritto da SEOmator, Google ha registrato il suo primo calo di market share in un decennio, perdendo il 2,15%.
Numeri che non sono solo statistiche, ma il segnale di uno spostamento tettonico nel comportamento degli utenti.
Ma il punto non è solo chi vince la gara di popolarità .
La vera domanda è: questi due giganti parlano la stessa lingua quando si tratta di consigliare il tuo business?
Perché i motori AI non si parlano? dietro le quinte del ‘consiglio’ automatico
La risposta, a quanto pare, è un sonoro “no”.
E non è una supposizione, ma un dato di fatto: una ricerca di BrightEdge ha svelato che Google AI Overviews, la sua modalità AI e ChatGPT consigliano brand differenti quasi il 62% delle volte. Questo significa che essere il preferito di Google non ti garantisce affatto un posto al sole su ChatGPT, e viceversa. Un bel grattacapo per chi pensava di poter applicare le stesse regole su entrambi i fronti.
La ragione di questa divergenza sta nel modo in cui funzionano. ChatGPT, ad esempio, ha una sorta di doppia personalità : una modalità “Auto” che mescola i suoi dati di addestramento interni con ricerche sul web quando lo ritiene necessario, e una modalità “Search” che si basa esclusivamente sui contenuti freschi trovati online.
Due approcci che richiedono strategie di monitoraggio e ottimizzazione completamente diverse. Questo significa che la visibilità di un’azienda è ora in balia di algoritmi ancora più oscuri e di decisioni editoriali prese da una macchina.
E chi decide quali dati usare per l’addestramento?
Una domanda che, per ora, ha risposte piuttosto vaghe.
Se quindi i vecchi pilastri della SEO, come traffico e backlink, sembrano avere un peso minore in questo nuovo contesto, su cosa si basa allora la fiducia di un’intelligenza artificiale?
Le nuove ‘regole non scritte’ per guadagnarsi la fiducia dell’IA
A quanto pare, la fiducia delle IA non si compra con le solite metriche.
La ricerca ha messo in evidenza che uno dei fattori più determinanti è la presenza in articoli-lista ben posizionati su Google. In pratica, se sei citato in una classifica dei “Migliori 10 X”, è molto probabile che ChatGPT ti prenda in simpatia.
Un altro aspetto che emerge con forza, come riportato su First Page Sage, è l’inclusione in directory autorevoli, da quelle accademiche come l’Enciclopedia Britannica fino a fonti secondarie come Wikipedia.
Inoltre, dato che ChatGPT usa Bing come motore di ricerca, le regole di quest’ultimo diventano improvvisamente molto più importanti.
Bing, a differenza di Google, sembra preferire contenuti più diretti, con una maggiore densità di parole chiave e una struttura che risponda in modo secco e immediato alle domande degli utenti.
Anche se, per completezza, parrebbe che ChatGPT stia usando ora sempre più Google Search per le sue ricerche…
Niente più giri di parole o introduzioni poetiche: l’IA vuole risposte chiare, subito.
La morale della favola?
Non si tratta più solo di piacere all’algoritmo di Google. Ora bisogna entrare nelle grazie di sistemi diversi, opachi e in costante evoluzione, ciascuno con le sue preferenze.
Questo sposta il potere dalle mani di chi crea valore a quelle di chi lo aggrega.
E la domanda che dovresti porti non è solo “come posso ottimizzare?”, ma “a chi sto affidando la reputazione del mio brand?”.