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Contattaci ora →Dall’Accesso negato ai servizi Google alla paralisi di Spotify e Discord: una “leggerezza” interna ha mandato in tilt il web, sollevando interrogativi sulla nostra dipendenza dal cloud
Il 12 giugno 2025, un guasto su Google Cloud, causato da una misconfigurazione IAM, ha bloccato Gmail, Spotify e centinaia di servizi online. L'evento ha messo in luce la forte dipendenza digitale da poche grandi piattaforme cloud, spingendo a riflettere sulla resilienza e diversificazione.
Google Cloud va in tilt: colpa di una “svista” o c’è di più?
Ci ricorderemo per un po’ di ieri, giovedì 12 giugno 2025!
Magari eri lì tranquillo a mandare una mail con Gmail, o ad ascoltare la tua playlist preferita su Spotify, e all’improvviso…
Il nulla.
Ecco, non eri tu ad avere problemi di connessione: era Google Cloud che aveva deciso di prendersi una “pausa di riflessione” non richiesta, mandando in tilt mezzo internet.
E la causa ufficiale, stando a quanto descritto da diverse testate come Perplexity.ai nel suo resoconto dell’incidente e TechCrunch, sarebbe una “banale” misconfigurazione nel loro sistema IAM, quello che, per capirci, gestisce chi può accedere a cosa dentro la loro immensa infrastruttura. Una piccola svista che però, come un sasso lanciato in uno stagno, ha scatenato un effetto domino su un sacco di roba, da App Engine a Cloud SQL.
Viene da chiedersi: ma una “piccola svista” può davvero mettere in ginocchio così tanti servizi che usiamo ogni giorno?
E la cosa curiosa è che non si parla di un attacco hacker spettacolare o di un disastro naturale, ma di un errore interno, una leggerezza che però ha avuto conseguenze planetarie.
Ma esattamente, chi si è trovato con le pezze al sedere e per quanto tempo è durato questo teatrino?
La lista degli sfortunati: da Gmail a Spotify, tutti giù per terra
E quando dico “mezzo internet”, non esagero mica.
Pensa un po’: le app di Google Workspace, quelle che magari usi tutti i giorni per lavorare – Gmail, Drive, Docs, Calendar – hanno iniziato a fare i capricci con gli accessi, lasciando a piedi professionisti e aziende. Ma non è finita qui, perché anche i dispositivi Google Home e Nest, quelli che dovrebbero renderti la vita più facile in casa, erano praticamente dei soprammobili costosi e intelligenti solo a parole.
E l’assistente Gemini AI?
Muto come un pesce.
Come se non bastasse, una marea di piattaforme che usiamo per svago o per business, tipo Spotify, Discord, Snapchat, persino colossi dell’e-commerce come Shopify e della logistica come UPS, hanno iniziato a singhiozzare o a piantarsi del tutto, creando non pochi grattacapi.
Cloudflare, che pure si appoggia a Google Cloud per alcune sue funzionalità, ha ammesso di aver avuto qualche problemino, anche se, come riportato da Silicon Angle, si sono affrettati a mettere le mani avanti dicendo: “Questa è un’interruzione di Google Cloud. Un numero limitato di servizi presso Cloudflare utilizza Google Cloud ed è stato interessato”.
Un modo elegante per dire “la palla è loro”.
Insomma, un bel pasticcio generalizzato che ci ha fatto capire quanto fragili possano essere certi equilibri digitali.
Ma di fronte a un casino del genere, come ha reagito Google?
Si sono nascosti sotto il tappeto sperando che passasse la tempesta o hanno tirato fuori il coniglio dal cilindro per risolvere in fretta?
La “pezza” di Google e la domanda che resta: quanto siamo appesi a un filo?
Google, dal canto suo, dopo aver ammesso il fattaccio verso le 11:46 del mattino (ora del Pacifico) – come si legge nero su bianco sul loro status dashboard ufficiale, che immagino fosse più consultato della Divina Commedia quel giorno – ha iniziato la corsa contro il tempo per rimettere le cose a posto.
Hanno parlato, appunto, di una “misconfiguration” nei sistemi IAM, una scusa che, detta tra noi, suona un po’ come quando da piccoli dicevamo “ops, ho inciampato nel cavo sbagliato” dopo aver fatto cadere qualcosa. Entro il primo pomeriggio, come descritto nel dettaglio da CNET, la situazione pareva quasi rientrata: Downdetector segnalava un calo progressivo dei disservizi e la stessa Google confermava il pieno ripristino dei servizi Workspace già per le 12:53 PT.
Certo, qualche zona un po’ più sfigata, tipo l’Iowa (us-central1, per i più tecnici), ha dovuto penare un po’ di più prima di tornare alla normalità.
Però, al di là dei tempi di recupero, che per chi ci lavora possono sembrare un’eternità e costare un occhio della testa, la vera questione che questo episodio ci sbatte violentemente in faccia è un’altra:
Ma ci rendiamo conto di quanto siamo diventati dipendenti da questi giganti del cloud, spesso da un singolo fornitore?
Mentre, a quanto pare, AWS e Microsoft Azure se la ridevano sotto i baffi perché quel giorno i loro servizi filavano lisci come l’olio, il patatrac di Google ci ricorda dolorosamente che mettere tutte le nostre uova digitali nello stesso paniere, soprattutto quando il paniere è di qualcun altro e non possiamo controllarlo direttamente, potrebbe non essere esattamente ‘sta gran genialata.
Adesso, c’è da scommetterci, arriveranno i soliti report post-mortem super dettagliati, infarciti di tecnicismi e pieni di belle promesse sul “faremo meglio”.
Ma sarà davvero la volta buona che tutti, utenti e aziende, impariamo qualcosa sulla resilienza e sulla diversificazione, o alla prossima “misconfigurazione” saremo di nuovo qui a raccontarci la stessa, identica, frustrante storia?
Uff, che disastro ieri! Non sono riuscita a lavorare e ho perso un sacco di tempo. Spero che Google impari da questi errori, perché così non si può andare avanti. Troppa dipendenza da un unico fornitore… da pensarci su.
Mamma mia, che disastro! Io che dovevo finire un lavoro urgente e Gmail non andava. Speriamo imparino la lezione, certe cose non dovrebbero succedere.
Antonio Villa:
Un’altra dimostrazione di quanto siamo vulnerabili. Una “svista” del genere fa paura. Spero che Google prenda provvedimenti seri per evitare che ricapiti. Io intanto mi sto informando su alternative… non si sa mai!
Eh, figuriamoci! Proprio mentre stavo ascoltando un podcast su Spotify… speriamo imparino la lezione e rafforzino i controlli. Che scocciatura!