Le regole del digitale stanno cambiando.
O sei visibile o sei fuori. Noi ti aiutiamo a raggiungere i clienti giusti — quando ti stanno cercando.
Contattaci ora →Scopriamo come Google valuta e modifica i tuoi titoli attraverso “Goldmine”, un sistema che testa diverse alternative basandosi sui dati degli utenti, influenzando il posizionamento delle tue pagine
Google utilizza un sistema interno chiamato Goldmine che mette in competizione il titolo scelto con alternative generate automaticamente, valutandole in base a pertinenza e coerenza con il contenuto e i link della pagina. Il tag <title> è solo uno dei candidati, spesso sostituito da titoli creati dall’IA. L’obiettivo è trovare il testo che meglio rappresenta la pagina e massimizza l’efficacia per gli utenti, non necessariamente quello deciso dal sito.
Spunta Goldmine, il sistema segreto di Google: ecco come decide davvero i tuoi titoli
Pensi di avere il pieno controllo del titolo che i tuoi clienti vedono su Google?
Forse è il caso di ripensarci.
È stato smascherato un sistema di valutazione interno a Google, battezzato “Goldmine”, che tratta i titoli forniti dai publisher (sì, anche i tuoi) con un’evidente diffidenza, sottoponendoli a una competizione spietata contro altre alternative che lui stesso genera.
La scoperta arriva dall’analisi di documenti Google trapelati tempo fa e portati alla luce dal consulente SEO Shaun Anderson.
In pratica, Google non si fida per niente del tag <title>
che imposti con tanta cura. Al contrario, lo considera solo uno dei tanti candidati in un vero e proprio torneo interno, il cui obiettivo è trovare il testo che, secondo i suoi calcoli, funzionerà meglio. E la cosa non è affatto banale, perché le regole di questo gioco sono state finora un mistero.
Ma la vera domanda è: con quali criteri viene scelto il vincitore?
E cosa succede quando il titolo che hai scelto tu viene scartato?
Il tuo titolo? solo uno dei tanti candidati in gara
Il sistema, che internamente risponde al nome di AlternativeTitlesAnnotator
, parte da un presupposto tanto semplice quanto brutale: il segnale che fornisci tu non è attendibile.
Punto.
Di conseguenza, mette in campo una serie di “sfidanti” presi da diverse fonti della tua pagina: non solo il tag <title>
, ma anche l’H1, gli anchor text dei link interni ed esterni e persino titoli generati al momento dalla sua stessa intelligenza artificiale.
Come riportato nell’analisi dettagliata di Hobo Web, ogni candidato viene valutato sulla base di diversi fattori, come la sua pertinenza con il corpo del testo (goldmineBodyFactor
) o la sua coerenza con i link che puntano alla pagina (goldmineAnchorFactor
).
È una valutazione a 360 gradi che cerca di capire quale testo descriva meglio, e in modo più onesto, il contenuto della pagina.
In parole povere, Google sta cercando di capire cosa c’è davvero nella tua pagina, andando oltre quello che tu dichiari.
Eppure, questa prima selezione basata sui contenuti è solo l’inizio del processo.
La fase successiva è quella che determina davvero chi vince, perché sposta il campo di gioco dall’analisi della pagina all’analisi delle persone.
BlockBERT e dati utente: il verdetto finale arriva dal pubblico
Una volta scelti i candidati migliori, Google li passa al setaccio di un modello di intelligenza artificiale chiamato BlockBERT, un sistema capace di analizzare il linguaggio in modo profondo per capirne il contesto e la coerenza semantica.
Ma il colpo di grazia arriva dal collegamento con un altro sistema potentissimo: NavBoost.
Questo meccanismo analizza i dati di comportamento degli utenti reali, misurando i “good clicks” (quando un utente clicca e rimane a lungo sulla pagina, soddisfatto) e i “bad clicks” (quando l’utente clicca e torna subito indietro, il cosiddetto pogo-sticking).
In pratica, Google non si limita a indovinare quale titolo sia migliore: lo testa sul campo, usando il tuo pubblico come cavia per i suoi esperimenti.
Il titolo che genera più click “buoni” e meno “cattivi” vince la gara e si guadagna il posto d’onore nella SERP.
Una logica che, sulla carta, sembra premiare la qualità.
Ma se pensi che la faccenda si limiti a un titolo diverso da quello che avevi scelto, ti stai sbagliando di grosso.
Le conseguenze di questo meccanismo vanno molto più in profondità e possono toccare direttamente il tuo posizionamento.
L’impatto nascosto: quando un titolo sbagliato affossa il tuo ranking
Qui la storia si fa ancora più seria.
Il sistema Goldmine non si limita a scegliere un vincitore, ma penalizza attivamente i titoli che ritiene di bassa qualità. Se un titolo che hai fornito viene etichettato come “cattivo” (badTitle
), non solo viene sostituito, ma la sua performance viene monitorata.
E se il titolo scelto da Google performa meglio del tuo, questo dato positivo alimenta il sistema NavBoost, potenzialmente migliorando il tuo ranking.
Ma cosa succede se accade il contrario?
Se il titolo scelto da Google genera un comportamento negativo da parte degli utenti, quel segnale di insoddisfazione torna indietro e può danneggiare la percezione di qualità dell’intera pagina, portando a un calo di posizioni.
In sostanza, un esperimento di Google sul tuo titolo, se fallisce, rischia di essere pagato da te in termini di visibilità.
Ci troviamo di fronte a un sistema che, nel tentativo di ottimizzare l’esperienza utente, può creare un effetto collaterale pesante per chi i contenuti li produce.
Questo leak, dunque, non svela solo un meccanismo tecnico, ma solleva un dubbio più grande:
Quanto controllo abbiamo davvero sulla nostra presenza online, quando le decisioni finali vengono prese da algoritmi che ci usano come campo di prova?
Ma è assurdo! Ci danniamo l’anima per scegliere il titolo perfetto e poi Google se ne esce con ‘sta roba. È frustrante vedere che tutto il nostro lavoro di fino rischia di essere ignorato da un algoritmo. Ma chi ci capisce più?
Melissa, capisco la tua frustrazione! Sembra che Google giochi un po’ a nascondino con i nostri sforzi SEO. La cosa che mi colpisce è quanto sia dinamico il processo. Bisogna accettare che la nostra creatività debba adattarsi a queste logiche interne.
Ma dico io, anni persi a studiare i titoli, e Google se ne esce con ‘sto “Goldmine” che li riscrive a caso? Che senso ha tutto questo lavoro?
Melissa, capisco la tua frustrazione. Dobbiamo solo fidarci che Google lavori per offrire il meglio ai suoi utenti, il nostro compito resta quello di creare contenuti di valore.
Saper che i nostri titoli SEO sono solo ipotesi per Google, testate da “Goldmine”, è un pensiero malinconico. C’è sempre un’ombra che decide il nostro destino, non è vero?
Ma certo, pensavamo di fare gli intelligenti con i nostri titoli. Google ha il suo giocattolo, Goldmine, e ci mette lui il naso. Alla fine, siamo solo pedine, non credete?
Che bella scoperta, eh? Dopo anni passati a limare parole chiave per ‘sto cavolo di SEO, ci si ritrova con un’AI che decide tutto. Già che ci siamo, facciamogli scrivere anche il contenuto, no? Tanto, a quanto pare, il nostro lavoro è solo fumo negli occhi. Che spreco di energie.
È affascinante pensare che Google abbia un sistema come Goldmine per perfezionare i titoli. Mi chiedo se questo significhi che la creatività umana nel definire i titoli sia meno valorizzata, oppure se sia solo un altro modo per servire meglio le persone.
Ma dai, pensavate davvero di comandare qualcosa con quei titoli? Goldmine è solo la prova che il vero potere ce l’ha chi fa le regole. Fatevene una ragione e concentratevi sul contenuto, quello sì che conta.
Questo “Goldmine” suona come l’ennesima dimostrazione di come Google faccia un po’ quello che vuole con i nostri contenuti. Se l’obiettivo è l’utente, bene, ma poi non ci si lamenti se i siti si adeguano a ciò che l’algoritmo sembra preferire, anche se poi non è esattamente quello che avevamo in mente.
Interessante questa rivelazione su “Goldmine”. Sembra che il nostro controllo sui titoli sia meno saldo di quanto pensassimo. Chissà quante volte, senza saperlo, l’IA ha riscritto le nostre intenzioni per il bene… o per il suo.
Questa scoperta su “Goldmine” fa riflettere. Forse dovremmo concentrarci di più sulla qualità del contenuto che sul mero titolo, lasciando che sia il valore a emergere. Mi chiedo se questo sistema sia davvero sempre al servizio dell’utente.
Walter, una riflessione acuta. Ma non è che Google, con questo “Goldmine”, ci stia in realtà insegnando a lavorare meglio, mostrando i titoli che *davvero* attraggono chi cerca? Un modo discreto per dirci come presentarci, non trovi?
Effettivamente, sapere che Google gioca questo ruolo mi lascia un po’ perplesso. Forse dovremmo imparare a fidarci più dei dati che ci arrivano, anziché solo delle nostre intuizioni sui titoli.
Ancora un altro sistema che ci dice che il nostro lavoro conta poco. Google fa le scarpe ai nostri titoli con la sua IA, noi siamo solo comparse. Che bella la tecnologia.
Ma dai! Pensavo di avere un minimo di potere decisionale sui miei titoli, e invece c’è questo Goldmine che fa tutto lui? Frustrante.
Capisco il meccanismo, ma questa dinamica lascia sempre un po’ di amaro in bocca sul nostro reale apporto.
Goldmine svela il potere dell’algoritmo sull’apparenza. Quanti dei nostri sforzi si dissolvono nel vento digitale?
Allora, Google decide per noi che titolo funziona meglio? Che audacia! Fino a che punto il nostro lavoro di contenuti viene messo in discussione da un algoritmo che pensa di saperne di più?
Questo sistema solleva interrogativi sull’autenticità del controllo editoriale.
Capisco perfettamente il tuo punto, Riccardo. Questa dinamica ci ricorda quanto sia necessario adattarsi alle evoluzioni di Google. Dobbiamo puntare a contenuti così validi che anche l’IA li riconosca come la migliore rappresentazione della pagina.