Le regole del digitale stanno cambiando.
O sei visibile o sei fuori. Noi ti aiutiamo a raggiungere i clienti giusti — quando ti stanno cercando.
Contattaci ora →
Un monito che suona come una critica velata all’instabilità dell’algoritmo, che sembra premiare sempre più le grandi piattaforme a discapito della qualità effettiva.
A Dubai, Google ha ribadito che la qualità dei contenuti è fondamentale per i siti web, più della SEO tecnica. L'autore, tuttavia, critica l'ambigua definizione di "qualità" di Google, specialmente dopo aggiornamenti algoritmici punitivi. Si suggerisce che questa "crociata" favorisca le grandi piattaforme, complicando la sopravvivenza delle piccole e medie imprese online.
La solita musica da Dubai: prima la qualità, poi i tecnicismi
Durante il Search Central Live di Dubai, il messaggio è stato martellato con una chiarezza quasi brutale: link, migrazioni di siti e ottimizzazioni tecniche non possono “risolvere” un problema di bassa qualità. Come riportato da Search Engine Roundtable, i portavoce di Google, tra cui Shahid Maqbool, hanno messo nero su bianco che nessun intervento sull’infrastruttura di un sito può compensare contenuti poveri o inutili.
In pratica, ti stanno dicendo che è inutile lucidare le maniglie d’ottone se le fondamenta della casa stanno crollando.
Un concetto su cui, diciamocelo, non ci piove.
Il problema è che questa insistenza sulla “qualità” arriva proprio quando la definizione stessa di qualità sembra essere diventata un’opinione esclusiva e insindacabile di Google.
E così, mentre da un lato ci dicono di non fissarci sui tecnicismi per recuperare posizioni, dall’altro continuano a rilasciare aggiornamenti che devastano business online senza fornire spiegazioni chiare, lasciando tutti a brancolare nel buio.
La sensazione è che questa “crociata per la qualità” sia anche un modo comodo per giustificare un’instabilità dell’algoritmo che, guarda caso, avvantaggia sempre di più le grandi piattaforme.
Ma di quale “qualità” stiamo parlando?
Diciamocelo chiaro: che i contenuti debbano essere di valore è la base. Ma quando un colosso come Google, che di fatto controlla il flusso di informazioni e di clienti per milioni di aziende, inizia a usare il termine “qualità” come un’arma, qualche domanda bisogna farsela.
Dopo mesi di Helpful Content Update che hanno penalizzato siti con anni di lavoro alle spalle, curati da persone in carne e ossa, sentirsi ripetere che “la qualità è tutto” suona quasi come una beffa. Sembra che la loro idea di qualità sia diventata un concetto astratto, un bersaglio mobile che solo loro conoscono e che possono spostare a piacimento.
Stanno forse creando un sistema in cui solo chi ha budget infiniti per produrre contenuti “da manuale” (secondo il loro manuale, ovviamente) può sopravvivere?
L’impressione è che si stia passando da una valutazione oggettiva, basata anche su segnali tecnici misurabili, a un giudizio quasi editoriale, dove l’algoritmo si trasforma in un critico d’arte dal gusto imperscrutabile.
E in questo gioco, per le piccole e medie imprese, vincere diventa una scommessa sempre più difficile.
Cosa resta sul tavolo per chi fa business online?
Se togliamo tutta la retorica, il messaggio di Google ci costringe a guardare in faccia una realtà scomoda ma necessaria: il tempo dei trucchetti e delle scorciatoie è finito da un pezzo.
Non si tratta più di “fare SEO” per piacere a un algoritmo, ma di costruire un brand e offrire un valore così evidente che le persone ti cercherebbero anche se Google non esistesse.
L’ottimizzazione tecnica non scompare, ma torna al suo ruolo originale: quello di un maggiordomo silenzioso che si assicura che tutto funzioni alla perfezione, senza però essere il protagonista dello spettacolo.
La vera partita, oggi, si gioca sulla tua capacità di essere un punto di riferimento, di dimostrare competenza vera (quella che l’IA non può ancora simulare) e di creare una connessione reale con chi ti legge.
È una sfida più difficile, certo, ma è anche l’unica che ti mette al riparo dai capricci di un algoritmo che, da un giorno all’altro, potrebbe decidere che la tua idea di “qualità” non gli va più a genio.
