I segreti di Google svelati: ecco come decide i ranking di ricerca tra multe e Antitrust

Anita Innocenti

Le regole del digitale stanno cambiando.

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I dati sulle interazioni degli utenti e le visite su Chrome sono fondamentali, ma una multa per violazione della privacy e l’obbligo di condividere i dati di ricerca con i concorrenti cambiano le carte in tavola.

Documenti scottanti dal processo antitrust contro Google svelano come i ranking di ricerca siano profondamente influenzati dai comportamenti degli utenti e dai dati di Chrome. Il colosso di Mountain View è stato condannato a pagare 425,7 milioni di dollari per violazione della privacy e dovrà condividere parte dei suoi dati di ricerca, sfidando il suo storico monopolio.

La verità (parziale) sta nei tuoi click

Te lo sei mai chiesto cosa succede dopo che fai una ricerca?

Ogni tuo click, ogni pausa del mouse su un link, ogni ritorno rapido alla pagina dei risultati perché il sito non ti piaceva… be’, Google guarda tutto.

I documenti del tribunale, come scritto da Search Engine Roundtable, definiscono questi dati sulle interazioni degli utenti come “il pane quotidiano del vantaggio di scala di Google”. In pratica, siamo noi, con i nostri comportamenti, ad addestrare l’algoritmo da oltre 15 anni.

Ma il punto che solleva più dubbi è un altro. Sembra che Google utilizzi anche i “dati di visita di Chrome” per determinare la popolarità di una pagina, come riporta la SEO Marie Haynes.

Esatto, il browser che usi ogni giorno potrebbe fornire a Google informazioni preziose per i suoi ranking.

La cosa inquietante è che i documenti restano molto vaghi su come esattamente vengano usati questi dati. E mentre ci si interroga sulla reale portata di questo monitoraggio, le grane per Google non fanno che aumentare su altri fronti.

Una multa salata e l’obbligo di condividere i segreti

Proprio in questi giorni, una giuria federale ha condannato Google a pagare la bellezza di 425,7 milioni di dollari per aver violato la privacy degli utenti, tracciando i loro spostamenti anche quando questi erano convinti di aver disattivato ogni forma di localizzazione.

Ti suona familiare?

La sentenza, secondo quanto riferito dalla CBS News, riguarda la raccolta dati avvenuta tra il 2016 e il 2024.

La difesa di Google, ovviamente, è quella di sempre: un fraintendimento sul funzionamento dei loro prodotti. Una difesa che, a quanto pare, non ha convinto la giuria.

Come se non bastasse, la sentenza del processo antitrust principale ha evitato lo smembramento della società, ma ha imposto qualcosa di forse ancora più doloroso per un’azienda basata sui segreti: l’obbligo di condividere parte dei suoi dati di ricerca con i concorrenti.

Una mossa che potrebbe, per la prima volta, incrinare davvero il suo monopolio.

Cosa cambia davvero per il futuro della ricerca?

L’ordine del giudice Amit Mehta, come descritto sul portale del Dipartimento di Giustizia, costringerà Google a mettere fine a quegli accordi esclusivi che lo rendono il motore di ricerca predefinito su quasi ogni dispositivo e, soprattutto, a rendere accessibili alcuni dati del suo indice e delle interazioni utente.

È una piccola crepa nel muro invalicabile che Big G ha costruito attorno al suo tesoro più grande: i dati.

La reazione ufficiale di Google è stata quella di minimizzare, sottolineando come la concorrenza sia “intensa” e indicando l’intelligenza artificiale come la nuova frontiera della ricerca di informazioni.

Eppure, la sensazione è che il vento stia cambiando.

Tra multe per la privacy e l’obbligo di aprire i propri forzieri, il gigante tecnologico si trova a dover fare i conti con un’attenzione normativa che non ha mai visto prima.

Resta da vedere se queste misure saranno sufficienti a livellare il campo da gioco o se si riveleranno solo un piccolo ostacolo su un percorso di dominio incontrastato.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

21 commenti su “I segreti di Google svelati: ecco come decide i ranking di ricerca tra multe e Antitrust”

  1. Giorgio Martinelli

    Ma che sorpresa! Pensavano di prenderci in giro con l’idea di un algoritmo neutro? Ovvio che usano i nostri dati, sono loro che ci pagano per averli a disposizione con le nostre ricerche e navigazioni. Non hanno bisogno di segreti, solo di un buon modello di business. Che poi si scannino tra loro, a me non cambia nulla.

    1. Ma che novità. Ovvio che guardano tutto, siamo noi che diamo loro il pane. Alla fine, ci scannano per la torta, a noi cosa cambia?

      1. Ecco, un’altra multa. Contenti loro di pagare, a noi cambierà poco. Finché continuiamo a cliccare, continuano a raccogliere.

        1. Solite scuse per un monopolio che ormai è assodato. Il problema non sono i dati, ma chi li usa per il proprio tornaconto.

  2. Sempre a parlare di segreti! Mi pare ovvio che analizzino ogni cosa per mostrarti quel che vogliono. La vera domanda è: quando finiranno di usare i nostri dati senza il nostro permesso?

    1. Ancora con queste storie? Pensavo fosse palese che ogni nostra azione digitale viene registrata. Mi preoccupa più che altro la lentezza nel porre rimedio a questi abusi. Quando la smetteranno di trattare i nostri dati come fosse roba loro?

    2. È pazzesco pensare che ogni nostro movimento online venga analizzato per definire cosa vediamo! La multa è un campanello d’allarme: la privacy dovrebbe essere un diritto inalienabile, non un ostacolo al profitto. Cosa succederà quando questa trasparenza diventerà la norma?

  3. Davvero sorprendente scoprire quanto i nostri click influenzino i risultati. Mi chiedo se cambierà qualcosa per noi utenti da ora in poi.

    1. Francesco Messina

      Ma certo, ci pensano loro a decidere. La privacy ormai è un optional, e noi siamo solo pedine. Cosa succederà quando si accorgeranno che pure questo sistema è manipolabile?

    2. Quindi, la nostra privacy viene usata per affinare il loro algoritmo. Prevedibile, ma deprimente. Chissà se questa “trasparenza” cambierà davvero qualcosa per chi usa la rete.

  4. Dunque, a quanto pare la nostra privacy è merce di scambio per decidere cosa ci mostrano. Tutto questo teatrino legale, alla fine, serve solo a farci capire che i nostri click hanno un prezzo. Non che fosse un mistero, ma vederlo scritto così fa un certo effetto.

  5. Ma guarda te, che novità! Ci voleva un processo per farci capire che Google ci spia per decidere i risultati. Ormai è chiaro che siamo solo numeri per loro.

    1. Giovanni Battaglia

      Capisco il tuo punto, Giulia. È un bel controsenso: ci multano per aver fatto quello che facevano, e ora siamo noi a pagarne le conseguenze del loro “furbismo”.

  6. Giuseppina Negri

    Certamente, leggere certe cose fa riflettere. Sembra che ogni nostro piccolo gesto digitale venga trasformato in una leva per definire ciò che vediamo. Forse dovremmo iniziare a chiederci se ciò che ci viene proposto sia davvero ciò che cerchiamo, o solo ciò che vogliono mostrarci.

  7. Ecco, guarda un po’. Ci voleva una multa per farci capire che il nostro navigare è materiale grezzo per Google. Soldi e regole, l’unica lingua che capiscono. E noi? Continuiamo a cliccare.

  8. Capisco bene il senso di questo articolo. È chiaro che i nostri movimenti online contano parecchio per Google, anche se le recenti vicende legali potrebbero mettere un freno a certe pratiche. Mi chiedo quanto di tutto questo poi si traduca in una reale utilità per noi utenti, al di là degli interessi commerciali.

    1. Daniele Palmieri

      Ma dai, pensavate davvero che Google operasse per beneficenza? I vostri dati sono il loro pane quotidiano. La vera domanda è: finché vi danno quello che vogliono, vi importa davvero?

      1. Quindi, tutto questo clamore per quello che sapevamo già? Che Google ci osserva? La vera sorpresa sarebbe se non lo facesse. Ora che sono costretti a condividere un po’ di dati, cambierà qualcosa per noi, o solo per loro?

    2. Sempre la solita storia. Google raccoglie dati su dati, e ora con le multe si capisce perché. Ma chi ci guadagna davvero da questa trasparenza forzata? Solo i concorrenti.

  9. Renato Graziani

    Sono un po’ turbato. Sapere che ogni click è osservato fa riflettere su quanto siamo davvero liberi online. Ci pensate?

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