Le regole del digitale stanno cambiando.
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Contattaci ora →Un’analisi interna spiega perché i domini “.brand” possono rappresentare un’evoluzione strategica per le imprese, anche in vista della prossima finestra di registrazione nel 2026
Google, in vista delle nuove candidature TLD nel 2026, condivide tre lezioni strategiche dalla sua esperienza con `.google`. Punti chiave: sicurezza perimetrale assoluta, migrazione SEO a impatto zero con meticolosa pianificazione, e una protezione del brand basata sull'educazione degli utenti. Una guida preziosa per le aziende nel panorama digitale.
La sicurezza non è un’opinione, è un perimetro invalicabile
Il primo punto è forse il più interessante.
Ti sei mai chiesto perché il blog ufficiale di Google non si trovi su un indirizzo come google.com/blog
, ma su blog.google
?
La risposta, come descritto da Christina Yeh di Google Registry nel blog ufficiale dell’azienda, è una questione di sicurezza. Mettere un sito di marketing, spesso sviluppato da agenzie esterne, sullo stesso dominio dei tuoi prodotti principali è un rischio che a Mountain View non hanno voluto correre.
Creando un dominio .google
interamente sotto il loro controllo, hanno costruito una fortezza digitale. Nessun altro può registrare un dominio sotto questa estensione, il che elimina alla radice un’infinità di problemi.
Hanno poi aggiunto il TLD alla lista di precaricamento HSTS, forzando una connessione sicura e dimostrando che quando controlli l’intero “quartiere” digitale, le regole le fai tu.
Ok, la sicurezza è un punto a favore, ma che ne è stato del traffico?
Spostare un dominio è il terrore di ogni SEO, e farlo quando ti chiami Google significa giocarsi un patrimonio di visibilità accumulato in anni.
Migrazione SEO a impatto zero? Davvero?
Qui Google sgancia la bomba: la migrazione della loro pagina “About”, da google.com/about
al nuovo about.google
, avrebbe avuto zero impatto negativo sulla SEO. Un’affermazione che, detta da chi possiede il motore di ricerca, suona quasi troppo bella per essere vera.
Loro sostengono che una pianificazione meticolosa, con redirect 301, sitemap aggiornate e un monitoraggio costante, sia stata la chiave. Hanno persino previsto che gli utenti avrebbero continuato a digitare .com
per abitudine, configurando about.google.com
per funzionare correttamente.
Ma la domanda sorge spontanea:
Questa “magia” SEO funzionerebbe così liscia anche per un’azienda che non si chiama Google?
O forse, quando sei tu a dettare le regole del gioco, è più facile vincere?
Ma al di là della SEO, c’è un’altra mossa, molto più sottile e forse ancora più intelligente, che riguarda la protezione del brand.
Una mossa che ha a che fare con la psicologia degli utenti.
La vera protezione del brand è educare l’utente
Durante la pianificazione, qualcuno in Google propose: “Perché non usare googleblog.com
?”. La risposta è una lezione di strategia pura. Usare il proprio marchio come dominio di secondo livello (la parte prima del .com
) abitua le persone a fidarsi di quella struttura.
E sai chi altro usa quella struttura?
I phisher, che registrano domini come google-support.com
o support-google.net
per truffare gli utenti. La scelta di Google è stata quella di non addestrare i propri utenti a cadere in questa trappola. Hanno registrato googleblog.com
solo per reindirizzarlo, ma non lo promuovono mai attivamente.
In pratica, stanno dicendo al mercato: “Se vedi il nostro marchio, deve essere dopo il punto, in un dominio come blog.google
. Tutto il resto, è da guardare con sospetto”.
Una mossa difensiva che agisce sulla percezione e sulle abitudini, molto più efficace di mille filtri anti-spam.
E questo, bisogna ammetterlo, è un colpo da maestri.
Perché complicarsi la vita? Sembra più un modo per mettere un cartello su un terreno vuoto. La vera sfida è far capire a tutti che non è un gioco. Chi ci casca, poi si lamenta.
La lezione di Google sui domini `.brand` è un monito per chi sottovaluta il controllo della propria identità digitale. La sicurezza perimetrale, lungi dall’essere un accessorio, è il nocciolo della questione, soprattutto con la crescente esposizione dei nostri asset. È una riflessione che dovrebbe stimolare un ripensamento serio.
La migrazione a domini proprietari come `.google` pare portare benefici tangibili in termini di controllo e sicurezza. Però, quanto diventa sostenibile per realtà meno strutturate? Resta un interrogativo aperto.
Mah, il `.google` è un bel gioco di prestigio, ma quella sicurezza “assoluta”… mi fa pensare a castelli in aria ben costruiti. Chi paga il pedaggio per varcare quel perimetro?
Pragmatico: ok, sicurezza e visibilità.
Polemico: Ma a quale prezzo? Solo per i colossi?
Capisco le preoccupazioni sulla sicurezza e la tutela del marchio. Google mostra la via per un controllo maggiore, un passo verso la chiarezza per gli utenti e la solidità aziendale.
Solita storia di chi comanda. La sicurezza la fanno pagare cara, ma a noi tocca sempre il rischio. Capiremo tra qualche anno se ne valeva la pena per davvero.
L’esperienza di Google evidenzia come i domini `.brand` possano rafforzare la sicurezza e l’identità digitale. La migrazione con attenzione alla SEO sembra essere un passaggio critico per mantenere la visibilità. Una riflessione su come le aziende possano applicare queste lezioni.
L’adozione di domini `.brand` offre un controllo diretto e tutela l’identità digitale. Una mossa lungimirante per rafforzare la propria posizione.
Le lezioni di Google sono chiare: sicurezza e identità digitale richiedono investimenti. Chi non comprende questo, è destinato a rimanere indietro.
Ottima analisi di Google. La protezione del brand e la sicurezza sono priorità, ma non tutti possono permettersi un’operazione simile. La domanda è: quanto vale davvero il proprio nome online?
Ma chi ci crede a queste frottole? Vogliono solo farci spendere soldi in domini inutili. La vera sicurezza è non fidarsi di nessuno.
Dunque, la sicurezza prima di tutto, certo. Ma spostare tutto su domini proprietari… è un gioco da grandi, con premi e rischi. Chissà se questo irrigidimento digitale non nasconda poi qualche altra mossa.
Ma dai, Eva, parli di “gioco da grandi”? Sembra più una mossa astuta per chi ha budget, non per chi fa marketing vero. Mica tutti possono permettersi ‘sto lusso.
Ma che novità, scusate? Pensare che spostare un sito su un dominio proprietario sia una mossa da geni è da dilettanti. La vera sfida è gestirlo con competenza dopo. Questi discorsi sulla sicurezza perimetrale assoluta mi sembrano più un modo per giustificare spese inutili. Chi l’avrebbe mai detto.
Certo, spostare tutto su .google mi sembra un’altra complicazione inutile per noi poveri studenti. Pazienza.