LinkedIn e IA: L’umano batte l’algoritmo nei consigli sul lavoro

Anita Innocenti

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Ecco perché, nonostante l’IA, cerchiamo ancora il consiglio di un collega in carne e ossa, fidandoci più dell’esperienza che dei dati.

Nonostante l'enorme spinta sull'intelligenza artificiale, una ricerca di LinkedIn svela una verità inattesa: il 43% dei professionisti cerca consigli di lavoro da un collega, non da un chatbot o Google. La fiducia nel fattore umano e nell'esperienza personale prevale ancora sulle risposte algoritmiche. Ciò suggerisce che, pur abbracciando la tecnologia, il valore di una connessione umana resta insostituibile nel contesto lavorativo.

Il fattore umano vince (ancora) su macchine e algoritmi

La ricerca parla chiaro: il 43% dei professionisti, quando cerca una dritta, bussa prima alla porta di un collega che a quella di Google o di un’intelligenza artificiale.

La fiducia nel parere di una persona in carne e ossa batte ancora quella riposta in un algoritmo, per quanto sofisticato possa essere.

E quindi?

Significa che, nonostante la tecnologia ci offra risposte immediate, continuiamo a cercare quel filtro umano, quell’esperienza vissuta che nessuna macchina, al momento, può replicare.

Ma la vera domanda è un’altra: perché, con tutta questa tecnologia a portata di mano che promette di darci la soluzione a tutto, continuiamo istintivamente a preferire il confronto con un nostro simile?

Un collega non è un motore di ricerca

La risposta è più semplice di quello che si pensi e ha a che fare con il contesto.

Un collega non ti sputa fuori una lista di dati.

Ti dà una prospettiva.

Conosce le dinamiche dell’ufficio, sa chi è il capo con cui hai a che fare, capisce la tua frustrazione o il tuo entusiasmo perché, molto probabilmente, ci è passato prima di te. È l’esperienza, quella che Google chiama E-E-A-T (Experience, Expertise, Authoritativeness, and Trustworthiness), che fa tutta la differenza del mondo.

Un’intelligenza artificiale può analizzare milioni di dati, ma non potrà mai capire quella sfumatura, quella pausa, quel consiglio non detto che solo un essere umano può cogliere e trasmettere.

E questo ci porta a una riflessione un po’ scomoda.

LinkedIn, che su questi dati ci ha costruito un impero, è davvero sorpresa da questo risultato?

Oppure questa “scoperta” fa parte di una strategia molto più astuta?

La mossa di LinkedIn: semplice statistica o messaggio nascosto?

Non trovi curioso che la stessa piattaforma che sta riempiendo il nostro feed di assistenti AI e strumenti per “ottimizzare” le connessioni, pubblichi una ricerca che, di fatto, ne sminuisce il valore emotivo?

Viene da chiedersi se non sia un modo per giocare su due tavoli. Da un lato, spingono la tecnologia per restare al passo con i tempi. Dall’altro, ci ricordano che il cuore della loro piattaforma, la rete di contatti umani, è ancora insostituibile.

Forse è un modo per dirci: “Usate pure i nostri tool, ma non dimenticatevi che le persone contano di più”. Una mossa brillante per posizionarsi come paladini della connessione umana, pur continuando a vendere tecnologia.

Alla fine, forse, non c’è nulla di cui meravigliarsi. La tecnologia è uno strumento potentissimo, ma il valore di una pacca sulla spalla e di un consiglio sincero, quello, non lo trovi online.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

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