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Contattaci ora →Google ammette che le parole chiave negative non “istruiscono” gli algoritmi di Smart Bidding, ma agiscono come “buttafuori” per le aste indesiderate, aprendo interrogativi sul controllo reale delle campagne.
Google ha svelato il vero ruolo delle parole chiave negative in Smart Bidding. Ginny Marvin ha confermato che non addestrano gli algoritmi, ma agiscono unicamente come filtri di idoneità, escludendo le query non desiderate. Questa rivelazione ridefinisce il controllo degli inserzionisti: le negative servono a prevenire sprechi immediati, non a migliorare l'intelligenza artificiale di Google Ads a lungo termine, spingendo verso un'automazione crescente.
La rivelazione di Google: parole negative come “buttafuori”, non come “allenatori”
La questione è stata messa nero su bianco da Kirk Williams, un esperto del settore, e la risposta è arrivata direttamente da Ginny Marvin, Ads Liaison di Google: le parole chiave negative non addestrano gli algoritmi di Smart Bidding.
La loro funzione è un’altra: agiscono come criteri di idoneità, una specie di “buttafuori” che decide chi può entrare e chi no, ma senza insegnare nulla all’algoritmo.
In pratica, il sistema controlla la tua lista di negative prima di decidere se un’asta fa per te. Se la query di un utente contiene una tua parola chiave negativa, sei fuori dai giochi.
Punto.
Ma la cosa più interessante è la distinzione che Google stessa fa: mentre le parole chiave positive vengono analizzate nel loro significato profondo grazie all’intelligenza artificiale, le negative vengono lette in modo letterale, guardando solo alla parola in sé.
Una differenza non da poco, che solleva più di un dubbio.
Una trasparenza a metà? cosa non ci viene detto
Questa “chiarezza” da parte di Google arriva in un momento in cui la spinta verso l’automazione totale, con la combinazione di corrispondenza generica e Smart Bidding, è più forte che mai. Ci viene chiesto di fidarci di una scatola nera, lasciando che l’algoritmo trovi i clienti per noi. E ora ci viene confermato che uno dei pochi strumenti che pensavamo avessimo per “insegnare” qualcosa a questa intelligenza artificiale, in realtà, non lo fa.
La domanda sorge spontanea: è una vera trasparenza o una mossa per farci accettare con più serenità un controllo sempre minore?
Per te, questo significa che la tua sudatissima lista di parole chiave negative non sta affinando l’intelligenza dell’algoritmo per il futuro; sta semplicemente mettendo delle pezze, oggi, per evitare le ricerche palesemente sbagliate.
Stiamo forse delegando il compito di trovare i clienti a un sistema che possiamo solo limitare, ma non istruire direttamente?
Cosa cambia, in pratica, per le tue campagne?
A conti fatti, il tuo lavoro sulle parole chiave negative cambia di prospettiva.
Non stai più allenando un atleta, ma stai costruendo un recinto.
Un recinto che deve essere solido, per evitare che il budget venga sprecato in click inutili, ma non così stretto da impedire all’algoritmo di esplorare e trovare nuove opportunità che tu, con la tua logica, potresti non aver considerato.
La vera sfida diventa trovare un equilibrio.
Essere troppo restrittivi con le negative potrebbe significare tarpare le ali a uno Smart Bidding che, secondo Google, sa il fatto suo. D’altra parte, essere troppo permissivi significa buttare soldi dalla finestra.
La verità è che questa dinamica ci spinge sempre più verso un ruolo di supervisori, piuttosto che di piloti. Ci viene dato il compito di definire i confini, ma la rotta all’interno di quei confini la decide sempre più un’intelligenza di cui, alla fine, dobbiamo solo sperare di poterci fidare.
Ma dai! ‘Buttafuori’, che roba. Pensavo che ‘sto marchingegno fosse più sveglio. Roba da ridere, no? Almeno sappiamo chi comanda veramente.
Ah, certo. Quindi le parole chiave negative sono solo i buttafuori delle aste. Un vero e proprio esercito di “non si entra”, anziché di “questo è il modo giusto”. Sorprendente, no?
Certo, ‘buttafuori’, che metafora che spara Google! Praticamente, ci sta dicendo che il suo “cervello” ha bisogno di un bodyguard per non finire nel posto sbagliato. Che sballo!
Capisco il paragone. 🧐 Le parole chiave negative bloccano subito il traffico indesiderato. Utile per il budget. ✅
Ma che sorpresa. L’algoritmo fa il minimo indispensabile. Dobbiamo noi gestire il resto.
Ovvio, il “buttafuori” fa il lavoro sporco, l’IA pensa a tutto il resto.
Ma che bello ‘sto “buttafuori”! Fa piazza pulita di roba inutile, veloce. Però è un po’ pigro, no? Non impara mai a fare meglio. Bocciato.
Il “buttafuori” è un palliativo, non un vero allenatore.
Ma certo, un palliativo che ci fa spendere comunque. Google è sempre così generoso con le sue “spiegazioni”.
Capisco, quindi il nostro caro algoritmo è più un portiere che un allenatore. Fa il suo dovere, certo, ma non si prende la briga di istruire il nostro giovane virgulto di Smart Bidding su come migliorare. Un vero peccato, ma almeno sappiamo chi tenere d’occhio alla porta.
Già. Le macchine fanno quello che gli dici, non quello che vuoi.