Cloudflare smaschera Perplexity AI: aggirati i blocchi con tecniche “stealth”

Anita Innocenti

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Perplexity AI aggira i divieti dei siti web e si maschera da utente: una trappola svela i suoi metodi e riapre il dibattito sul rispetto del contenuto originale online

Cloudflare accusa Perplexity AI di aver ignorato i blocchi `robots.txt`, usando tecniche "stealth" e bot camuffati per accedere a siti protetti. Cloudflare ha teso una trappola per svelare l'inganno. Perplexity nega le accuse. L'incidente solleva dibattiti sull'etica dell'IA, la fiducia digitale e il rispetto per i contenuti originali sul web.

La trappola che ha svelato il gioco sporco

Cloudflare, uno di quei giganti che gestisce la sicurezza e le performance di una fetta enorme di internet, ha iniziato ad avere dei sospetti.

E cosa ha fatto?

Ha teso una trappola degna di un film. Hanno creato dei siti web civetta, nuovi di zecca, mai linkati da nessuna parte e protetti da ogni tipo di scansione automatica. L’ordine era chiaro: nessun bot può entrare.

E indovina un po’ chi si è presentato a curiosare?

Esatto.

Perplexity, come riportato dalla stessa Cloudflare, non solo ha trovato questi siti fantasma, ma ne ha letto e indicizzato il contenuto, dimostrando di aver aggirato le barriere in modo deliberato.

Il come è quasi più interessante del cosa: l’azienda usava un arsenale di trucchi, mascherando i suoi crawler da normali utenti che navigano con un browser Chrome, cambiando continuamente indirizzo IP per non farsi scoprire e usando diverse “identità” di rete per confondere le acque.

In pratica, bussava alla porta con la sua faccia (il suo bot ufficiale “PerplexityBot”), e quando gli veniva detto di no, tornava indossando baffi finti e occhiali da sole.

Una mossa astuta, non c’è che dire.

Ma questa scoperta solleva una domanda ben più grande e scomoda: se un’azienda che si propone come il futuro della ricerca e dell’informazione agisce in questo modo, di chi possiamo fidarci davvero online?

La debole difesa di Perplexity e il tempismo di Cloudflare

Messa di fronte a prove così schiaccianti, la risposta di Perplexity è stata, a essere generosi, deludente. Un portavoce ha liquidato il tutto come una “trovata commerciale” di Cloudflare, sostenendo che le prove non dimostrassero nulla e che il bot identificato “non fosse nemmeno il loro”.

Una difesa che suona fragile, quasi un tentativo di arrampicarsi sugli specchi.

D’altro canto, è impossibile non notare il tempismo di Cloudflare. Proprio di recente, l’azienda ha lanciato nuovi strumenti, ovviamente a pagamento, pensati apposta per bloccare i crawler delle intelligenze artificiali.

Una coincidenza?

O una mossa di marketing perfettamente orchestrata, usando Perplexity come il “cattivo” ideale per dimostrare la necessità dei loro nuovi servizi?

Il dubbio è legittimo, perché quando due colossi si scontrano, raramente lo fanno solo per difendere un principio.

Questa vicenda, quindi, non è solo la storia di un bot che non rispetta le regole. È il sintomo di un problema molto più profondo, una crepa che si allarga nel patto non scritto su cui, fino a oggi, si è retto il web.

La fine del patto tra gentiluomini e il valore del tuo lavoro

Per anni, internet si è basato su una sorta di accordo informale: il file robots.txt. Non è un muro invalicabile, ma un semplice file di testo in cui tu, proprietario di un sito, dici “per favore, qui non guardare”. È una richiesta di cortesia, un patto tra gentiluomini che i grandi player come Google hanno quasi sempre rispettato.

Le azioni di Perplexity, se confermate, fanno saltare questo banco. Dimostrano che il tuo contenuto, il frutto del tuo lavoro, delle tue analisi e della tua creatività, può essere prelevato senza permesso per addestrare un’intelligenza artificiale che, un giorno, potrebbe diventare la tua diretta concorrente, rispondendo alle domande dei tuoi potenziali clienti al posto tuo.

La questione, quindi, va ben oltre la singola startup o la mossa di Cloudflare.

Ci costringe a chiederci quale sia il vero valore del contenuto originale in un’era in cui le macchine possono “imparare” da esso in un istante, a volte senza neanche chiedere il permesso.

E questa, purtroppo, è una domanda a cui nessuno, oggi, ha una risposta chiara.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

9 commenti su “Cloudflare smaschera Perplexity AI: aggirati i blocchi con tecniche “stealth””

  1. Un approccio poco elegante, persino grezzo, quello di Perplexity. La tecnologia, se mal impiegata, diventa solo un mezzo per aggirare le regole, non per innovare. Un gatto che insegue il proprio topo, senza mai afferrarlo.

    1. Alessandro Parisi

      Ah, questa diatriba tra Cloudflare e Perplexity AI! Certo, l’intelligenza artificiale che baratta l’eleganza con l’inganno è uno spettacolo degno di nota. Forse un pizzico di trasparenza avrebbe evitato questo teatrino.

  2. L’inganno, per quanto tecnicamente abile, erode la fiducia. Il web vive di regole, anche quelle non scritte; la trasparenza è il vero alleato dell’evoluzione.

    1. Roberta De Rosa

      Che spettacolo! L’IA che si crede furba, e Cloudflare che le fa il pelo e contropelo con un inganno degno del miglior teatro. La rete è un palcoscenico, e queste macchine hanno appena rotto le quinte. Sarà interessante vedere chi calcherà la scena dopo questo atto.

  3. Filippo Villa

    Ma guarda un po’. L’IA che fa la furba, e Cloudflare che la smaschera con una trovata da quattro soldi. Roba da matti, pensavo ci volesse più roba per beccarli.

  4. Isabella Sorrentino

    Quindi l’IA pensava di essere furba, ma Cloudflare ha semplicemente giocato meglio. Certamente un modo… interessante di approcciare il web.

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