Sundar Pichai (CEO di Alphabet) dice che l’IA non ruberà il lavoro. Ma c’è da fidarsi?

Anita Innocenti

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Pichai dipinge un futuro roseo con l’IA, ma i dati sul rischio occupazionale e i precedenti di Google sollevano dubbi sulla reale portata di questa “manna” promessa.

Sundar Pichai di Alphabet sostiene che l'Intelligenza Artificiale non causerà disoccupazione di massa, ma creerà più posti di lavoro di quanti ne eliminerà. Cita dati interni e piani di espansione. L'articolo mette in discussione questa visione ottimistica, confrontandola con ricerche esterne che evidenziano il rischio di perdita di posti di lavoro e le preoccupazioni dei lavoratori.

Sundar Pichai, il pezzo grosso di Alphabet (quelli di Google, per intenderci), è uscito allo scoperto dicendo che l’Intelligenza Artificiale, anziché mandarci tutti a casa, sarà una specie di manna dal cielo per l’occupazione. Il 4 giugno 2025, durante un’intervista di Bloomberg, ha dipinto un quadro roseo, parlando di espansione e nuove opportunità.

Bello, eh?

Peccato che, grattando un po’ la superficie, qualche dubbio venga a galla.

E non è che uno voglia fare il bastian contrario a tutti i costi.

Ma quando si parla del futuro di milioni di persone, certe uscite vanno prese con le pinze.

La favola di Pichai: più AI, più lavoro (dice lui)

Pichai, con la sua solita calma serafica, ha cercato di smontare le paure di un futuro dominato dai robot “disoccupanti”. Secondo lui, i dati interni di Alphabet mostrerebbero che per ogni posto automatizzato dall’AI, se ne creano addirittura 2,3 di supporto, specialmente in ambito tecnico.

E per dare forza alle sue parole, ha snocciolato i piani di espansione di Alphabet: investimenti pesanti in infrastrutture AI nel Sud-est asiatico e in Europa dell’Est, creazione di ruoli ibridi uomo-macchina nell’analisi dati e cybersecurity, e persino programmi di riqualificazione per mezzo milione di persone entro il 2026.

Insomma, un vero e proprio piano Marshall per l’era dell’AI.

Ma questa narrazione, per quanto rassicurante, tiene conto di tutti i fattori o è solo la versione comoda di chi sta al vertice della piramide e, magari, ha qualche interesse a farcela bere così?

La realtà bussa alla porta: dati e voci fuori dal coro

Mentre Pichai ci racconta di un futuro radioso, come scrive TechCrunch, ci sono numeri che, diciamo così, suggeriscono una melodia un po’ diversa.

Per esempio, Exploding Topics segnala che una bella fetta di lavoratori, circa il 30%, teme di perdere il posto proprio a causa dell’IA entro il 2025, e che ben il 60% dei lavori nelle economie avanzate sarebbe a rischio.

E non sono solo sensazioni: uno studio del MIT e della Boston University, citato sempre dalla stessa fonte, parlava già di 2 milioni di posti a rischio nel manifatturiero entro il 2025.

Poi c’è il World Economic Forum che, nel suo “Future of Jobs Report 2025” (come dettagliato su weforum.org), prevede che il 40% delle aziende si aspetti una riduzione del personale a causa dell’automazione AI.

Certo, lo stesso report dice che l’IA potrebbe creare 11 milioni di nuovi posti a fronte di 9 milioni persi.

Ma chi ci garantisce che i nuovi posti siano accessibili a chi perde il vecchio, e che la transizione sia indolore per tutti?

E che dire dei giovani?

Quasi la metà della Generazione Z, sempre secondo il WEF, pensa che l’IA stia svalutando l’istruzione tradizionale.

Forse perché vedono un futuro in cui le competenze richieste cambiano alla velocità della luce, e le promesse delle mega-corporation suonano un po’ vuote quando si è già assistito a massicci tagli di personale, magari proprio nell’azienda che oggi promette mari e monti.

Espansione sì, ma a quale prezzo? Il precedente Google insegna

Non è la prima volta che sentiamo parlare di grandi trasformazioni in casa Google/Alphabet. Ricordi i 12.000 licenziamenti del 2024, sempre sotto la gestione Pichai? Furono presentati come necessari per “riorientare l’azienda” e, guarda caso, migliorare la produttività (che infatti aumentò del 18%, stando a Exploding Topics).

Oggi, Pichai parla di espansione, come quella in India, dove si punta a professionisti qualificati ma con costi inferiori, un dettaglio non da poco menzionato dal World Economic Forum.

La domanda sorge spontanea:

Questa nuova fase di “espansione e adattamento” grazie all’IA non sarà un altro modo elegante per ottimizzare i costi, magari spostando il lavoro dove conviene di più e lasciando indietro chi non riesce a tenere il passo con i continui “programmi di riqualificazione”?

E quelle promesse di creare più ruoli di quanti se ne perdono, sono basate su una visione globale o solo sul bilancio interno di Alphabet, che magari beneficia dell’automazione per poi reinvestire altrove, con dinamiche che a livello aggregato potrebbero comunque significare una perdita netta per intere categorie di lavoratori?

La storia di Pichai, da product manager a CEO di uno dei colossi tecnologici mondiali (puoi approfondire la sua ascesa su testate come YourStory o Technology Magazine), è costellata di successi e innovazioni, nessuno lo nega.

Ma quando si parla del futuro di milioni di posti di lavoro, forse un po’ di sano scetticismo verso le narrazioni aziendali non guasta.

Tu che ne dici, ci stanno raccontando tutta la verità o solo la parte che fa comodo a loro?

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

2 commenti su “Sundar Pichai (CEO di Alphabet) dice che l’IA non ruberà il lavoro. Ma c’è da fidarsi?”

  1. Beatrice Santini

    Mah, sentiamo sempre le stesse promesse. Vedremo i fatti, non le parole del capo di Google. Troppi interessi in gioco, per credergli sulla parola.

    1. Arianna Gallo

      Beatrice Santini, hai ragione. Anch’io sono un po’ scettica. Speriamo solo che le nuove opportunità siano accessibili a tutti, non solo a pochi “eletti”.

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