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La decisione sul “fair use” premia Anthropic, ma l’origine dei dati di addestramento solleva dubbi etici e legali sulla pirateria e il diritto d’autore
Anthropic ottiene il via libera per l'addestramento AI usando libri protetti da copyright in base al 'fair use'. Emerge però che gran parte del materiale proverrebbe da siti pirata. La decisione del giudice è accolta con amarezza dagli autori, sollevando interrogativi etici e legali sul futuro dell'intelligenza artificiale e del diritto d'autore.
Il giudice dice sì al “fair use”, ma davvero ci crediamo?
Il giudice federale William Alsup ha stabilito che l’utilizzo di questi testi per allenare l’AI rientra nel “fair use” perché, a suo dire, si tratta di un “uso trasformativo”.
L’idea è che l’AI non si limita a copiare, ma crea “nuova informazione, nuove estetiche e nuove intuizioni”.
Bella motivazione, vero?
Peccato che, mentre i colossi dell’AI magari stappano champagne, gli autori di quei libri si sentano presi un po’ in giro, visto che le loro opere sono state usate senza consenso e, soprattutto, senza un centesimo di compenso.
Ma la vera domanda è: questa “trasformazione” giustifica davvero l’utilizzo di materiale altrui a man bassa?
Il punto è che, anche se il “fair use” è stato concesso, Anthropic non è affatto fuori dai guai, come dice The Verge.
Anzi.
C’è un dettaglio non da poco che pende sulla sua testa come una spada di Damocle.
Il peccato originale: libri piratati a camionate
E qui casca l’asino, perché salta fuori che Anthropic non si è fatta troppi scrupoli sulla provenienza di questi libri.
Parliamo di cifre da capogiro: Ben Mann, co-fondatore dell’azienda, avrebbe scaricato la bellezza di 196.640 libri dalla famigerata repository pirata Books3 già nel 2021, per poi aggiungere al “bottino” oltre 7 milioni di altri testi da siti come LibGen e PiLiMi, come riportato da Simon Willison nel suo blog.
E non pensare che in Anthropic fossero all’oscuro di tutto: pare che i vertici sapessero benissimo che queste fonti pullulavano di materiale non autorizzato.
Quindi, da un lato abbiamo un giudice che parla di “uso trasformativo”, dall’altro un’azienda che attinge a piene mani da librerie pirata.
Non ti sembra ci sia qualcosa che non torna?
Questa faccenda della pirateria, infatti, non è affatto chiusa e le conseguenze potrebbero essere pesanti.
Ma cosa significa tutto questo per il futuro dell’AI e per chi, come te, lavora onestamente con i contenuti?
Un futuro incerto: tra innovazione forzata e diritti calpestati
Questa sentenza, anche se parziale, è la prima del suo genere e potrebbe fare da apripista per altri casi simili, come quelli che vedono coinvolte OpenAI e Stability AI. Gli autori, ovviamente, non ci stanno e continuano a denunciare il danno economico e il fatto che i modelli AI a volte “sputano fuori” porzioni di testo quasi identiche alle loro opere.
Addirittura, per aggirare i controlli sul copyright digitale, in Anthropic compravano libri fisici, li smembravano e li scansionavano, come evidenziato da più fonti tra cui PetaPixel.
Una strategia che, onestamente, getta un’ombra sinistra sull’etica di queste operazioni multimiliardarie.
Quindi, mentre da un lato si esalta l’innovazione a tutti i costi, dall’altro ci si chiede se sia accettabile che questa sia costruita sulle spalle – e sulle opere – di chi crea, spesso senza nemmeno un grazie.
La partita è ancora apertissima e, con ogni probabilità, la parola dovrà passare ai legislatori per tentare di mettere un freno a questo Far West digitale, prima che sia troppo tardi per i fondamentali del diritto d’autore.
Certo, ecco il commento:
Assurdo! “Fair use” basato sulla pirateria? Mi sembra un’enorme presa in giro per chi crea contenuti. Spero solo che gli autori trovino un modo per tutelarsi.