SEO Confidential – La nostra intervista esclusiva a Ina Toncheva, consulente di content marketing per l’IA

Nell’era delle risposte agentiche e dei motori IA, essere “trovabili” non basta, bisogna diventare parte delle conversazioni che portano alla decisione d’acquisto

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Rieccoci su SEO Confidential, la rubrica in cui i maggiori esperti internazionali di posizionamento condividono analisi, strategie e visioni sul futuro della ricerca online.

Dopo l’incontro con Andrea Volpini, oggi ospitiamo Ina Toncheva, strategist con 18 anni di esperienza, consulente di aziende tech e Fortune 500 e fondatrice di “AI for Content Marketing”, il laboratorio che aiuta i marketer a diventare insostituibili nell’era dell’intelligenza artificiale. Una voce autorevole, che da anni lavora per trasformare l’IA da semplice strumento a vero vantaggio competitivo.

Con Ina parleremo di temi che toccano da vicino ogni imprenditore: cosa significa scrivere contenuti chiari e “leggibili” dall’IA, come cambiano le metriche SEO quando i click non bastano più, e perché la visibilità nei nuovi motori come GPT-5 e Perplexity può determinare il futuro di un brand.

Discuteremo del traffico invisibile che le analytics non misurano, della necessità di nuovi KPI come la visibilità IA, e di come i contenuti possano diventare non solo fonte di traffico, ma strumenti di conversione in un web dove la ricerca è sempre più conversazione.

Con le nostre domande abbiamo voluto andare dritti al punto: spiegare in modo semplice a chi fa impresa temi di grande attualità che incidono direttamente sul business.

Ina ha risposto con chiarezza e pragmatismo, evitando tecnicismi inutili, offrendo spunti preziosi anche a chi non è esperto di SEO o intelligenza artificiale, ma vuole capire cosa sta cambiando e come orientarsi.

E allora bando alle ciance, iniziamo subito!

Ina Toncheva intervistata da Roberto Serra

Essere citati dall’IA è il nuovo KPI del business

Ina, nel tuo ultimo articolo scrivi che “Google premiava la suspense mentre l’IA premia la chiarezza”.

Cosa significa questo per chi ha un blog aziendale che vuole generare vendite? In che modo deve cambiare la scrittura dei contenuti per trasformarli in veri strumenti di conversione nell’era delle AI Overviews?

I blog aziendali sono tutt’altro che morti, ma devono adattarsi al modo in cui le persone ora cercano e consumano le informazioni. Il grande cambiamento è che i contenuti non devono solo servire i lettori umani, ma anche essere strutturati in modo che strumenti di IA come ChatGPT, Perplexity e Google AI Overviews possano facilmente comprenderli e visualizzarli.

In passato, una strategia di blog significava mappare argomenti a parole chiave, personaggi e fasi del funnel. Questo è ancora importante, ma ora c’è una dimensione aggiuntiva: l’ottimizzazione della ricerca IA. I post del blog dovrebbero essere scritti con chiarezza, risposte dirette e strutture che li rendano “elevabili” dai sistemi di IA, in modo che il marchio appaia in quelle conversazioni in cui le decisioni di acquisto avvengono sempre più spesso. In questo modo, il blog diventa non solo una fonte di traffico, ma un vero e proprio strumento di conversione nell’era della ricerca basata sull’IA.

L’AI search riduce i click tradizionali, perché le risposte arrivano direttamente nei risultati o dentro ChatGPT. Per un imprenditore questo significa meno traffico sul sito. Come si misura allora oggi il valore della SEO, se il click non è più l’unico parametro di successo?

Il valore della SEO oggi va oltre i semplici click: conta la visibilità e l’impatto diretto sul business. Per questo gli imprenditori devono osservare i segnali del marchio, come le menzioni online e la domanda di ricerca, che rivelano il livello di consapevolezza anche quando il traffico non appare nei dati.

Un aspetto decisivo è l’efficienza dei costi. La SEO, a differenza della pubblicità a pagamento, abbassa i costi di acquisizione dei clienti e genera ritorni duraturi. Le conversioni restano il punto di riferimento: iscrizioni, lead e vendite sono la prova concreta del valore creato.

C’è poi il tema del “traffico invisibile”: le visite generate dalle risposte delle ricerche basate su intelligenza artificiale, difficili da tracciare con gli strumenti tradizionali. Per questo diventa essenziale misurare anche la visibilità IA, cioè la frequenza con cui un marchio compare all’interno di questi nuovi scenari di ricerca.

Tu parli di Answer Engine Optimization (AEO) come estensione della SEO classica. Quali sono gli aspetti tecnici o strategici che ritieni più urgenti per un’azienda che vuole restare competitiva tra Google, Perplexity e ChatGPT search?

A mio avviso ci sono tre aspetti prioritari per restare competitivi su Google, Perplexity e ChatGPT.

Il primo riguarda la struttura dei contenuti: aprire con una risposta sintetica di 40-60 parole, usare titoli formulati come domande e organizzare le sezioni in modo che possano vivere da sole, così l’intelligenza artificiale ha materiale chiaro da estrarre.

Il secondo è lo schema markup, che oggi è indispensabile: inserire FAQ con cinque-otto domande e risposte, insieme allo schema HowTo, permette di far emergere informazioni dirette e processi passo passo.

E poi ci sono i segnali di autorevolezza, che diventano decisivi: statistiche, casi di studio ed esempi concreti rafforzano la credibilità dei contenuti e aumentano le possibilità di essere citati.

Molti imprenditori temono che l’IA “si prenda” i contenuti senza restituire visibilità al brand. Qual è secondo te il giusto approccio: difendere il traffico organico tradizionale o ripensare del tutto la strategia di presenza digitale per farsi citare e riconoscere dalle IA?

Il traffico organico non sta scomparendo: i siti web continueranno ad avere importanza, soprattutto per gli utenti più coinvolti nel funnel. Ma dobbiamo ampliare la strategia.

Nel 2025 vedremo ancora la maggior parte delle aziende puntare sul traffico organico, con il 50-60% delle attività di marketing concentrate su contenuti, SEO e gestione del sito come hub centrale.

Ma entro il 2026 l’equilibrio cambierà: i marchi dovranno rafforzare la loro presenza al di fuori del sito, sfruttando media e pubbliche relazioni, collaborazioni come guest post, la voce delle persone sui social – non solo le pagine aziendali – e persino community come Reddit.

Non significa abbandonare il traffico organico, ma affiancarlo a una presenza digitale più ampia, che renda il marchio più visibile e soprattutto più facilmente citabile dai sistemi di intelligenza artificiale.

GPT-5 non si limita a mostrare i primi risultati di Google, ma li filtra e li riorganizza seguendo criteri propri. Questo, per forza di cose, ridurrà il peso del ranking tradizionale, non pensi?

Secondo te per un’azienda che investe in SEO qual è la priorità (se c’è): essere in cima su Google o farsi riconoscere come fonte affidabile dalle IA?

Non è una questione di scegliere l’uno o l’altro, ma di farli convivere. Il posizionamento su Google rimane centrale, perché i segnali che arrivano da lì influenzano il modo in cui i sistemi di intelligenza artificiale valutano e selezionano le fonti.

Allo stesso tempo le aziende devono iniziare a pensare a una vera strategia di ricerca basata sull’IA: contenuti chiari, affidabili e strutturati in modo che possano essere facilmente riconosciuti e citati. In pratica, la SEO rimane la base, ma il passo successivo è diventare una fonte credibile per l’IA: è questo che rende i contenuti davvero a prova di futuro.

Sempre più spesso si parla di contenuti che aiutano l’utente a completare un compito e di brand che costruiscono una vera e propria “personalità” per farsi riconoscere dalle IA. Quanto è importante, secondo te, che le imprese adottino questo approccio per essere citate e ricordate?

Penso che sia un passaggio fondamentale. L’intelligenza artificiale sta iniziando a privilegiare contenuti che non si limitano a rispondere a una domanda, ma che provengono da un marchio con una voce riconoscibile e una personalità chiara.

Quando dietro le idee c’è una persona reale, il contenuto diventa più affidabile e memorabile, ed è questo che spinge le persone a tornare. Non a caso, molti brand stanno già valorizzando figure con un marchio personale forte: in un contesto saturo di contenuti generici generati dall’IA, fiducia e autenticità diventano il vero fattore distintivo.

Google con l’AI Mode ha smantellato l’idea stessa di ranking universale: niente più lista di dieci link blu, ma risposte agentiche e iper-personalizzate. Secondo te, Ina, come deve cambiare il modo in cui un’azienda misura la propria visibilità online e il ritorno sugli investimenti in SEO?

Le aziende devono inserire la visibilità IA tra i KPI, accanto alle metriche SEO classiche. Non parliamo di un dettaglio marginale, ma di un segnale che indica quante volte il marchio viene scelto e citato dalle risposte generate dall’intelligenza artificiale.

È un campo ancora giovane, ma già oggi strumenti come Semrush e Ahrefs stanno integrando queste analisi, mentre soluzioni specializzate come RankScale.ai offrono dati più mirati. Non sostituisce la SEO tradizionale: la completa. E diventa essenziale per misurare la reale autorevolezza di un brand in un ecosistema di ricerca che si sta spostando rapidamente verso l’IA.

L’AI Mode non si limita più a leggere intere pagine, ma frammenti di contenuto. Questo rende necessario un ecosistema multimodale fatto di testi, video, podcast e dati strutturati. Quanto diventa strategico per i brand adottare questa visione “a mosaico” dei contenuti per riuscire a emergere nelle sintesi generate dall’IA?

Direi che la visione mosaico dei contenuti è un’ottima idea, ma dobbiamo anche essere realistici: ogni azienda ha risorse limitate. Di solito è meglio scegliere pochi canali, diventare davvero bravi in quelli e iniziare a generare risultati significativi prima di espandersi. Una volta gettate le basi, è possibile passare ad altri formati, soprattutto perché gli strumenti di IA rendono ora la creazione, la registrazione e l’editing di video e audio molto più veloce ed economico.

Un altro modo intelligente per ampliare la propria portata è attraverso i marchi personali dei propri dipendenti: assumere persone che hanno già una forte voce personale e sfruttare quella visibilità per amplificare l’azienda. E non trascurate i talenti nascosti delle persone che già lavorano per voi: se uno di loro ha già un podcast, ad esempio, può diventare il vostro ambasciatore in quello spazio.

I dati mostrano che Google è ancora il canale dominante per la ricerca, ma ChatGPT cresce a doppia cifra e porta traffico referral con conversioni più alte. Dal tuo punto di vista, come dovrebbero interpretare questi numeri le aziende che vogliono vendere online: è davvero una logica di “continenti complementari” o c’è il rischio di spostamenti più radicali nel medio periodo?

Dipende molto dal settore in cui operi. Più il tuo pubblico è esperto di digitale e tecnologia, più è probabile che adotti rapidamente la ricerca IA, il che significa che ChatGPT potrebbe già essere un importante motore di traffico e conversione.

D’altra parte, i settori più tradizionali possono probabilmente contare sul fatto che Google rimarrà il canale dominante ancora per un po’. Quindi, piuttosto che pensare che uno sostituisca l’altro, lo vedo come un cambiamento graduale che avverrà più rapidamente in alcuni settori rispetto ad altri. Infatti, ci sono già siti web che ricevono più traffico da ChatGPT che da Google, un chiaro segnale che per alcuni pubblici l’equilibrio sta iniziando a cambiare.

Su Google l’utente cerca in modo rapido e frammentato, mentre su ChatGPT la ricerca diventa una conversazione lunga e contestualizzata, che spesso porta a clienti già pronti all’acquisto. Secondo te, come deve cambiare la strategia di contenuti per intercettare questi due comportamenti così diversi e trasformarli entrambi in conversioni concrete?

Su Google, i contenuti devono ancora essere ottimizzati per la velocità: risposte chiare, snippet efficaci e pagine che risolvono rapidamente un problema specifico. È così che si cattura l’attenzione in un percorso di ricerca frammentato.

Su ChatGPT, la dinamica è diversa: le persone sono coinvolte in una conversazione più lunga e contestualizzata e spesso più vicine a prendere una decisione. In questo caso, i tuoi contenuti dovrebbero funzionare più come una guida: strutturati, autorevoli e in grado di creare fiducia, in modo che quando l’IA li riassume o li cita, il tuo marchio appaia come il naturale passo successivo.

La strategia migliore è quella di progettare i contenuti tenendo conto di entrambi i percorsi: creare punti di accesso rapidi e facilmente fruibili per Google, ma anche sviluppare risorse approfondite e altamente affidabili che ti posizionino come la scelta ovvia nelle conversazioni guidate dall’IA.

Insieme, alimentano sia la scoperta che la decisione, trasformando la ricerca in conversioni da diverse angolazioni.

Confronto ChatGPT e Google, fonte Semrush

Google oggi fornisce sempre meno trasparenza sui dati realmente utili ai professionisti SEO. Se in Search Console non è possibile distinguere il traffico proveniente da AI Overviews da quello generato da AI Mode, come si possono prendere decisioni consapevoli? E, soprattutto, quale valore può avere una strategia SEO senza le metriche necessarie per sostenerla?

È vero, Google offre ora meno trasparenza, quindi è più difficile separare la ricerca classica, le AI Overviews e AI Mode. Ma questo non significa che la SEO perda valore, cambia solo il modo in cui la misuriamo.

Invece di affidarsi solo ai numeri di Google, le aziende dovrebbero monitorare la visibilità IA con strumenti esterni, condurre esperimenti per testare ciò che funziona e concentrarsi sui risultati finali come la ricerca del marchio, i lead e le conversioni.

In fondo la SEO ha sempre avuto un obiettivo chiaro: garantire visibilità e affidabilità quando le persone cercano informazioni. Anche con dati incompleti, la SEO resta uno strumento che riduce i costi di acquisizione e sostiene la crescita.

Oggi il compito dei professionisti è proprio questo: interpretare segnali frammentari, sperimentare e assicurare che il marchio rimanga rilevante in un ecosistema di ricerca sempre più modellato dall’intelligenza artificiale.

La SEO è la base, diventare fonte autorevole per l’IA è il passo successivo

L’intervista con Ina Toncheva ci ricorda una verità che troppo spesso viene taciuta: i concetti complessi possono essere spiegati chiaramente.

Ci sono temi oggettivamente non semplici che riguardano la SEO e l’intelligenza artificiale, ed è giusto riconoscerne la densità.

Ma quando questa complessità si trasforma in un labirinto di formule incomprensibili, di tecnicismi esibiti come barriere linguistiche, allora siamo davanti al vecchio vizio degli “azzeccagarbugli” dei Promessi Sposi: complicare ciò che potrebbe essere spiegato in modo limpido, o perché non lo si è capito davvero, o perché non si vuole che gli altri capiscano.

Noi con SEO Confidential, e con la collaborazione di esperti come Ina, scegliamo un’altra strada: spiegare chiaramente senza banalizzare.

Portare alla luce concetti stratificati e sfaccettati, ma renderli leggibili e immediatamente utili per chi fa impresa. Perché un imprenditore non deve diventare un tecnico della SEO o un ingegnere di intelligenza artificiale, ma deve poter cogliere l’impatto che questi cambiamenti hanno sul suo business, sulle vendite e sulle conversioni.

Il vero valore sta qui: non nel moltiplicare sigle e acronimi, ma nel trasformare le tendenze tecnologiche in indicazioni concrete, in scelte di strategia che parlino la lingua delle imprese.

Perché oggi la partita si gioca su due fronti: da un lato la contrazione del traffico organico, dall’altro la necessità di essere riconosciuti come fonti affidabili nelle nuove sintesi generate dall’IA.

La lezione che emerge da questa conversazione è chiara: la SEO del futuro non sarà un arsenale di tecniche, ma un lavoro di reputazione digitale, credibilità e coerenza. Un lavoro che richiede di sapere interpretare i segnali, sperimentare con metodo e costruire contenuti capaci di resistere al riassunto delle macchine senza perdere autorevolezza.

Ringraziamo Ina per averci aiutato a guardare oltre le metriche e i ranking, con risposte semplici e dirette, proprio come vogliamo fare qui su SEO Confidential.

Alla prossima puntata! Preparati: avremo un altro ospite imperdibile…

#avantitutta 🚀

Roberto Serra

Mi chiamo Roberto Serra e sono un digital marketer con una forte passione per la SEO: Mi occupo di posizionamento sui motori di ricerca, strategia digitale e creazione di contenuti.

9 commenti su “SEO Confidential – La nostra intervista esclusiva a Ina Toncheva, consulente di content marketing per l’IA”

  1. Ma certo, parliamoci chiaro: “diventare parte delle conversazioni” suona bene, ma chi ha tempo di studiare ‘sta roba? Io devo pur vendere qualcosa, non fare l’assistente dell’algoritmo. Speriamo che non ci chiedano di diventare poeti per l’IA.

  2. Nicolò Sorrentino

    Ottimo punto. L’IA sta riscrivendo le regole della visibilità, ma l’essenza rimane: creare valore. Se non si è utili all’utente (e quindi all’IA), si scompare. Bisogna essere pronti a questo cambio di passo, ora.

  3. Alessandro Lombardi

    Le risposte agentiche cambiano tutto. Se il contenuto non è comprensibile dall’IA, è come se non esistesse. Bisogna adeguarsi o si perde il treno.

    1. Giuseppina Negri

      Solita teoria. L’IA cambia le regole, ma alla fine sempre di visibilità si tratta. Se non capiscono cosa scrivi, sei invisibile. Non ci vedo grandi novità, solo un altro modo per complicare le cose.

  4. Ancora questa storia del “diventare parte delle conversazioni”? Ma siamo seri? Io devo fare il mio lavoro tecnico, non fare il chiacchierone digitale! Se l’IA non riesce a trovare una cosa ben indicizzata, il problema è suo, non mio. E queste metriche… ma chi le capisce più?

  5. Solita storia, si parla di futuro ma alla fine si torna sempre a vendere. L’IA fa pure comodo per nascondere la polvere sotto il tappeto, ma il succo è sempre lo stesso: chi ha i soldi comanda. Quando la smetteremo di rincorrere queste mode?

    1. La trovabilità nell’IA è un gioco diverso. Non basta più apparire, bisogna inserirsi nelle conversazioni che portano al cliente. Chi capisce questo, sopravvive. Gli altri, beh, sono destinati a sparire. Semplice.

    2. Ma certo, l’IA è solo un altro strumento per chi sa usarlo. Il resto insegue, noi anticipiamo. La vera sfida è trasformare il dato in profitto, non farsi abbagliare dalla tecnologia. Chi non capisce questo è destinato a rimanere indietro.

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