È iniziata la grande mutazione: l’AI Mode di Google ridisegna il rapporto tra contenuti, brand e ricerca

AI Mode, appena attivato in Italia, inaugura una nuova fase in cui Big G decide cosa mostrare, cosa omettere e chi ha davvero voce nel mercato

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📌 TAKE AWAYS

  • Con l’introduzione dell’AI Mode, la ricerca diventa conversazionale e personalizzata: l’IA non si limita a fornire link, ma legge, sintetizza e risponde direttamente all’utente, ricordando il contesto delle interazioni precedenti.
  • Le ricerche zero-click dominano (oltre il 77% delle sessioni), e la visibilità dei link crolla. In questo nuovo scenario, il fattore decisivo è la riconoscibilità del marchio: gli utenti scelgono ciò che già conoscono e considerano affidabile.
  • I contenuti devono essere progettati per essere interpretati, citati e valorizzati dalle macchine. L’obiettivo è costruire un ecosistema proprietario di fiducia – newsletter, community, contenuti esclusivi – per ridurre la dipendenza da Google e affermarsi come fonte autorevole di cui l’IA si fida.
L’AI Mode segna la svolta di Google verso una ricerca conversazionale che privilegia l’autorevolezza dei brand. Le SERP diventano spazi interattivi a “zero click”.
Per emergere serve fiducia, reputazione e contenuti leggibili dall’IA.

Ci siamo. Dopo mesi passati a osservare gli effetti dell’AI Mode da una distanza di sicurezza, ora questa nuova funzionalità ha finalmente raggiunto le coste italiane.

Mentre gli Stati Uniti, da maggio 2025, facevano da cavia in un gigantesco laboratorio a cielo aperto, mostrando al mondo cosa succede quando un motore di ricerca smette di dare link e inizia a dare “sentenze”, noi europei avevamo il lusso (e l’ansia) di prendere appunti.

Perché sia chiaro: non stai assistendo al solito aggiornamento da analizzare con qualche tool e un paio di notti insonni. Questa è una mutazione genetica.

Google sta trasformando la sua storica interfaccia in un’esperienza conversazionale, un motore di sintesi che non si limita più a indicarti la strada, ma ti prende per mano e ti porta direttamente a destinazione, spesso senza nemmeno farti passare dal tuo sito.

La reazione istintiva è una vertigine mista a panico. Ma è qui che entra in gioco il vantaggio di non essere stati i primi e aver potuto così studiare le ripercussioni dell’AI Mode negli USA.

Mentre in Italia serpeggia il panico, il mio lavoro negli ultimi sei mesi è stato condurre un’autopsia fredda e metodica sui dati del mercato americano.

Ho ignorato il rumore di fondo – la corsa all’ultimo “trick”, la SEO che si traveste da chiromanzia – per concentrarmi su una sola cosa: il nuovo modello operativo che questa trasformazione impone.

In questi mesi ho decodificato le metriche che contano davvero, oggi che il click è diventato un lusso e la visibilità è sempre più un concetto astratto.

Perché la domanda che devi porti non è “come recupero il mio posto su Google?”.

Quella è una domanda obsoleta, figlia di un paradigma giurassico.

Le vere domande sono: qual è il tuo valore, quando la risposta è già stata data da qualcun altro?

E soprattutto: come diventare quella risposta?

Da motore di ricerca a motore di risposta: la rivoluzione di Mountain View è servita

Per capire la portata del cambiamento, è necessario ascoltare le parole di chi questa rivoluzione l’ha progettata.

Fino a ieri, il patto con Google era semplice: tu formulavi una domanda e lui ti offriva un elenco di possibili risposte, i famosi link blu. Il lavoro di verifica, confronto e sintesi spettava a te.

Oggi, quel patto è stato riscritto. Anzi: si è rotto, come ci ha detto anche Patrick Stox durante la nostra conversazione.

In un’intervista al Wall Street Journal del 10 ottobre 2025, Liz Reid, la responsabile di Google Search, (ultimamente molto loquace) ha definito l’intelligenza artificiale “il cambiamento più profondo nella storia di Google, persino più di quello verso il mobile”.

L’IA è passata da un ruolo “dietro le quinte”, dove si limitava a ordinare i risultati, a un ruolo da protagonista.

Ciò significa che Google non si limita più a indicarti le fonti.

Ma le legge per te!

L’esperienza è definita da Reid come “stateful”, cioè in grado di ricordare il contesto delle interazioni precedenti.

“Non è come incontrare qualcuno per la prima volta ogni volta che cerchi qualcosa”, spiega Liz Reid.

È un modello che punta a costruire un rapporto continuo e naturale tra utente e motore di ricerca.

AI Mode, secondo Reid, aumenta il numero di ricerche invece di ridurle.

Rendendo più fluido il processo, incoraggia gli utenti a chiedere di più (e questo l’aveva detto anche di AI Overviews…), anche in forma visiva tramite Lens o foto.

Non è, dice, un declino della ricerca ma “un momento di espansione”: un’evoluzione verso un motore più proattivo e personalizzato, capace di rispondere, comprendere e ricordare.

Il vero fondamento di tutto, però, resta la fiducia.

Reid lo chiarisce con forza: AI Mode deve restare ancorato a fonti reali, verificabili, umane.

Per questo Google continuerà a integrare link, citazioni e contenuti editoriali di qualità, garantendo che la ricerca non diventi un sistema chiuso o autoreferenziale.

Beh, visto quello che succede negli Stati Uniti, i dubbi ci sono, ma staremo a vedere…

A specificare meglio questi punti ci ha pensato anche Robby Stein, VP of Product di Google, ospite al Lenny’s Podcast l’11 ottobre 2025.

AI Mode, spiega Stein, è stato progettato specificamente per i bisogni informativi, non per la creatività o la produttività.

A differenza di ChatGPT o Claude, che si propongono come assistenti generalisti, AI Mode nasce per fare ciò che Google ha sempre fatto: fornire informazioni accurate, contestualizzate e verificabili.

La differenza è che ora questo avviene in modo naturale e multimodale: l’utente può chiedere qualunque cosa con linguaggio colloquiale, scattare una foto con Lens, allegare contenuti, fare domande di follow-up e ottenere risposte coerenti e citate.

Secondo Stein, il cuore del prodotto è la combinazione tra la potenza dei modelli Gemini e l’ecosistema dati di Google:

oltre 50 miliardi di prodotti nel grafo dello shopping, aggiornati in tempo reale, 250 milioni di luoghi su Maps, dati economici, scientifici e web costantemente aggiornati e verificati e l’intero contesto del motore di ricerca, che consente di “andare a fondo” e non fermarsi alla risposta sintetica.

Quando l’utente formula una domanda, il modello esegue una “query fan-out”, cioè apre in background decine di ricerche parallele su Google per ottenere risultati aggiornati e pertinenti.

Ogni ricerca è poi abbinata a contenuti web valutati attraverso i segnali di qualità di Google Search, gli stessi usati nel ranking tradizionale: rilevanza, originalità, citazioni, affidabilità delle fonti.

In sostanza, l’IA non inventa risposte, ma usa il motore di ricerca come uno strumento cognitivo.

Per Stein, questa è l’evoluzione naturale di Search.

L’idea che “Google Search stia morendo” è infondata: i dati interni mostrano che la ricerca classica non è in calo, ma si sta espandendo grazie all’IA.

Gli utenti pongono più domande, più complesse, e in più formati. Visual search, Lens e query conversazionali stanno crescendo a ritmi record, con un incremento del 70% anno su anno per Lens.

L’intelligenza artificiale non riduce le ricerche, le moltiplica.

Robby Stein.

AI Mode nasce come evoluzione degli AI Overviews, le sintesi automatiche già visibili in cima ai risultati di ricerca.

Mentre gli Overviews offrono risposte rapide, AI Mode è un ambiente interattivo in cui l’utente può continuare a dialogare, approfondire e navigare tra risorse collegate.

A Mountain View sembrano sicuri: il comportamento dell’utente non sarà più lo stesso.

La ricerca non si ferma alla consultazione di una SERP, ma diventa una conversazione continua dentro un contesto informativo personalizzato e multimodale.

L’utente ha già cambiato abitudini (e forse non te ne sei accorto)

Mentre noi discutiamo del futuro, i tuoi clienti si stanno già adattando.

Un’analisi illuminante condotta da Kevin Indig e Amanda Johnson, pubblicata il 14 ottobre 2025, ha studiato il comportamento di 250 utenti di fronte alla nuova interfaccia di Google.

Studio Growth Memo Kevin Indig su AI Mode 15 ottobre 2025
Growth Memo

I risultati sono un pugno nello stomaco per chiunque viva di traffico organico.

Tieniti forte: l’88% degli utenti guarda prima di tutto il testo generato dall’intelligenza artificiale.

I tuoi amati link blu, posizionati faticosamente in cima alla pagina, sono diventati quasi invisibili, uno sfondo a cui si presta poca attenzione.

I click, quando avvengono, sono quasi esclusivamente transazionali.

L’utente cerca una risposta a una domanda informativa?

Google gliela dà.

L’utente vuole comprare qualcosa?

Allora, e solo allora, clicca, soprattutto sui “Shopping Pack” integrati nella risposta.

Lo studio rivela un dato che fa riflettere: il 77,6% delle sessioni di ricerca si conclude con zero click verso siti esterni.

Ripeto: zero.

Ma c’è di più. In questo nuovo scenario, un fattore si è rivelato più potente di qualsiasi ottimizzazione tecnica: la fiducia nel brand.

Di fronte a una scelta tra prodotti o servizi simili, gli utenti dello studio hanno sistematicamente preferito i marchi che già conoscevano e di cui si fidavano.

“Scelgo Duolingo perché l’ho già usato”, “Non conosco questo marchio… per questo sono titubante”.

Queste sono le frasi che decidono una vendita oggi.

Il tuo obiettivo, quindi, non è più solo “rankare” su Google.

È essere la fonte citata nella sintesi dell’IA e, ancora di più, essere il brand che l’utente sceglie per fiducia, anche quando Google gli presenta alternative.

Ma per farlo non puoi far tutto da solo seguendo improbabili tutorial dal titolo “fai innamorare le IA di te con la GEO in 3 semplici passi”.

Devi rivolgerti a un consulente SEO aggiornato, affinché il nome della tua attività possa diventare sempre più la risposta dei nuovi motori di risposta IA come AI Mode.

Studio Growth Memo Kevin Indig su AI Mode 6 ottobre 2025
Growth Memo
Studio Growth Memo Kevin Indig su AI Mode 6 ottobre 2025
Studio Growth Memo Kevin Indig su AI Mode 6 ottobre 2025

L’IA di Google sta diventando sempre più cannibale?

Sembra tutto fantastico, vero?

Google ci offre risposte perfette e veloci.

Ma c’è un piccolo, scomodo dettaglio.

La tecnologia di Google, per quanto avanzata, ha bisogno di carburante: contenuti di alta qualità, articoli approfonditi, dati verificati.

E dove li trova?

Sui siti degli editori, dei giornalisti, dei creatori di contenuti e, sì, anche sul tuo blog aziendale (ne abbiamo discusso a lungo qui con Barry Adams).

Ecco il paradosso: l’intelligenza artificiale di Google funziona solo grazie al lavoro che tu e milioni di altri fate, ma è la stessa tecnologia che rischia di prosciugare il traffico, i dati e i ricavi da quei siti.

Ricky Sutton, commentatore molto arguto (e sempre molto polemico con Big G), osserva con sarcasmo che Robby Stein parla di “contenuti che contano ancora”, ma “solo se li scrivi per l’IA di Google, non per le persone”…

Al di là delle frecciate di Sutton, a me interessa (e credo proprio anche a te) badare al sodo.

Per cui, indipendentemente dalle posizione pro-Google o anti-Google l’unica cosa importante è questa:

occorre produrre testi chiari, specifici, verificabili, strutturati in modo che una macchina possa digerirli e trasformarli in una risposta sintetica.

Da questo non si sfugge.

Sutton critica aspramente questo nuovo sistema, notando che, così, Google non è più solo un motore di ricerca, ma è diventato il più grande editore del pianeta, uno che non paga i suoi autori ma li cannibalizza.

Non è sbagliato: in questo nuovo status c’è chi sarà penalizzato, specialmente se non continuerà a fare SEO di qualità.

D’altronde Liz Reid stessa ammette che in questo grande gioco ci sono “vincitori e perdenti”.

La domanda allora è: da che parte vuoi stare?

Da chi beneficia del cambiamento o da chi ne subisce solo le ripercussioni più negative?

Come adattare il tuo brand all’era dell’IA

Ok, il quadro è chiaro. Ma non sei qui per lamentarti.

Sei un imprenditore.

Vuoi una soluzione.

La buona notizia è che una strategia esiste.

Non si tratta più di SEO tradizionale.

Come dice Dan Taylor della Salt Agency, l’AI Mode non è “SEO evoluta”, ma un nuovo paradigma di ricerca.

E per orientarsi serve un nuovo manuale di istruzioni.

La prima mossa è smettere di scrivere contenuti pensando solo agli esseri umani.

Devi iniziare a produrre contenuti che le macchine possano capire, citare e considerare affidabili.

Questo non significa riempire le pagine di parole chiave, ma strutturare le informazioni in modo logico e gerarchico. Pensa a ogni tua pagina come a una serie di risposte precise a domande specifiche.

L’IA ragiona per “entità”: il tuo brand, i tuoi prodotti, i tuoi esperti devono essere entità riconoscibili e coerenti su tutto il web.

I dati strutturati (Schema.org) sono il linguaggio che devi usare per presentarti alla macchina, spiegandole chi sei, cosa fai e perché la tua opinione è autorevole.

Ogni risorsa visiva deve essere trattata come un dato strutturato, con metadati e descrizioni che la rendano una risposta essa stessa (è quanto ci ha detto anche Gennaro Cuofano).

Il secondo fronte su cui devi agire è quello della misurazione.

Se continui a guardare solo al traffico organico, prenderai decisioni sbagliate.

Il click non è più l’unica moneta di scambio.

Immagina questo scenario: un utente chiede a Google di confrontare tre soluzioni software, l’IA cita il tuo brand come il migliore per una specifica esigenza, l’utente non clicca, ma due giorni dopo cerca direttamente il tuo nome e acquista.

Secondo i vecchi parametri, è una conversione da traffico “direct”.

In realtà, è una vendita generata dall’IA.

Devi iniziare a misurare ciò che conta davvero: la brand awareness.

Sì, perché il tuo brand deve sapere bene cosa rappresenta (e di conseguenza dev’esser chiaro ai potenziali clienti), come ci ha detto Mordy Oberstein.

Il tuo nuovo obiettivo non è ottenere un click, ma essere citato, essere ricordato, entrare nella rosa dei candidati nella mente del cliente, come è emerso dalla nostra discussione con Michael Archambault.

Questo significa tracciare l’aumento delle ricerche con il tuo nome, le iscrizioni alla newsletter, l’utilizzo di strumenti e calcolatori sul tuo sito, tutti segnali che indicano che l’IA ha lavorato per te.

Tutto questo ci porta al centro della questione: ridurre la tua dipendenza da Google.

Devi costruire una fortezza, un ecosistema di canali di proprietà dove il rapporto con il cliente è diretto, senza intermediari algoritmici.

La tua newsletter non è solo un modo per inviare promozioni: è il tuo canale editoriale personale.

È il luogo dove si consolida la fiducia.

L’obiettivo finale è trasformare gli utenti che l’IA ti “presenta” in membri della tua tribù, fedeli al tuo brand prima che alla comodità di una risposta generata automaticamente.

Diventa la fonte autorevole di cui l’IA si fida!

Siamo di fronte a un bivio.

Puoi vedere l’AI Mode come la fine della ricerca organica come la conosciamo, oppure puoi vederla come un’incredibile opportunità.

La tua visibilità dipende dalla reale autorevolezza e dalla chiarezza dei tuoi contenuti.

Google, nel tentativo di diventare un motore di risposte, sta “involontariamente” premiando i brand che sono vere autorità nel loro campo.

La sfida è diventare la fonte di cui l’IA si fida ciecamente.

Significa produrre contenuti di una qualità così ineccepibile da diventare la risposta definitiva alle domande dei tuoi clienti.

L’AI Mode sta spostando l’obiettivo dalla visibilità all’autorità.

E in questo nuovo gioco, vincerà chi avrà costruito non solo un sito web, ma un brand di cui le persone, e le macchine, non possono fare a meno.

Vuoi capire come diventare un brand di questo tipo?

Rivolgiti alla mia agenzia SEO oggi stesso.


Cosa dice Google sull’AI Mode e le ripercussioni sul tuo brand: domande frequenti

Che cos’è l’AI Mode di Google?

L’AI Mode è la nuova interfaccia conversazionale di Google che trasforma il motore di ricerca in un motore di risposte. Invece di limitarsi a mostrare link, l’IA sintetizza le informazioni da fonti verificate e risponde direttamente all’utente, ricordando il contesto delle ricerche precedenti e offrendo interazioni multimodali tramite testo, immagini o Lens.

In che modo l’AI Mode cambia la SEO e la visibilità dei siti web?

Con l’AI Mode la ricerca diventa sempre più “zero click”: il 77,6% delle sessioni si chiude senza visite a siti esterni. Gli utenti si affidano soprattutto ai brand che conoscono e ritengono affidabili, perciò la visibilità tecnica lascia spazio alla reputazione e alla credibilità del marchio. Oggi il successo non si misura più solo in click, ma nella capacità di essere citati, riconosciuti e ricordati dall’utente e dall’intelligenza artificiale.

Come può un brand adattarsi all’era dell’AI Mode?

Le aziende devono creare contenuti chiari, strutturati e comprensibili per le macchine, utilizzando dati Schema.org, metadati e informazioni verificabili. È essenziale costruire un ecosistema di canali proprietari – come newsletter e community – per ridurre la dipendenza da Google e diventare una fonte autorevole che l’intelligenza artificiale possa citare e valorizzare.

Roberto Serra

Mi chiamo Roberto Serra e sono un digital marketer con una forte passione per la SEO: Mi occupo di posizionamento sui motori di ricerca, strategia digitale e creazione di contenuti.

8 commenti su “È iniziata la grande mutazione: l’AI Mode di Google ridisegna il rapporto tra contenuti, brand e ricerca”

  1. Il pensiero che l’IA possa selezionare i contenuti mi fa sognare ad occhi aperti. Forse la vera magia sarà creare mondi di parole che l’IA stessa non potrà fare a meno di citare.

    1. Ciao a tutti! Sono un po’ perplesso da questo cambiamento. Se l’IA sintetizza e decide cosa mostrare, temo che i contenuti meno “ottimizzati” per le macchine possano passare inosservati. Mi chiedo se questo non penalizzerà la varietà di voci.

  2. Mi sento un po’ persa con tutta questa novità. Se l’IA riassume tutto, cosa succederà ai piccoli blog che fanno fatica a farsi notare? Mi preoccupa un po’ questa concentrazione di potere.

  3. La ricerca conversazionale sposta l’asticella. Costruire autorevolezza diventa primario. Non basta più esserci, occorre essere scelti dall’IA per il valore intrinseco dei contenuti. Dobbiamo puntare a una chiara identità che parli direttamente alle macchine.

  4. Questa “mutazione” è solo l’ennesima mossa di Google per tenersi stretti gli utenti. Se il marchio non conta più, che ci stiamo a fare? Bisogna costruire la propria casa, non affittare da altri.

    1. Massimo Martino

      La visibilità dei link cala drasticamente. La vera sfida ora è costruire valore che l’IA riconosca. La fiducia del brand diventa tutto.

    2. Interessante come cambiano le carte in tavola. Adattarsi significa raccogliere dati per capire come le macchine ci “vedono”, per poi guidare le loro inferenze a nostro favore. La vera sfida ora è diventare quella fonte che l’IA giudica degna di menzione. Chi non capisce questo, è già fuori.

  5. Ma dai, quindi ora Google decide cosa dobbiamo leggere e chi conta davvero? Mi sembra una presa in giro. I brand dovranno correre a creare un loro piccolo regno digitale per non sparire nel nulla. Una vera manovra di potere.

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