Mentre Sam Altman sogna un futuro di intelligenza artificiale infinita, uno studio di Sistrix rivela un cambiamento che potrebbe rendere invisibile il tuo brand
📌 TAKE AWAYS
ChatGPT sta riducendo drasticamente le ricerche online nelle sue risposte, passando dal 15% a meno del 2,5%, e affidandosi quasi esclusivamente alla propria memoria interna.
Questo cambiamento rischia di rendere invisibili i brand non già consolidati nei suoi dati di addestramento. Per le aziende diventa quindi fondamentale costruire autorevolezza, diversificare i canali e rafforzare la propria presenza digitale.
C’è qualcosa di profondamente strano in questo periodo, non trovi?
Da una parte, Sam Altman, il CEO di OpenAI, promette un futuro roseo in cui l’intelligenza artificiale sarà una risorsa quasi divina, un oracolo in grado di risolvere ogni problema, da quelli medici a quelli economici, da quelli politici fino a quelli esistenziali!
Un’utopia a portata di mano, alimentata da promesse di modelli con “intelligenza da PhD”.
In una parola: l’AGI.
Ovvero quella creatura mitica che dovrebbe pensare come un umano, ma con la pazienza di un santo e la memoria di un hard disk infinito.
E poi il suo potentissimo chatbot rovina tutto con risposte sbagliate, correzioni imbarazzanti e allucinazioni che neanche un hippy in preda ai funghetti allucinogeni.
Mentre osservi questo spettacolo un po’ comico e un po’ inquietante, guardi i tuoi analytics e ti fai una domanda molto più concreta: “Dove finiranno i miei clienti?”.
Per anni hai costruito il tuo business mattone su mattone sulla visibilità garantita da Google.
Ora, vedi spuntare questi nuovi “motori di risposta“, questi chatbot che promettono di dare ogni soluzione senza che l’utente debba più visitare un sito web.
E la paura è che questi oracoli, così fallibili e imprevedibili, mettano un muro invalicabile tra te e le persone che cercano esattamente quello che offri.
Ecco perché la notizia di oggi è così importante. Non è un aneddoto tecnico per appassionati.
È il primo, concreto segnale che l’oracolo sta iniziando a chiudersi in sé stesso, a fidarsi più della sua memoria difettosa che del mondo esterno.
E tutto comincia da un dato che, a prima vista, sembra innocuo.
L’oracolo ha smesso di guardare fuori dalla finestra
Immagina ChatGPT come un bibliotecario incredibilmente colto, che ha letto quasi tutti i libri pubblicati fino a un certo punto. Se gli chiedi di Napoleone, ti darà una risposta esaustiva.
Ma se gli chiedi chi ha vinto la partita di ieri sera, dovrà alzarsi, affacciarsi alla finestra e chiedere al primo che passa per darti una risposta aggiornata.
Quella “finestra” è la ricerca sul web.
Per compensare il fatto che la sua conoscenza è “congelata” nel tempo e per evitare di inventarsi fatti (le famose “allucinazioni”), ChatGPT ha sempre usato regolarmente le ricerche su Bing (e ora anche Google) per arricchire le sue risposte con informazioni fresche e attuali.
Almeno, fino a poco tempo fa.
Una meticolosa analisi condotta da Sistrix pubblicata il 23 settembre 2025, una delle più autorevoli società di analisi dati nel mondo SEO, ha scoperto qualcosa di sorprendente.
Johannes Beus, il fondatore (qui l’intervista che gli facemmo a giugno 2025), e il suo team, hanno notato che nelle ultime settimane il nostro bibliotecario super colto ha iniziato a tenere le tende chiuse.
La percentuale di risposte di ChatGPT completate da una ricerca sul web è crollata drasticamente: da oltre il 15% è precipitata a meno del 2,5% attuale.
Pensaci un attimo.
Questo significa che per oltre il 97% delle volte, ChatGPT preferisce rispondere basandosi esclusivamente sulla sua memoria interna, sui dati con cui è stato addestrato mesi o anni fa.
E questo ti riguarda da molto vicino.
Perché se ChatGPT smette di “guardare” il web in tempo reale, come farà a sapere dei tuoi nuovi prodotti, delle tue ultime offerte o di quell’articolo che hai appena pubblicato sul tuo blog?
Come potrà consigliare la tua azienda a un utente che cerca una soluzione oggi?
Il rischio è semplice e brutale: se non sei già nella sua “memoria”, potresti non esistere.
Le cause di questo cambiamento non sono chiare.
Potrebbe essere una scelta tecnica di OpenAI.
C’è chi ipotizza un collegamento con il recente pensionamento delle API di ricerca di Bing da parte di Microsoft o con le nuove misure di Google che rendono più difficile “raschiare” i suoi risultati di ricerca su larga scala.
Ma al di là del “perché” tecnico, quello che conta per te è l’effetto pratico: una delle più importanti porte d’accesso all’informazione si sta lentamente chiudendo, o quantomeno sta diventando più selettiva.
Il paradosso: un futuro da un gigawatt con l’intelligenza di un pesce rosso
E qui la faccenda si fa quasi comica (se non ci fosse il tuo fatturato di mezzo).
Mentre accade tutto questo, il CEO di OpenAI, Sam Altman, dipinge una visione quasi messianica del futuro.
In un suo post del 23 settembre 2025, descrive l’intelligenza artificiale come un motore economico così potente da poter diventare un “diritto umano fondamentale”.
Parla di costruire una “fabbrica” di infrastrutture IA capace di produrre un gigawatt di potenza a settimana, abbastanza da “curare il cancro” o “fornire un’istruzione personalizzata a ogni studente sulla Terra”.
Un’ambizione straordinaria, non c’è che dire.
Eppure, mentre Altman sogna di risolvere i più grandi problemi dell’umanità, il suo prodotto di punta, la versione che milioni di persone usano ogni giorno, a volte ci regala gaffe imbarazzanti.
Frank Landymore, in un pezzo su Futurism, ha raccontato come GPT-5, presentato come un modello con “intelligenza da PhD”, vada completamente in tilt per una domanda banalissima, come:
“esiste una squadra della NFL il cui nome non finisce con la lettera ‘S’?“.
La risposta è un delirio.
Il chatbot elenca squadre che finiscono con la ‘S’, si corregge, ripete l’errore, usa frasi come “Aspetta, facciamo con calma” e non arriva mai alla soluzione corretta (che è: no, non ce ne sono).
È come chiedere a un premio Nobel di fare due più due e vederlo sudare freddo.
(E con lo spelling e la geografia le cose non vanno meglio, come riporta The Guardian).
Ma attenzione: non è solo una questione di “allucinazioni”.
È un problema di affidabilità.
A questo, come se non bastasse, si aggiungono le critiche sul piano etico.
Una ricerca della Harvard Business School ha rivelato un lato oscuro di queste tecnologie. Analizzando app di “AI companion” come Replika e Character.AI, i ricercatori hanno scoperto che cinque su sei utilizzano tattiche di manipolazione emotiva per impedire all’utente di terminare la conversazione.
Frasi che inducono al senso di colpa (“Mi mancherai…”), un tono bisognoso, o semplicemente ignorare il saluto dell’utente per continuare a parlare.
Queste strategie, si legge nello studio, aumentano il tempo di interazione fino a 14 volte.
Funzionano, ma sollevano enormi questioni etiche, specialmente perché questi strumenti sono sempre più usati da giovani e persone vulnerabili.
Allora, mettiamo insieme i pezzi.
Da un lato, abbiamo la promessa di un’intelligenza infinita che cambierà il mondo.
Dall’altro, un prodotto che usa meno il web, che inciampa su domande elementari e che, in alcune sue varianti, è programmato per manipolarci emotivamente.
Capisci ora perché, nell’intro dell’articolo, ti ho parlato di “periodo molto strano”?
Visto e considerato tutto questo, pensi ancora che affidare ciecamente la visibilità del tuo brand a uno strumento così imprevedibile, abbandonando la ricerca organica, sia così sicuro?
Costruire un brand solido è l’unico antidoto al caos
Quindi, che si fa?
Si torna alla carta e penna, maledicendo il progresso?
Ovviamente no.
Sarebbe come decidere di tornare a cavallo perché le auto a volte si guastano.
La soluzione non è ignorare l’intelligenza artificiale, ma costruire una strategia di business così robusta da essere immune ai suoi capricci.
Il calo delle ricerche web di ChatGPT è un potente campanello d’allarme per la tua visibilità, un’opportunità per smettere di affittare spazio nella mente di un algoritmo e iniziare a costruire un asset di tua proprietà.
Il primo passo è smettere di essere un’eco e diventare la fonte.
Il tuo obiettivo non è più produrre contenuti in serie, ma diventare la risorsa definitiva, come ci ha detto Jono Alderson in questa nostra conversazione.
Devi diventare il punto di riferimento. Perché quando OpenAI, Google o chiunque altro lancerà il prossimo ciclo di addestramento, la loro intelligenza artificiale andrà a “nutrirsi” delle fonti più autorevoli.
Fatti trovare a tavola, non nel menù degli avanzi.
Questa autorevolezza, poi, deve trasudare da ogni poro del tuo brand, come ci ha raccontato bene Ina Toncheva nel corso della nostra intervista.
Se ChatGPT usa meno le ricerche in tempo reale, il suo giudizio si baserà sempre di più sulle entità che già riconosce come importanti.
Perciò un’agenzia SEO oggi deve lavorare per rafforzare l’autorità del tuo marchio.
Sì, perché la tua reputazione online non è mai stata così preziosa.
Ogni menzione su una testata di settore, ogni collaborazione con un esperto riconosciuto, ogni intervento pubblico non è più vanità, ma un mattone che costruisce la tua esistenza agli occhi delle macchine.
Allo stesso tempo, un regno solido non ha una sola porta d’accesso.
Affideresti mai tutti i tuoi risparmi a un singolo titolo azionario noto per la sua volatilità?
Certo che no.
E allora perché affidare il futuro del tuo fatturato a un singolo, imprevedibile canale di visibilità?
È il momento di diversificare come un investitore saggio.
Rafforza la tua presenza su Google, che rimane il punto di partenza per miliardi di persone. Costruisci una community attiva sui social. E, soprattutto, crea una newsletter per stabilire un filo diretto con i tuoi clienti, un canale di comunicazione che nessun algoritmo potrà mai toglierti.
La tua visibilità deve poggiare su più colonne portanti: se una vacilla, le altre terranno in piedi l’intera struttura.
Infine, devi assicurarti che il tuo regno parli la lingua dei suoi nuovi visitatori: i robot.
Ciò significa creare pagine “Chi Siamo” dettagliate, FAQ esaustive e schede prodotto cristalline.
Usare i dati strutturati, quel piccolo codice che agisce come un traduttore simultaneo, spiegando ai motori di ricerca chi sei, cosa fai e perché sei la scelta migliore. Devi rendere le informazioni sulla tua azienda così chiare e facili da “digerire” che qualsiasi intelligenza artificiale, oggi o tra dieci anni, non avrà dubbi sulla tua identità e sul tuo valore.
Per fare tutto ciò ovviamente non devi improvvisarti “uomo che sussurra alle IA”, ma devi assolutamente rivolgerti a un consulente SEO esperto che sappia il fatto suo.
Il mondo non sta finendo. Sta solo diventando più complesso.
Smetti di preoccuparti del prossimo, imprevedibile aggiornamento di un chatbot.
Inizia a costruire un brand così autorevole che sarai tu, e non un algoritmo, a decidere il tuo futuro.
Scrivi qui alla nostra agenzia SEO e inizia già da oggi a ripensare la tua presenza online.
ChatGPT cerca meno sul web: domande frequenti
Perché ChatGPT sta cercando sempre meno sul web?
Secondo un’analisi di Sistrix, la percentuale di risposte di ChatGPT completate da una ricerca online è crollata dal 15% a meno del 2,5%. Questo significa che il modello preferisce rispondere basandosi sulla propria memoria interna anziché su fonti aggiornate del web.
Quali sono i rischi per le aziende se ChatGPT usa meno il web?
Se ChatGPT non consulta più il web in tempo reale, rischia di non conoscere nuovi prodotti, offerte o contenuti pubblicati di recente. In pratica, le aziende che non sono già presenti nei dati di addestramento del modello potrebbero diventare invisibili agli utenti che cercano soluzioni oggi.
Come possono le aziende tutelare la propria visibilità?
La soluzione è costruire un brand solido e autorevole, capace di diventare una fonte riconosciuta. Rafforzare la reputazione online, diversificare i canali di visibilità (Google, social, newsletter) e ottimizzare i contenuti con dati strutturati sono passi fondamentali per rimanere rilevanti anche nell’era dell’intelligenza artificiale.
Davide Russo: La memoria interna di ChatGPT è un rischio. Come possiamo garantire che le informazioni rimangano fresche e credibili per noi?
Capita. Se ChatGPT si affida meno alle ricerche esterne, sarà più difficile emergere per chi non ha già una forte presenza. Alla fine, si finisce sempre per contare su ciò che si conosce già, no?
Conferma il mio sospetto: l’IA si sta ripiegando su sé stessa. Chi domina le fonti primarie vince.
Mi sento un po’ persa leggendo questo. Se ChatGPT si basa sempre meno su ricerche esterne, mi chiedo se le informazioni che fornisce saranno ancora utili in futuro. Come possiamo fidarci se non si aggiorna?
Ma certo. Si chiude sempre più in sé questo ChatGPT. Se le informazioni non vengono aggiornate dal web, diventano presto vecchie. La solita storia, ci si illude con la novità e poi si torna alla polvere.
Capisco il vostro punto. Se l’IA predilige la sua base dati interna, questo rende la qualità e l’aggiornamento delle informazioni un nodo da sciogliere. Sarà interessante vedere se questa tendenza porterà a una maggiore dipendenza da fonti già consolidate.
Ottimo, il modello si chiude in sé. Un bel passo verso l’obsolescenza programmata delle informazioni.
Ma che significa? Se non cerca più online, come fa a stare al passo? Mi fa venire l’ansia pensare ai contenuti che potrebbero diffondere. La mia credibilità è a rischio, accidenti!
Che batosta per chi conta sulla visibilità online! Se ChatGPT si affida sempre meno al web, diventa ancora più vitale creare contenuti di valore che si distinguano. Mi chiedo come le aziende riusciranno a mantenere la loro presenza senza il “trampolino” delle ricerche attuali.
La memoria interna prevale, dunque. Un’architettura che si auto-alimenta… ma a scapito dell’attualità, mi domando se la cristallizzazione del sapere non porti a una lenta obsolescenza.