Amazon e Google: tregua armata o vera salvezza per i nostri server?

Anita Innocenti

Le regole del digitale stanno cambiando.

O sei visibile o sei fuori. Noi ti aiutiamo a raggiungere i clienti giusti — quando ti stanno cercando.

Contattaci ora →

Una connessione diretta tra i cloud di Google e Amazon promette di ridurre i tempi di inattività, ma i costi e la complessità di gestione richiedono un’attenta valutazione.

La nuova connessione diretta tra Amazon e Google Cloud promette di rivoluzionare la gestione del downtime, offrendo una soluzione di backup multicloud senza precedenti. Tuttavia, questa tregua tecnica nasconde insidie economiche significative: i costi di egress e la complessità gestionale potrebbero renderla una benedizione solo per le grandi aziende, lasciando le PMI a fare i conti con un'arma a doppio taglio.

Hai presente quella sensazione di vuoto nello stomaco quando il tuo sito va giù? Il server non risponde, la pagina di errore ti fissa beffarda, i clienti chiamano e tu sei lì, impotente, a guardare il fatturato che evapora minuto dopo minuto. Se gestisci un business online, sai esattamente di cosa sto parlando.

Fino a ieri, la soluzione era pregare che il tuo provider cloud (che sia AWS, Google o Azure) risolvesse il problema alla svelta. Ma le cose stanno cambiando, e i due colossi del web sembrano aver deciso di tendersi la mano.

O almeno, questo è quello che ci dicono.

Di recente è emersa una novità tecnica che potrebbe cambiare le carte in tavola per chi vive col terrore del downtime: Google e Amazon hanno reso operativa una connessione diretta tra i loro cloud, una sorta di “ponte” che dovrebbe facilitare enormemente la gestione delle interruzioni. Come scrive Reuters, questa nuova funzionalità mira a rendere il backup multicloud non più un sogno erotico per sistemisti paranoici, ma una realtà concreta e accessibile.

In pratica, Google sta dicendo: “Ehi, se Amazon cade, ti prendo io al volo”.

Ma attenzione, perché non è tutto oro quello che luccica e c’è un dettaglio che devi assolutamente considerare prima di stappare lo spumante.

Quando i giganti si parlano (finalmente)

Cerchiamo di capire cosa significa davvero, senza i tecnicismi incomprensibili che piacciono tanto agli ingegneri. Fino a poco tempo fa, spostare i dati da AWS a Google Cloud in tempo reale per gestire un’emergenza era come cercare di travasare acqua con un cucchiaino mentre la casa bruciava. Era lento, complicato e spesso richiedeva configurazioni che facevano venire il mal di testa solo a guardarle.

Con questa mossa, stiamo assistendo a una semplificazione radicale. Non stiamo parlando di una semplice stretta di mano, ma di un’infrastruttura che permette ai dati di fluire tra i due ecosistemi con una latenza ridotta e una stabilità decisamente superiore.

L’idea è quella di non essere più ostaggio di un singolo fornitore. Se un data center di Amazon in Virginia decide di prendersi una pausa (e sappiamo che succede), il traffico può essere reindirizzato sulle macchine di Google senza che l’utente finale si accorga di nulla, o quasi.

È la fine del vendor lock-in?

Probabilmente no, ma è un passo avanti gigantesco verso la ridondanza vera.

Eppure, mentre tutti applaudono alla resilienza tecnica, c’è un aspetto economico che rischia di passare in secondo piano.

La sicurezza ha un prezzo (e non è basso)

Parliamoci chiaro: Google e Amazon non sono diventati improvvisamente delle onlus che vogliono proteggere il tuo business per pura bontà d’animo. Questa facilità di connessione porta con sé una questione spinosa: i costi.

Mantenere un’infrastruttura ridondante su due cloud diversi significa, banalmente, pagare due affitti. Certo, non pagherai il doppio esatto se configuri tutto bene, ma i costi di data egress (i soldi che ti chiedono per far uscire i dati dal loro cloud) sono ancora una delle voci di spesa più subdole e pesanti nei bilanci IT.

La facilità con cui ora puoi saltare da un cloud all’altro rischia di farti sottovalutare la complessità di gestione.

Non basta premere un bottone.

Devi avere team capaci di gestire due ambienti diversi, due logiche di sicurezza diverse, due sistemi di fatturazione diversi.

La domanda che devi farti non è “posso farlo?”, ma “posso permettermelo?”.

Per una multinazionale, questo link diretto è una benedizione; per una PMI, potrebbe trasformarsi in un salasso inutile se non calcolato al centesimo.

Ma c’è un altro punto critico che mi fa storcere il naso e che riguarda proprio la strategia a lungo termine.

Non è la soluzione magica per tutti

Sento già l’entusiasmo dei reparti marketing che venderanno questa novità come la soluzione definitiva a ogni problema di affidabilità. “Mai più offline!”, strilleranno.

Calma.

Ragioniamo.

Avere un ponte solido tra Google e AWS è fantastico, ma se la tua applicazione è scritta male, se il tuo database non è sincronizzato correttamente o se la tua architettura software è un colabrodo, non c’è collegamento cloud che tenga.

Spostare un problema da un server Amazon a un server Google non lo risolve: lo sposta e basta. Questa novità tecnica è uno strumento potente, ma va maneggiato con cura. Non deve diventare una scusa per non ottimizzare ciò che hai già.

Prima di pensare a strategie multicloud complesse, assicurati che le fondamenta di casa tua siano solide. Altrimenti, stai solo costruendo un’uscita di sicurezza in un edificio che sta crollando su se stesso.

Dunque, ed in sintesi: ottima notizia per la stabilità del web, ma occhio al portafoglio e alla strategia. Non farti abbagliare dalla novità tecnica se prima non hai fatto i conti con la tua realtà aziendale.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Ricevi i migliori aggiornamenti di settore