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Contattaci ora →Tra vulnerabilità, “prompt injection” e monopolio: luci e ombre dell’approccio di Google alla cybersecurity del futuro
Google ha presentato Big Sleep, un'IA che promette di sventare minacce cyber prima che nascano, avendo già neutralizzato una vulnerabilità critica. Mentre l'azienda esalta la proattività di questo strumento, emergono dubbi sulla vulnerabilità delle stesse IA, come Gemini, e sul potenziale rischio di centralizzare la sicurezza globale nelle mani di un'unica entità. È davvero la strada giusta?
Big Sleep, l’IA che (a detta di Google) sventa le minacce prima che nascano
Google ha annunciato con i soliti squilli di tromba la sua iniziativa “Summer of Security”, e il pezzo forte è un agente AI chiamato Big Sleep. La storia che ci raccontano, descritta sul blog ufficiale dell’azienda, è di quelle che fanno notizia: questo strumento, frutto della collaborazione tra DeepMind e gli “cacciatori di bug” di Project Zero, avrebbe scovato e neutralizzato una vulnerabilità critica (identificata come CVE-2025-6965) prima ancora che qualche malintenzionato potesse usarla per un attacco.
In pratica, ha trovato una falla sconosciuta a tutti, perfino a chi ha scritto il software, e l’ha segnalata per la correzione. È la prima volta, dicono, che un’intelligenza artificiale riesce in un’impresa del genere, passando da strumento di difesa a vero e proprio ricercatore di sicurezza proattivo.
Sembra la trama di un film di fantascienza, ma a quanto pare è la nuova realtà che Google sta cercando di imporci. Una realtà dove non siamo più noi a tappare le falle dopo che qualcuno se n’è accorto, ma un’intelligenza autonoma che scandaglia software open source a una velocità impensabile per un essere umano.
Bello, vero?
Forse un po’ troppo per essere vero fino in fondo.
Ma se l’IA ci protegge, chi protegge l’IA?
Mentre da un lato ci mostrano i muscoli con Big Sleep, dall’altro emergono dubbi legittimi sulla solidità di queste stesse intelligenze artificiali. Non è un segreto per nessuno, e come descritto da BleepingComputer, che l’IA di Google, Gemini, è stata essa stessa oggetto di attacchi di “prompt injection”.
Si tratta, in parole povere, della capacità di ingannare l’intelligenza artificiale con istruzioni mascherate per farle compiere azioni dannose o rivelare informazioni che non dovrebbe.
Google assicura di aver rafforzato le difese del modello, ma il punto resta: stiamo affidando la nostra sicurezza a una tecnologia che, per sua natura, è ancora vulnerabile a manipolazioni sofisticate.
La toppa è stata messa, dicono.
Ma la crepa nel muro si è vista, e questo ci porta a una domanda ancora più grande: tutta questa centralizzazione della sicurezza nelle mani di un’unica azienda, che per giunta sta ancora imparando a gestire le sue stesse creature, è davvero la strada giusta da percorrere?
Una strategia di difesa o un nuovo monopolio sulla sicurezza?
L’iniziativa di Google non si ferma a un singolo strumento. Accanto a Big Sleep, vengono presentati altri soldati digitali come Timesketch, potenziato con agenti Sec-Gemini per analizzare incidenti in automatico, e FACADE, un sistema per scovare minacce interne. Il tutto condito da eventi ad alto impatto mediatico come l’AI Cyber Challenge organizzata con DARPA a DEF CON, dove i partecipanti collaboreranno con le IA per difendersi da attacchi simulati.
Non è beneficenza, sia chiaro.
È una mossa strategica per posizionare Google come il perno centrale della sicurezza informatica del futuro, come delineato anche nel loro report Cybersecurity Forecast 2025.
La vera partita non si gioca più solo sulla difesa da un attacco, ma su chi controllerà gli strumenti di quella difesa. Presentandosi come il salvatore che offre soluzioni IA all’avanguardia, Google non sta solo vendendo prodotti, ma sta tentando di diventare l’infrastruttura indispensabile per la sicurezza globale.
E quando un solo attore diventa così dominante, la domanda che devi porti non è più solo se i suoi strumenti funzionano, ma quanto ti costerà, in termini di dipendenza e alternative, affidargli le chiavi di casa?
Google punta sul suo cane da guardia digitale. Speriamo non si addormenti sul lavoro, o peggio, diventi il padrone. Un occhio alla centralizzazione, un altro alle porte sul retro.
Un solo cane da guardia? Mi sembra un po’ un azzardo. La sicurezza globale non può dormire sonni tranquilli con un solo guardiano.
Addormentarsi sulla protezione? Un’idea che lascia perplessi. Affidare la cybersicurezza globale a un’unica entità, per quanto “intelligente”, è un azzardo che puzza di monopolio e apre le porte a scenari ben più inquietanti dell’infezione originaria.
Big Sleep? Spero non si addormenti sul serio. Un solo guardiano, un po’ rischioso, no? Speriamo bene.
Un’IA che sventa minacce, un sogno per la sicurezza, ma il rischio di un unico padrone globale mi fa tremare le ginocchia. La fiducia è un lusso che non possiamo permetterci di concedere alla cieca.
Google fa il suo. Big Sleep? Se funziona, bene. Il resto sono chiacchiere.
Affidare la sicurezza globale a un’IA? Interessante esperimento. Purché non si addormenti nel sonno profondo, la dipendenza da un unico sistema rimane una scelta audace, quasi temeraria.
Google ci aggiunge un altro mattone al suo impero digitale. Vediamo se questa volta funziona.