Le regole del digitale stanno cambiando.
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Contattaci ora →Due intelligenze artificiali, due visioni del mondo: Google AI e ChatGPT divergono radicalmente nelle raccomandazioni di brand, creando nuove sfide per la visibilità online e sollevando interrogativi sulle fonti e i criteri di selezione.
Google AI e ChatGPT divergono nel 61,9% delle raccomandazioni di brand, creando realtà parallele per gli utenti. Google offre più opzioni da diverse fonti (Reddit, YouTube), mentre ChatGPT è selettivo, basandosi spesso su Wikipedia. Questa spaccatura frammenta la visibilità online, obbligando i brand a ripensare le strategie. È emersa una nuova "ottimizzazione per intelligenze artificiali" oltre il tradizionale SEO.
Due mondi paralleli: Google e ChatGPT non si mettono d’accordo
Andando a fondo, la differenza è quasi filosofica.
Da una parte hai l’approccio di Google che, con le sue AI Overviews, tende a sommergerti di opzioni, menzionando in media 6 brand per ogni domanda. Dall’altra, ChatGPT si mostra molto più selettivo, quasi snob, con appena 2,37 menzioni, come registra Search Engine Land.
In pratica, mentre Google ti apre il catalogo intero, ChatGPT sceglie per te una o due opzioni, quando non decide addirittura di non suggerirti proprio nulla, cosa che accade nel 43% dei casi.
Questa discrepanza non è casuale. Riflette due visioni del mondo completamente diverse.
Google punta sulla quantità, forse per non scontentare nessuno e per mostrare la vastità del suo indice. OpenAI, invece, sembra puntare a una risposta più pulita, più diretta, quasi a voler impersonare un esperto che ti dà un consiglio secco.
Ma possiamo davvero fidarci di un esperto così laconico, che spesso omette del tutto le sue fonti?
Il vero problema è che questa frammentazione crea un caos informativo. A seconda di dove chiedi, ottieni una realtà diversa.
E se la tua azienda non è nella cerchia ristretta di ChatGPT, per i suoi utenti, semplicemente non esisti.
La domanda sorge spontanea: chi decide chi entra e chi resta fuori da queste liste?
Strategie opposte e fonti poco trasparenti
La radice del problema sta nel DNA di questi sistemi. Google AI attinge a piene mani dal suo sconfinato indice web, privilegiando la diversità delle fonti, tra cui spiccano Reddit (21%) e YouTube (18,8%).
Sembra voler dare voce a un coro più ampio, pescando da discussioni online e contenuti video, forse nel tentativo di apparire più “vicino” alle conversazioni reali degli utenti.
ChatGPT, al contrario, ha le sue fonti preferite e non si fa problemi a mostrarlo. Quasi la metà delle sue citazioni proviene da Wikipedia, con un’altra fetta importante da Reddit.
Questo approccio lo rende, da un lato, più enciclopedico e apparentemente autorevole, ma dall’altro solleva un dubbio:
quanto è aggiornata e imparziale un’intelligenza artificiale che si basa così tanto su un’unica tipologia di fonte?
Si rischia di creare una camera dell’eco, dove vengono premiati sempre gli stessi nomi, quelli già consolidati e presenti sulle pagine di Wikipedia.
Questa differenza di “dieta informativa” spiega perché i risultati siano così diversi. Non stanno guardando il mondo con gli stessi occhi e, di conseguenza, non te lo raccontano allo stesso modo.
Un brand forte su YouTube potrebbe dominare su Google AI ma essere invisibile su ChatGPT.
E tutto questo accade dietro le quinte, senza che tu te ne accorga.
Un nuovo campo di battaglia per i brand
A questo punto, è chiaro che non stiamo più parlando del classico SEO. Quella che si sta delineando è una nuova disciplina, una sorta di “ottimizzazione per intelligenze artificiali”, dove non basta più piacere a Google Search.
Ora devi piacere a più “entità”, ognuna con i suoi gusti e i suoi pregiudizi algoritmici. I brand sono costretti a entrare in un nuovo campo di battaglia, molto più complesso e frammentato di prima.
Le vecchie regole non bastano più.
Essere primi su Google non garantisce di essere suggeriti da un’AI, che sia quella di Google stessa o quella di un competitor. Questo significa che le aziende devono ripensare da zero la loro presenza online, creando contenuti che possano essere “digeriti” e apprezzati da sistemi diversi, con logiche diverse.
Diciamocelo, questa non è una semplificazione per gli utenti o per le aziende.
È una complicazione creata dai giganti della tecnologia nella loro corsa all’oro dell’AI. Una corsa che rischia di lasciare indietro chi non ha le risorse per giocare su più tavoli contemporaneamente, favorendo ancora una volta i soliti noti e rendendo la visibilità online una sfida sempre più costosa e difficile da decifrare.
Il dato sulla divergenza è tangibile. Per un marketer, questo impone una ricalibrazione sui punti di contatto. La sovraesposizione su un fronte e la selettività sull’altro richiedono approcci mirati. Come pensate di gestire questa duplice esposizione?
Ammetto una certa perplessità. Se nemmeno le IA concordano sui brand, come facciamo a fidarci delle loro “raccomandazioni”?
Capisco il punto: queste differenze tra Google AI e ChatGPT creano un quadro diverso per i brand. Mi chiedo come riusciremo a navigare tra queste due “realtà” per farci notare.
Questa frammentazione di visibilità mi frustra. Come fa un brand a farsi trovare se le IA scelgono percorsi così opposti?
Ma figurati, è il solito trucco per farci impazzire dietro a nuove regole. Alla fine, solo chi non capisce il sistema ne viene ingannato.
Certo che divergono! Google è un supermercato digitale, ChatGPT un bistrot di nicchia. Il problema è chi poi compra cosa, no? Le aziende devono iniziare a pensare a come farsi notare da entrambi, anche se con approcci diversi. Altrimenti, chi resta fuori dal giro?
Sono un po’ preoccupata da questa divergenza. Come possiamo garantire coerenza se le IA danno consigli così diversi sui brand? Mi chiedo come si posizioneranno i brand da ora in poi.
Ma figuriamoci. Google ti rifila di tutto, ChatGPT fa lo schizzinoso. Ormai i brand devono pure pregare un algoritmo per farsi notare. Ridicolo.
La divergenza tra Google AI e ChatGPT nelle raccomandazioni di brand è un dato oggettivo. Se un brand vuole essere visibile, deve adattarsi. Chi non capisce questo, è destinato a rimanere nell’ombra. La selezione delle fonti è il nodo del problema.
Questa scissione nelle raccomandazioni tra Google AI e ChatGPT è piuttosto malinconica. Significa che la nostra percezione dei brand sarà sempre più filtrata, personalizzata in modi che non sempre comprendiamo appieno. Mi chiedo se questo frammenterà ulteriormente il tessuto delle opinioni condivise.
Ma guarda un po’, ‘ste IA che si danno i numeri con i brand. Google ti bombarda, ChatGPT fa lo schizzinoso con Wikipedia. Alla fine, siamo noi che dobbiamo capire cosa guardare.
Questa discrepanza nelle raccomandazioni di brand tra Google AI e ChatGPT non è poi così sorprendente. Se ci pensiamo, ognuno ha i suoi algoritmi e le sue fonti preferite. Mi chiedo se, alla lunga, questa differenziazione non finirà per creare nicchie di visibilità completamente separate, quasi silos informativi.
Capisco la differenza nelle raccomandazioni. Google AI cita più fonti, ChatGPT è più selettivo. Questo cambia il modo di farsi trovare online. Come dovrebbe adattarsi un brand a queste due realtà così diverse?
La divergenza delle IA nelle raccomandazioni di brand è un dato rilevante. L’ampiezza delle fonti di Google contrapposta alla selettività di ChatGPT impone nuove considerazioni per la presenza online. Come possono le aziende creare un approccio coerente a queste differenti prospettive?
Ma figurati se le AI sanno consigliare bene un brand! Dati così dissimili lasciano perplessi: come pensate che i brand si orientino in questo caos?