Meta vince sul copyright, ma il giudice smorza subito gli entusiasmi di Zuckerberg

Anita Innocenti

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La decisione del tribunale non dà il via libera totale a Meta, aprendo interrogativi sul futuro del fair use e sui diritti degli autori nell’era dell’intelligenza artificiale

Meta ha ottenuto una vittoria legale sul copyright AI: un giudice ha stabilito che allenare i modelli AI con libri protetti costituisce "fair use". Tuttavia, il giudice Vince Chhabria ha lanciato un severo avvertimento, sottolineando che la sentenza non garantisce l'uso futuro se l'AI danneggia il mercato delle opere originali.

Meta “Vince” sul copyright AI, ma il giudice avverte: Non è carta bianca

Meta, il colosso dietro Facebook e Instagram, ha appena incassato una vittoria in tribunale che farà discutere. Si parlava di intelligenza artificiale, quella che impara dai libri, e di diritti d’autore. La sentenza dice che Meta, per ora, non ha violato il copyright allenando i suoi modelli AI con opere protette.

Ma, e c’è un “ma” grosso come una casa, il giudice ha messo le cose in chiaro: questa non è una licenza di fare quello che si vuole.

Anzi, ha lanciato un avvertimento che suona un po’ come un “per stavolta passi, ma non tirare troppo la corda”.

La questione, come riportato da TechCrunch, nasce dalle accuse di autori come Sarah Silverman, che hanno visto i loro libri, inclusi best-seller e opere premiate, usati per nutrire Llama, l’AI di Meta, senza il loro permesso.

Il giudice Vince Chhabria ha dato ragione a Meta parlando di “fair use”, un concetto legale americano che permette un uso limitato di materiale protetto da copyright senza consenso. In pratica, ha detto che il modo in cui Meta ha usato i libri per addestrare l’AI è talmente “trasformativo” da non costituire una violazione diretta. Sembra quasi dire che l’AI ha preso i libri, li ha “digeriti” e ne ha tirato fuori qualcosa di completamente nuovo.

Ma è davvero così semplice quando si parla di opere frutto dell’ingegno di qualcuno?

E soprattutto, questa “trasformazione” giustifica davvero non chiedere il permesso o, diciamocelo, non pagare un centesimo agli autori?

Il fair use: un appiglio legale con un futuro incerto

Il punto, però, è che il giudice Chhabria non si è limitato a dare una pacca sulla spalla a Meta.

Anzi, ha usato parole che dovrebbero far drizzare le antenne a tutte le aziende che lavorano con l’AI.

Ha sottolineato, come descritto anche da The Verge, che questa sentenza non significa affatto che addestrare modelli AI con materiale protetto sia sempre legale.

Ha specificato che gli autori, in questo caso, non avrebbero presentato argomentazioni abbastanza forti per dimostrare un danno concreto al mercato dei loro libri.

In pratica, non hanno convinto il giudice che l’AI di Meta potesse davvero rubare loro lettori o vendite.

E qui casca l’asino, perché lo stesso giudice ha poi aggiunto una riflessione che sa di monito:

“Non importa quanto sia trasformativo l’addestramento dell’AI generativa, è difficile immaginare che possa essere ‘fair use’ utilizzare libri protetti da copyright per sviluppare uno strumento che fa guadagnare miliardi o trilioni di dollari, permettendo al contempo la creazione di un flusso potenzialmente infinito di opere concorrenti che potrebbero danneggiare significativamente il mercato di quei libri”.

Tradotto: se in futuro qualcuno dimostrerà che queste AI, create “studiando” opere altrui, finiscono per cannibalizzare il mercato originale, allora la storia potrebbe cambiare, e di molto.

E se ci pensi, non è forse quello che temono tutti, dagli scrittori ai musicisti, passando per i giornalisti?

Un campanello d’allarme per l’industria AI, nonostante tutto

Questa sentenza, quindi, è una vittoria per Meta, certo, ma con un asterisco grande quanto una querela futura. Arriva peraltro in una settimana in cui anche un’altra azienda AI, Anthropic, ha ottenuto un risultato simile, seppur con sfumature diverse.

Ma il messaggio che sembra emergere da queste aule di tribunale è che il “fair use” non è un assegno in bianco.

I giudici stanno iniziando a tracciare una linea, per quanto ancora un po’ sfumata.

Stanno dicendo alle big tech: “Ok, l’innovazione è importante, ma non a tutti i costi”.

Meta, dal canto suo, ha ovviamente accolto con favore la decisione, parlando di come i modelli AI open-source stiano alimentando innovazioni trasformative e di come il “fair use” sia vitale.

Tutto molto bello, ma la domanda che resta sospesa è: vitale per chi?

Per le aziende che macinano profitti o per gli creatori che vedono il loro lavoro diventare materia prima, spesso non richiesta e non pagata, per queste nuove tecnologie?

Ma la battaglia è tutt’altro che finita.

Altre cause sono in corso, e il vero nodo da sciogliere sarà dimostrare quel “danno significativo al mercato” di cui parlava il giudice.

E tu, cosa ne pensi?

Stiamo assistendo a una rivoluzione che porterà benefici a tutti, o a un Far West digitale dove chi ha più potere tecnologico ed economico detta le regole del gioco, almeno finché un giudice non dice “alt”?

La partita è apertissima.

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

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