Le regole del digitale stanno cambiando.
O sei visibile o sei fuori. Noi ti aiutiamo a raggiungere i clienti giusti — quando ti stanno cercando.
Contattaci ora →
La battaglia legale tra OpenAI e New York Times solleva dubbi sulla privacy degli utenti, con le conversazioni di ChatGPT finite sotto esame per una disputa sul copyright
La battaglia tra OpenAI e il New York Times sta ridefinendo la privacy nell'era dell'AI. Il NYT ha ottenuto la conservazione di milioni di conversazioni ChatGPT per una causa copyright. Nonostante una vittoria parziale per OpenAI, i dati passati restano esposti. Questo braccio di ferro solleva interrogativi cruciali sull'accesso legale e la riservatezza delle nostre interazioni digitali, creando un precedente fondamentale.
La richiesta del New York Times che mette a rischio la tua privacy
Tutto è iniziato con una causa per violazione di copyright, ma la faccenda ha preso una piega inaspettata. Il New York Times, sostenendo che OpenAI abbia usato i suoi articoli per addestrare i modelli GPT senza permesso, non si è limitato a chiedere un risarcimento. Ha preteso, e ottenuto da un giudice, che OpenAI conservasse un’enorme quantità di conversazioni degli utenti.
Parliamo di log che, secondo le normali policy, sarebbero stati cancellati dopo 30 giorni.
Il motivo?
Cercare le prove della presunta violazione.
Il 13 maggio 2025 il giudice Wang ha emesso un ordine di conservazione che ha costretto OpenAI a mettere da parte i dati di oltre 400 milioni di utenti. Una mossa che, di fatto, ha trasformato le tue chat private in potenziale materiale probatorio, in una disputa che non ti riguarda direttamente.
Il rischio, ovviamente, è che questo crei un precedente pericoloso: se passa il principio, qualsiasi azienda in futuro potrebbe essere costretta a conservare i dati dei suoi utenti per anni, in attesa che un avversario legale decida di ispezionarli.
Ma di fronte a una richiesta così invasiva, OpenAI è rimasta a guardare?
La difesa di OpenAI: paladini della privacy o mossa strategica?
Sentendosi con le spalle al muro, OpenAI ha contrattaccato. Ha lanciato una campagna pubblica, dichiarando che la richiesta del New York Times è un “abuso” che va contro ogni impegno di privacy preso con i suoi utenti.
Brad Lightcap, il COO di OpenAI, ha messo le cose in chiaro: non si può barattare la privacy di centinaia di milioni di persone per una causa legale, per quanto importante sia. L’azienda sostiene di aver proposto soluzioni alternative, come effettuare ricerche mirate per trovare solo le conversazioni pertinenti alla causa, senza dover conservare tutto l’archivio.
Proposte respinte dal Times.
Ora, la domanda sorge spontanea: OpenAI sta davvero combattendo per difendere la nostra privacy, oppure sta semplicemente proteggendo i suoi segreti industriali e cercando di evitare che qualcuno possa analizzare troppo a fondo come funzionano i suoi modelli?
Diciamocelo, la difesa della privacy è un’ottima leva di marketing, ma quando a essere minacciato è il cuore del tuo business – i dati e gli algoritmi – è lecito dubitare che le motivazioni siano puramente altruistiche.
La situazione sembrava bloccata, un braccio di ferro tra due giganti.
Fino a poco tempo fa.
Cosa succede ora e perché dovrebbe interessarti
Il 22 ottobre 2025, come riportato sul blog ufficiale di OpenAI, l’azienda ha ottenuto una vittoria parziale. Il tribunale ha revocato l’obbligo di conservare indefinitamente i dati degli utenti.
Questo significa che, da quel momento in poi, OpenAI ha potuto riprendere le sue normali procedure di cancellazione per le nuove conversazioni.
Una buona notizia, certo, ma il problema non è risolto.
Tutti i dati raccolti e conservati fino a settembre 2025, infatti, restano “congelati” e a disposizione del New York Times per le sue indagini. In pratica, la minaccia sulla privacy per le conversazioni passate è ancora lì.
Questa vicenda non riguarda solo avvocati e megacorporation.
Riguarda te, me, chiunque usi un’intelligenza artificiale.
Sta definendo le regole del gioco per il futuro: le nostre interazioni con le IA saranno considerate private o diventeranno un archivio a cielo aperto, pronto per essere setacciato alla prima disputa legale?
La risposta a questa domanda cambierà per sempre il nostro rapporto con la tecnologia.

Le conversazioni nostre, ora materiale di causa. Roba da non credere. Che la loro disputa sul copyright diventi il nostro incubo. Logico.
Mamma mia, che casino! Le nostre chiacchiere finiscono sotto la lente per una causa di copyright? Ma siamo seri? Io che pensavo di essere al sicuro, invece le mie intuizioni diventano roba da tribunale. Questa tecnologia mi fa venir l’ansia, eh!
Ma che ridicoli! Le nostre conversazioni diventano polli da spennare. Che scandalo, ma chi ci crede più a questa privacy?
Dati esposti? Pura follia. La loro guerra, la nostra privacy. Che lezione impareremo?
Ma certo, le nostre conversazioni intime diventano materia da processo. Geniale, come se i nostri pensieri fossero merce. Chissà cosa si inventeranno dopo, un concorso per la migliore confessione?
Un vero e proprio vaso di Pandora aperto. Le nostre parole, un tempo private, ora sono merce di scambio per battaglie legali. Dove finisce la nostra riservatezza?
Ma guarda un po’, le nostre chiacchierate private ora sono il trofeo di una causa di copyright. Mi chiedo se la mia ultima battuta sull’aglio avrà lo stesso destino. L’ironia della tecnologia che ci promette il futuro ma ci spoglia del presente.
La privacy, un miraggio digitale. OpenAI e NYT, un duello legale che mette a nudo le nostre vite. Sarà la tecnologia a salvarci o a perderci?
Le nostre conversazioni. Esposte. Cos’altro riserverà questo progresso?
Tech vs news. Privacy? Che paradosso. I nostri chat, ora roba da tribunale. OpenAI, NYT, chi ha i dati? Boh. Ma ‘sta roba mi inquieta un botto.
Questa diatriba tecnologica è un vero vaso di Pandora: mentre l’AI ci promette un futuro dorato, i nostri pensieri digitali finiscono sotto la lente, come farfalle impazzite in un retino. Speriamo solo che non ci ritroviamo tutti con l’etichetta del prezzo appiccicata addosso!
Il diritto alla privacy, un lusso in era digitale.
Non c’è da stupirsi, siamo solo dati.
OpenAI e NYT. Chi protegge chi? I nostri dati sotto scrutinio legale. Chissà dove finiscono le nostre “conversazioni”. Solo io mi preoccupo?
Ma che schifo. Dati esposti, sempre. La gente è troppo distratta. La privacy è morta. E noi ci fidiamo ancora?
Questa storia della privacy 🙄. Sembra che i nostri dati siano sempre in vendita a qualche mega-corporazione. Che mondo. 🤷♂️
Ah, la privacy! Una battaglia che sembra non finire mai, eh?
Che ironia, il quotidiano che vende segreti altrui ora difende la privacy. Alla fine, siamo solo dati che cambiano padrone.
Ancora una volta la tecnologia ci promette meraviglie, per poi rivelarsi un gran pasticcio di privacy violata. Spero solo che non usino le mie idee per il prossimo aggiornamento.