Con AI Mode, l’intero processo di selezione e priorità delle query viene ridefinito: un cambio strutturale che impatta su come e quando un sito viene considerato rilevante
📌 TAKE AWAYS
Con l’AI Mode e il Query Fan-Out, Google non indicizza più solo pagine, ma "chunk", ovvero frammenti di contenuto tematici.
La SEO ora si gioca sulla rilevanza concettuale.
Fino a ieri, bastava investire in buoni contenuti, SEO tecnica e link autorevoli per vedere crescere il traffico organico. Era una sfida, certo, ma chi sapeva giocare, otteneva risultati. Poi è arrivato qualcosa che ha cambiato tutto. Non un aggiornamento di algoritmo, non una penalizzazione manuale.
Si chiama AI Mode.
E se non ne hai mai sentito parlare, sappi che è già all’opera. Google non mostra più solo dieci link blu: risponde direttamente alle domande degli utenti. E lo fa con l’intelligenza artificiale.
Senza che nessuno clicchi sul tuo sito.
Senza che il tuo contenuto venga letto.
Senza che il tuo brand venga nemmeno visto.
Se hai notato un crollo nel traffico e non riesci a darti spiegazioni, non sei solo. Quello che sta accadendo ha un nome tecnico, ma conseguenze molto concrete. Si chiama Query Fan-Out.
È il motore invisibile che decide quanti risultati vengono pescati per rispondere a una domanda. E soprattutto: chi entra e chi resta fuori.
Oggi non basta più essere “ottimizzati per Google”. Bisogna essere visibili per le IA e gli LLM.
Bisogna progettare contenuti che si fanno rilevare, selezionare e citare dalle IA generative. E per farlo, bisogna capire come funziona davvero il Query Fan-Out.
Perché la verità è semplice: se il tuo sito non viene incluso in quel ventaglio iniziale di URL che alimentano la risposta IA, è come se non esistesse. Niente click, niente visibilità, niente clienti.
La buona notizia?
Chi comprende ora questo meccanismo può riprendersi la scena, guadagnare un vantaggio competitivo enorme, e costruire un brand forte anche nell’era delle risposte a zero click.
La cattiva notizia?
Il tempo per farlo è poco.
C’era una volta la Ricerca (che non tornerà più)
Per capire la portata del cambiamento, facciamo un passo indietro. Fino a ieri, il patto con Google era semplice, quasi banale. Tu, utente, avevi una domanda (“migliori friggitrici ad aria”).
Scrivevi la tua “query” sulla barra di ricerca. Google, come un diligente libraio, ti presentava uno scaffale con dieci libri (i famosi 10 link blu) che riteneva pertinenti. Tu sceglievi il libro che ti ispirava di più, cliccavi, entravi nel sito e, se il contenuto era buono, compravi o ti informavi.
Semplice. Lineare. Prevedibile.
L’AI Mode, invece, licenzia il libraio e assume un team di ricercatori esperti. Non ti dà più lo scaffale, ma ti consegna direttamente un report completo, scritto e sintetizzato apposta per te.
Non è più un motore di ricerca, ma un motore di risposta.
Google lo dice chiaramente: l’obiettivo è rispondere a domande complesse, quelle che prima richiedevano “ricerche multiple”.
E come fa a creare questo “super-riassunto”? Ecco che entra in scena il protagonista della nostra storia.
Cos’è e come funziona questo benedetto Query Fan-Out
Immagina di non digitare più una domanda a un computer, ma di darla in pasto a un’intelligenza artificiale affamata di informazioni. La tua query, “migliori friggitrici ad aria”, non è più una stringa di testo da abbinare a una pagina. È un concetto.
E l’IA, potenziata da Gemini 2.5 Pro, la tratta come tale.
Qui scatta il Query Fan-Out, letteralmente “sventagliamento della richiesta”.
In pratica, il sistema prende una singola domanda e la scompone in tante sotto-domande, ognuna pensata per esplorare un aspetto diverso dell’argomento. È un modo per allargare il raggio della ricerca e raccogliere più informazioni da fonti diverse
Invece di eseguire una singola ricerca, è come se l’AI Mode reclutasse un’intera squadra di analisti e li mettesse al lavoro contemporaneamente.
Nel nostro esempio, il fan-out potrebbe generare, in una frazione di secondo, ricerche come:
- “Quali sono le friggitrici ad aria più facili da pulire?”
- “Meglio friggitrice ad aria con doppio cestello o singolo?”
- “Recensioni utenti friggitrice ad aria”
- “Friggitrice ad aria con funzione grill: pro e contro”
- “Miglior rapporto qualità-prezzo friggitrici ad aria 2025”
- “Differenze tra friggitrice ad aria e forno ventilato”
Vedi la differenza?
Non sta più cercando una pagina che contenga le parole “friggitrici ad aria”.
Sta cercando pezzi di informazione – detti chunk – sparsi in decine di siti diversi (blog di settore, e-commerce, forum, video recensioni) per rispondere a ciascuna di queste sotto-domande.
Una volta raccolti tutti questi “pezzi”, l’intelligenza artificiale li assembla, li sintetizza e ti presenta una risposta coerente e strutturata, completa di link alle fonti che ha ritenuto più autorevoli.
“Il sistema restituisce una serie di query e anche dati dal Knowledge Graph”
Mike King
Come spiega l’esperta SEO Aleyda Solis, questo permette a Google di “tuffarsi più in profondità nel web rispetto a una ricerca tradizionale”.
Lo so, stai pensando: “Ah, ma è come la sezione People Also Ask!”.
Eh no.
Come chiarisce Andrea Volpini, uno dei massimi esperti italiani di IA e SEO, c’è una differenza abissale. “People Also Ask” espande la ricerca in verticale, approfondendo lo stesso argomento.
Il Query Fan-Out, invece, si espande in orizzontale, esplorando aree tematiche diverse e più ampie, creando connessioni che un umano impiegherebbe ore a trovare.
La Prova del Nove: il brevetto ‘Thematic Search’ e la fine delle illusioni
Per chi pensa che il Query Fan-Out sia solo una teoria da smanettoni, consiglio di leggere le prossime righe…
A fine 2024 Google ha depositato un brevetto chiamato Thematic Search, che descrive con precisione il funzionamento del sistema oggi usato nell’AI Mode. Ed è tutto nero su bianco.
Cosa dice questo brevetto?
In sostanza, che di fronte a una query ampia o complessa, Google non restituisce più una semplice lista ordinata di risultati. Al contrario, li raggruppa in temi (i famosi subtopics) e per ognuno genera un riassunto informativo con l’intelligenza artificiale.
L’obiettivo è rispondere all’utente in modo completo, senza che debba cliccare nessun link.
Un esempio nel brevetto chiarisce bene il concetto: se cerchi “trasferirsi a Denver”, il sistema crea automaticamente gruppi di risultati con temi come “quartieri”, “costo della vita”, “pro e contro”, “cose da fare”. E per ognuno genera un mini-articolo, pescando contenuti da più siti e creando un’unica sintesi coerente.
Sì, hai letto bene: i contenuti di più siti vengono mescolati, riorganizzati e riscritti da un modello linguistico, che può prendere un paragrafo da una fonte, una frase da un’altra, il titolo da un’altra ancora.
Il tutto senza che il lettore debba visitare quelle fonti.
È esattamente ciò che fa il Query Fan-Out: prende una domanda, la frammenta in sotto-domande (sub-query), le lancia in parallelo, raccoglie i risultati, li raggruppa in “temi” e genera una risposta sintetica e pronta all’uso.
Addio lista di 10 link, benvenuti box generativi a zero click.
Il brevetto spiega anche che questi temi possono essere visualizzati in card, caroselli, dropdown, o qualsiasi altra interfaccia. E che l’interazione dell’utente con queste risposte influenza la visibilità futura dei siti.
In pratica: non vince chi è primo nei risultati classici, ma chi viene incluso nel tema giusto e nel momento giusto del percorso informativo dell’utente.
C’è anche un dettaglio importante per chi fa SEO: il sistema tiene conto di titoli, metadata e struttura della pagina per costruire i suoi riassunti
Quindi, una buona architettura semantica e informativa può ancora fare la differenza. Ma serve un cambio radicale di mentalità: non si lavora più per posizionare una parola chiave, ma per rispondere a una domanda tematica e collocarsi nel punto giusto del viaggio dell’utente.
In sintesi: il brevetto Thematic Search è la prova definitiva che il Query Fan-Out non è un test. È la nuova direzione di Google. E ogni sito web che non si adatta a questo cambio rischia di sparire dalla scena, anche se ha sempre “fatto tutto bene”.
Che succede al tuo sito, dunque?
Arriviamo al punto che ti fa perdere il sonno. Se l’utente ottiene un riassunto perfetto, perché mai dovrebbe cliccare sul mio sito? Che fine fanno le mie conversioni in questa nuova era “zero-click”?
La risposta è brutale ma necessaria: la visibilità come la conoscevi è morta.
Il ranking nella top 10 per una singola parola chiave conta sempre meno. La nuova partita si gioca su un campo completamente diverso.
1. Il ranking è morto, lunga vita al “chunk”
Google non classifica più la tua pagina intera. Classifica i “chunk”, i singoli blocchi di contenuto. La tua pagina “Guida completa alle friggitrici ad aria” potrebbe non apparire mai, ma un singolo paragrafo di quella guida, quello dove spieghi magistralmente la differenza tra le varie marche, potrebbe essere scelto dall’IA come il pezzo migliore per rispondere a una delle sotto-query del fan-out e finire citato nel riassunto finale.
Come ha detto Andrea Volpini nel podcast di Aleyda Solis, “stiamo classificando i chunk per similarità semantica”. Questo stravolge tutto. Un singolo, eccellente paragrafo in un articolo dimenticato potrebbe diventare più prezioso di un’intera homepage ottimizzata secondo le vecchie regole.
2. L’apocalisse (mancata) del “zero-click”
Il click non sparirà, ma cambierà valore. Diventerà un’azione di approfondimento, non più di scoperta. L’utente leggerà il riassunto dell’IA e, se il tuo brand viene citato come fonte autorevole per un aspetto specifico, potrebbe cliccare per saperne di più, per acquistare o per vedere chi c’è dietro a quell’informazione così utile.
La visibilità non si misurerà più in posizioni, ma in citazioni.
Essere la fonte di un’informazione nel riassunto dell’IA è il nuovo “essere in prima pagina”. Diventa un potentissimo segnale di autorevolezza che porta a un traffico forse minore in quantità, ma di qualità infinitamente superiore.
La nuova ottimizzazione si occupa di concetti e conversazioni
Se sei arrivato a leggere fin qui, hai capito che continuare a fare le cose “come si sono sempre fatte” equivale a far bungee jumping senza imbracatura.
Non puoi più ottimizzare per le parole chiave. Devi ottimizzare per i concetti e per le conversazioni.
Cosa significa, in pratica?
- Diventa un’autorità, non una fabbrica di contenuti. Smettila di scrivere un articolo per ogni parola chiave. Punta alla topical authority. Scegli il tuo campo e coprilo in modo ossessivo e completo. Se vendi scarpe da trekking, il tuo sito deve diventare la Treccani delle scarpe da trekking, rispondendo a ogni possibile domanda, dubbio o comparazione che un essere umano (e quindi un’AI) possa concepire.
- Pensa in “chunk”, scrivi in modo strutturato. Ogni pezzo del tuo contenuto deve essere pensato per rispondere a una potenziale sotto-domanda. Usa titoli (H2, H3) chiari e descrittivi, elenchi puntati, tabelle comparative. Rendi il tuo contenuto “scansionabile” non solo per l’utente frettoloso, ma soprattutto per l’AI che deve poter estrarre i tuoi “chunk” con facilità. Il layout del contenuto diventa un fattore di ranking cruciale.
- Punta sull’E-E-A-T (Esperienza, Competenza, Autorevolezza, Affidabilità). Ora più che mai. L’IA, per costruire i suoi riassunti, cercherà le fonti più affidabili. Dimostra la tua competenza, mostra chi sei, cita fonti, pubblica ricerche originali, racconta esperienze dirette. In un mondo di risposte generate artificialmente, l’autenticità umana diventa il tuo vantaggio competitivo più grande.
Il futuro non si ottimizza, si ingegnerizza
Se c’è una voce da ascoltare con attenzione in questa fase storica, è quella di Mike King, fondatore di iPullRank e probabilmente tra i più lucidi analisti al mondo sul rapporto tra AI e SEO.
Nel corso di un’intervista di Danny Goodwin, King non ha usato mezzi termini: la SEO tradizionale è fuori fase, completamente disallineata rispetto a come oggi funziona davvero la ricerca.
I classici strumenti di keyword research?
Obsoleti.
I blog post su come ottimizzare per gli AI Overviews?
Vaghissimi, quando non inutili.
Ivano De Biasi di SEOZoom, durante la nostra intervista è parso scettico sulla carica rivoluzionaria dei fan-out, sostenendo esistano da dieci anni…
Ma per King il punto è chiaro: la tua pagina può essere irrilevante per la query iniziale, ma centrale per una sotto-query generata dal sistema.
Solo che tu non la vedrai mai.
E quindi continui a ottimizzare alla cieca, con logiche vecchie.
Per questo motivo secondo Mike King, la SEO deve trasformarsi in relevance engineering: non più “posizionare” un contenuto, ma progettare la sua rilevanza semantica e contestuale rispetto alle reti di sotto-query create dall’IA.
E se il traffico organico crolla?
Non è la fine del mondo, è un cambio di paradigma:
“La ricerca è sempre stata un canale di branding. L’utente può vedere il tuo brand e poi agire anche senza cliccare.”
Mike King
Ma King denuncia anche l’assenza di Google in questo passaggio epocale.
Dopo anni in cui la community SEO ha migliorato la qualità del web (HTTPS, Core Web Vitals, accessibilità), Google non ha nemmeno rilasciato un documento ufficiale per spiegare ai clienti che i click diminuiranno.
“Sarebbe bastato un documento ufficiale che dicesse: ‘con gli AI Overviews il comportamento utente cambia, aspettatevi meno click’. Non lo hanno fatto.”
Mike King
Insomma, da un lato c’è chi si ostina a seguire le best practice del passato, dall’altro chi sperimenta, costruisce strumenti, studia i brevetti di Google e si adatta.
Solo questi ultimi sopravviveranno nel nuovo ecosistema.
Non rincorrere i click: diventa la risposta delle IA!
Se oggi ci limitiamo a ottimizzare per le keyword, è come progettare un razzo con le istruzioni di una bicicletta.
L’intelligenza artificiale ha cambiato non solo il funzionamento tecnico della ricerca, ma anche le regole del gioco economico.
Il nostro lavoro non è più “farsi trovare”, ma farsi scegliere come fonte attendibile.
Per farlo, servono contenuti che parlino come un esperto, pensati come un ingegnere e strutturati come una macchina, come ci ha detto anche Dan Petrovic nella nostra intervista.
Siamo passati da una partita a dama, dove le mosse erano prevedibili, a una partita a scacchi tridimensionali, dove contano la strategia, la visione d’insieme e la capacità di anticipare le mosse dell’avversario.
Il Query Fan-Out è la scacchiera. L’IA è il tuo avversario (e potenziale alleato).
È qui che l’imprenditore saggio capisce che il “fai-da-te” ha i suoi limiti.
Hai bisogno di un partner strategico, di un’agenzia SEO che non ti parli più di “densità delle parole chiave” ma di “ontologie”, “copertura semantica” e “architettura dell’informazione”.
Qualcuno che sappia tradurre la tua inestimabile conoscenza di settore nella lingua che le nuove intelligenze artificiali capiscono e premiano.
Il tuo lavoro è essere il miglior esperto nel tuo campo. Il lavoro del nuovo consulente SEO è fare in modo che Google se ne accorga.
La partita è appena iniziata, ed è dannatamente più complicata di prima. Ma per chi è disposto a giocare con le nuove regole, il premio è molto più grande di un semplice click.
È diventare la fonte.
L’autorità.
La risposta.
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Il Query Fan-Out in AI Mode: Domande Frequenti
Cos’è il Query Fan-Out?
Il Query Fan-Out è una tecnica utilizzata da Google nell’AI Mode per scomporre una singola domanda complessa in più sotto-domande (sub-query), ognuna delle quali esplora un aspetto diverso del tema. Queste sub-query vengono analizzate in parallelo per creare una risposta sintetica e completa, basata su contenuti provenienti da più fonti.
Perché il traffico organico sta diminuendo con l’AI Mode?
Con l’AI Mode, Google non mostra più una semplice lista di risultati, ma costruisce risposte dirette sfruttando contenuti già esistenti, senza che l’utente debba fare click. Questo approccio zero-click riduce la visibilità tradizionale dei siti web, penalizzando chi non viene incluso nei riassunti generati dalle intelligenze artificiali.
Come si può essere visibili nell’era del Query Fan-Out?
Per restare visibili, i contenuti devono essere progettati in modo strutturato, con blocchi tematici (chunk) facilmente rilevabili e riutilizzabili dalle AI. È fondamentale puntare sulla topical authority, sull’affidabilità del brand e su una forte organizzazione semantica delle informazioni, abbandonando la logica tradizionale basata solo sulle keyword.
Cambio di paradigma. Contenuti tematici, non più keyword. La vecchia SEO è morta.
Ma certo, questo è il futuro! Finalmente non si tratta più di inseguire keyword oscure, ma di costruire contenuti che parlino davvero ai concetti. Chi non capisce questo, rischia di finire nel dimenticatoio digitale. Io ci sto investendo tantissimo!
Il futuro è qui. 🤖 Pronti a ridisegnare tutto o a sparire? 🤷♀️
Ah, la solita rivoluzione tecnologica che ci costringe a reinventarci. 🙄 Speriamo solo che questi “chunk” tematici siano più facili da digerire della solita pappetta preconfezionata. 🤷♂️
Il focus sui concetti è un netto cambio. 💡 Bisogna progettare per le IA, non solo per gli utenti. 🤔
La logica del query fan-out, un tempo così rassicurante, ora si sgretola sotto l’onda dell’IA. Un vero e proprio caos concettuale, dove la rilevanza semantica è la nuova moneta. 😅🌍
Quindi, se non si è parte della conversazione tematica dell’IA, si è invisibili. Benissimo, la pura logica del business.
IA, siti, roba che scuote. Chi c’è, c’è. Che casino.
Ma guarda te, pensavo di essere l’unico a guardare queste diavolerie tecnologiche con un occhio un po’ storto, ma a quanto pare siamo in tanti a sentirci un po’ persi nel mare magnum dei “chunk” tematici. Certo che se non sei nel giro giusto, sparisci dal radar, eh? Un po’ come un disco in vinile che non trova più il suo giradischi.