Google Play Store: App fino a 5.000 dollari, tra opportunità e rischi

Anita Innocenti

Un aumento che fa discutere: tentativo di Google di attrarre software professionali o rischio di prezzi gonfiati e app di dubbia utilità per gli utenti?

Google ha alzato drasticamente il limite di prezzo per le app sul Play Store, portandolo da 1.000 a 5.000 dollari. Questa mossa mira a facilitare la vendita di software professionali, ma richiede agli sviluppatori un fatturato di oltre un milione e una revisione manuale. Nonostante i filtri, sorgono dubbi sui prezzi gonfiati.

Google alza l’asticella: app fino a 5.000 dollari sul Play Store, ma è davvero una buona notizia?

Google ha deciso di dare una bella scrollata al suo Play Store, permettendo agli sviluppatori di vendere app fino alla cifra, diciamocelo, un po’ folle di 5.000 dollari. Un balzo notevole rispetto al precedente tetto di 1.000 dollari, che già sembrava tanto. La notizia arriva direttamente da Android Authority, che sottolinea come questa sia una mossa che segue l’aumento dell’anno scorso da 400 a 1.000 dollari.

Sì, hai letto bene, cinquemila.

Ora, prima che tu pensi di trovare giochini da cinquemila bigliettoni, Google ha messo qualche paletto, o almeno così dice. Per poter sparare così alto con i prezzi, uno sviluppatore deve avere un account in “buona salute” (e cosa vorrà mai dire nel gergo di Mountain View?), aver già incassato più di un milione di dollari sulla piattaforma e, udite udite, passare una revisione manuale da parte del team di Google. Insomma, non proprio l’ultimo arrivato potrà farlo.

Ma siamo davvero sicuri che questi filtri bastino a proteggerci da prezzi gonfiati o da software che valgono una frazione di quanto costano?

La domanda sorge spontanea, non trovi?

E se pensi che sia una novità assoluta, beh, non proprio. È più un’accelerazione di una tendenza già in atto. Google, infatti, non è nuova a questi ritocchi verso l’alto: già nel 2015 aveva alzato il limite da 200 a 400 dollari, per poi passare a 1.000 dollari solo l’anno scorso, come ti accennavo.

Questo continuo rialzo fa pensare, no?

Forse Google vuole posizionare il Play Store come una piattaforma anche per software super professionali, magari per nicchie specifiche come l’enterprise, strumenti medici avanzati o servizi di lusso che, onestamente, sul telefono sembrano un po’ un pesce fuor d’acqua.

Stando ai dati di Tekrevol, il Play Store ospita qualcosa come 2,06 milioni di app, ma quelle a pagamento sono una minoranza, circa il 3% secondo le statistiche di Owebest. Eppure, la spesa dei consumatori sulla piattaforma, sempre secondo Tekrevol, è prevista raggiungere i 55,5 miliardi di dollari nel 2025.

Cifre da capogiro.

Viene da chiedersi se questa mossa non sia un tentativo di accaparrarsi una fetta ancora più grossa di quella torta, magari strizzando l’occhio a quei pochi sviluppatori che possono permettersi di vendere a cifre così alte, lasciando un po’ nell’ombra le esigenze della stragrande maggioranza degli utenti e degli sviluppatori più piccoli.

Ma questa apertura verso i “ricchi” porterà davvero innovazione o solo un nuovo modo per fare cassa?

Paletti anti-furbetti o specchietto per le allodole?

Google, dal canto suo, si affretta a dire che ci sono delle misure per mantenere, diciamo, un certo decoro. Per esempio, gli abbonamenti con rinnovo automatico restano bloccati a un massimo di 999,99 dollari all’anno e, come riportato da Android Police, ci sono ancora limiti regionali specifici, tipo in Corea del Sud dove non si possono superare i 400 dollari. La soglia del milione di dollari di fatturato annuo per gli sviluppatori che vogliono accedere a questi prezzi “premium” dovrebbe, sulla carta, servire a tenere lontani i malintenzionati.

Ma, diciamocelo francamente, un fatturato alto non è sempre sinonimo di qualità o etica impeccabile, vero?

C’è chi, tra gli addetti ai lavori, vede in questa mossa un segnale della crescente domanda di strumenti professionali di nicchia e del ruolo sempre più importante di Android nel mondo aziendale, un po’ come suggerito da alcune analisi di mercato come quella di Ptolemay sul valore delle app.

Altri, invece, storcono il naso.

Le prime reazioni del pubblico, infatti, non sono mancate e sollevano dubbi legittimi: c’è il timore che spuntino come funghi app dal prezzo esorbitante e dalla dubbia utilità, che la ricerca di software a prezzi ragionevoli diventi una caccia al tesoro e, soprattutto, ci si chiede se esista davvero un mercato consumer disposto a sborsare cifre simili per un’app, al di fuori magari di specifici contesti aziendali.

La mossa di Google sembra un chiaro tentativo di attirare sviluppatori orientati al business, ma il vero banco di prova sarà vedere se questi “controlli di qualità” saranno davvero efficaci o se ci ritroveremo con un Far West dei prezzi.

Con circa 1.205 nuove app che sbarcano ogni giorno sul Play Store, il rischio di confusione è dietro l’angolo.

E tu, cosa ne pensi?

Pagheresti mai 5.000 dollari per un’app?

Anita Innocenti

Sono una copywriter appassionata di search marketing. Scrivo testi pensati per farsi trovare, ma soprattutto per farsi scegliere. Le parole sono il mio strumento per trasformare ricerche in risultati.

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